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What? Where? Who? When? Why? al tempo della IA

Mercoledì 19 marzo, San Giuseppe, mentre il governo faceva approvare al senato una legge denominata pomposamente regolamento per l’intelligenza artificiale, che poco incide sui casi concreti quale quello che stiamo esaminando e mentre l’Ordine dei giornalisti era troppo affaccendato con le operazioni di voto per il rinnovo dei vertici, Il Foglio, quotidiano fondato da Giuliano Ferrara, usciva con un supplemento completamento redatto da un sistema artificiale.

Non si è trattato di un approfondimento, o di un allegato su un tema collaterale: era un vero duplicato del giornale che riproduceva completamente l’impaginazione e la struttura editoriale con altri contenuti. 

Il messaggio era chiaro: siamo alla vigilia dio una radicale sostituzione, in cui, se vogliamo, possiamo sostituire l’intera redazione.

Il direttore responsabile, e vedremo poi quanto responsabile, Claudio Cerasa, nella presentazione dell’iniziativa, scrive che i giornalisti hanno formulato le domande e controllato le risposte dell’intelligenza artificiale. pensando così di rassicurare, sia i suoi redattore che i lettori.

Il giorno dopo il fondatore della testata, Giuliano Ferrara in persona, ha definito l’esibizione tecnologica “una vera opera d’arte”, mostrando stupore e meraviglia per il grado di assoluta sofisticatezza del risultato.

In realtà si è trattato di cosa nota. 

Da tempo, era già stato anticipato dai principali quotidiani internazionali: un uso diretto di dispositivi di intelligenza artificiale per elaborare, sulla base di domande mirate della redazione, articoli e schede editoriali. La novità del Foglio è quella di concentrare in una sola giornata le domanda da fare ai meccanismi generativi, in base ai temi di maggiore attualità, e pubblicare tutte insieme le risposte, riproducendo appunto l’intero giornale.

Il risultato, come ormai ci si aspetta, se ben preparato, è davvero di alto profilo. 

Sia per la forma, che per il contenuto, il lavoro dell’intelligenza artificiale appare estremamente affine al lavoro tradizionale della redazione: stile, ritmo, taglio editoriale e approccio critico sono sovrapponibili alla copia originale del quotidiano realizzata direttamente dalla redazione.

Un’ottima applicazione con un solo buco: non viene comunicato chi sia il talento tecnologico da ringraziare. In tutto il profluvio di stupore e meraviglia che Ferrara e Cerasa sciorinano nei loro commenti estasiati, si dimenticano di dirci   chi è il titolare del prodigio, di quale tipo di intelligenza artificiale si siano serviti.

Un dettaglio non da poco, la cui omissione potrebbe far scattare procedure di infrazione sia da parte dell’Ordine dei Giornalisti – quando avrà tempo di occuparsi di questo, che evidentemente a loro appare ancora come un divertissement, ad elezioni concluse – sia da parte della stessa magistratura, a norma della legge sulla stampa.

Infatti l’intelligenza artificiale, a differenza di quanto mostrino di pensare i vertici del Foglio, non è una tecnica uniforme e neutra, come potrebbe essere l’energia elettrica, per cui basta dire: uso l’intelligenza artificiale. Siamo oggi dinanzi ad un’offerta varia e diversificata, dove ogni soluzione implica un risultato diverso, un modo di “ragionare”, diciamo così, assolutamente differente. E’ esattamente come dire leggo un giornale: quale? È la domanda automatica. O ancora, per rimanere nell’ambiente giornalistico, sarebbe come dire, me lo ha detto una fonte. Quale? 

Per questo \è indispensabile, in base al vincolo di trasparenza che deve legare ogni redazione ai suoi lettori, denunciare pubblicamente a quale fornitore ci si è rivolti. Esattamente come si dichiara l’identità delle fonti che si interpellano per un articolo. O che si citano dettagliatamente testi o relazioni. Che differenza c’è? Noi sappiamo che Chat GPT, o Gemini di Google, o Claude di Anthropic, o ancora Gronk di Musk, sono modelli estremamente articolati e compositi in cui le reazioni agli input mutano radicalmente in base alla dieta di contenuti con cui è stato alimentato il sistema e alle modalità di profilazione dell’utente. Sono elementi questi che possono mutare sostanzialmente il risultato finale.

Diciamo che nel nuovo scenario in cui siamo immersi, dobbiamo adeguare le famose 5 W fondamentali del giornalismo: What? Where? Who? When?Why? riferendole esplicitamente alle protesi tecnologiche di cui ci si avvale. Senza questo corredo di informazioni siamo in un campo avventuroso dove ogni colpo di mano sarebbe possibile, tanto più in un regime di guerra ibrida in cui si combatte, come spiegano i teorici delle nuove forme di cybersecurity, alterando il senso comune di un paese o di una comunità.

In questa logica, il direttore responsabile è responsabile non solo per la trasparenza delle sue informazioni, per la libertà della sua redazione ma anche per la sicurezza del suo paese.

Infatti adottando un sistema generativo importiamo vocabolari e set informativi da fonti che non conosciamo, introducendo nell’infosfera nazionale un flusso di contenuti che dovremmo appunto certificare.

Si pone cosi, anche in vista del prossimo contratto nazionale dei giornalisti, che nello scenario di guerra ibrida non è più una questione sindacale di una categoria, ma riguarda l’ordinamento di un settore strategico per la governabilità del paese, un’altra questione su cui il duo Ferrara/Cerasa ha allegramento soprasseduto. Infatti proprio perché siamo alle prese con un problema di sicurezza nazionale, è quanto mai   necessario, per un gruppo editoriale che decide di combinare capacità professionali con sistemi automatici, dare indicazioni esplicite sul modo con cui il sistema generativo che si è utilizzato è stato adattato  nella specifica realtà di quella specifica testata.

Nessun dispositivo di intelligenza artificiale può continuativamente assicurare un flusso di elaborazioni quale quello ipotizzato da una macchina informativa che lavora 24 ore al giorno, quale è oggi una testata giornalistica senza un lavoro di adattamento e di personalizzazione dei tools operativi. Dunque, questo lavoro che incide sull’elaborazione del sistema, deve essere rappresentato. In concreto bisogna documentare il modo con cui il sistema è stato addestrato, anzi meglio addomesticato. 

Spiegando quale processo di distillazione si è allestito, ossia di addestramento basato su applicazioni maggiori da cui si ricavano meccanismi più maneggevoli, con quali materiali e procedimenti di gestione nella macchina dei contenuti. Insomma, bisogna – qualora si decida di appaltare un prodotto giornalistico ad un meccanismo tecnologico, tale è quanto ha fatto Il Foglio – avere la piena consapevolezza di come quel sistema opera, in base a quale  processo di addestramento si è formato  il proprio senso comune, mediante il quale elabora i contenuti richiesti.

La direzione della testata ci ha solo assicurato che sono stati i giornalisti a porre le domande. E questo è davvero il minimo, vorrei anche vedere che così non fosse stato, avremmo avuto il primo caso di caporalato digitale, in cui un editore arruola un produttore, più o meno retribuito, per svolgere un lavoro surrettiziamente.

Ma non basta l’assicurazione che le domande siano state curate dalla redazione: bisogna che tutte le componenti della filiera giornale – dalla redazione, ai lettori -abbiano la piena padronanza del modo con cui quel sistema tecnologico è stato organizzato e orientato in ognuna delle diverse fasi di addestramento. 

Come dicevamo l’intelligenza artificiale è un apparato complesso che produce senso comune, logica ed etica della comunicazione. Possiamo bearci solo della sua perfezione operativa?

Infine, questa è proprio materia sindacale, la redazione dovrebbe dirci come è stato concertato il progetto: il fornitore avrà avuto un capitolato tecnico dalla direzione e dall’editore, in base al quale ha messo a punto il prodotto. Come è stato composto questo capitolato? chi ha parlato con il fornitore e i professionisti che hanno materialmente predisposto il sistema? La redazione è stata soggetto anche nella fase di preparazione, così come la legge istitutiva dell’ordine impone definendo il giornale sempre un’opera collettiva?

Insomma, Elon Musk direbbe che siamo alle solite ubbie burocratiche di chi vuole mettere le mutande al progresso. In realtà, bisogna spiegare a Musk, che qui in Europa, a differenza dal suo Sud Africa che gli diede i natali, e agli stati del sud americani, dove si trova a suo agio, le regole servono proprio per civilizzare il progresso . Ora dinanzi ad un salto del modo di fare giornalismo, si tratta non di esorcizzare il futuro, e nemmeno di ingabbiare l’innovazione, ma anzi di accelerare l’evoluzione tecnologica, allargando la schiera dei protagonisti, e mettendo più capacità e esperienze al lavoro.

L’esperimento del Foglio potrebbe aiutarci in questo, individuando i buchi neri da illuminare e aumentando il livello di consapevolezza sia dei giornalisti che degli utenti che sempre più sono co produttori della macchina giornale. Ma il nodo vero che dovremmo cominciare a considerare e che l’intero sistema dell’informazione, nei suoi processi evolutivi e di ibridazione socio tecnologica non è più un settore, per quanto importante ma collaterale, quanto invece uno dei cardini della governance e sicurezza di un paese, in un mondo che ha ormai sostituito la pace  con una permanente guerra ibrida che rende la tecnologia di per sé logistica militare.

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