I dazi di Trump hanno finora abbaiato più di quanto hanno morso. Nel periodo gennaio-settembre, l’import mondiale in volume è aumentato del 5,4%, in accelerazione rispetto al 2024. L’import degli Usa è cresciuto del 7,9%, segnando l’aumento più forte dopo quello dell’Asia.
Certo, l’incremento delle importazioni americane riflette il balzo degli acquisti nei primi mesi in anticipazione dei dazi, ma la flessione che ha fatto seguito è stata meno pesante di quel che si pensava.
Risultati inattesi sono leggibili anche nell’interscambio italiano con gli Usa. In gennaio-settembre, l’export in valore dell’Italia verso gli Usa è cresciuto di circa il 9% (confermato in ottobre), contro flessioni delle esportazioni in quel mercato di Germania, Spagna e Francia.
La dinamica delle vendite dell’Italia negli Usa ha superato inoltre quella del nostro paese in altre destinazioni, dando così luogo a un maggior orientamento relativo del nostro export verso tale mercato. Un fatto paradossale nell’anno dei dazi. Come spiegarlo? Difficile dirlo.
L’aggiustamento post tariffe è ancora in corso e gli effetti di medio periodo possono divergere da quelli di breve. Avanziamo qualche ipotesi su quel che è avvenuto fin qui.
Una prima osservazione è che gli importatori Usa hanno reagito (in accordo con gli esportatori) attraverso riclassificazioni dei beni acquistati e pratiche di arbitraggio tra paesi e prodotti volte a ridurre l’impatto delle tariffe.
L’aliquota media effettiva del dazio Usa sulle importazioni dal mondo è stimata (si veda il rapporto di previsione del Csc) pari al 9,5% contro il valore nominale del 19%, quella sull’import dall’Ue è collocata sotto il 9% contro il 15% nominale. Gli americani hanno quindi pagato tasse per dazi inferiori a quanto indicano le aliquote formali e il commercio ha, di conseguenza, frenato meno di quanto si temeva.
A ciò si aggiungono i comportamenti degli esportatori volti anch’essi a salvaguardare i volumi. I dazi Usa, differenziati tra paesi, hanno aperto possibilità competitive di cui hanno probabilmente beneficiato gli esportatori dotati di potere di mercato, in grado di modificare i prezzi di vendita in quella specifica destinazione.
In tal senso, la qualità dei prodotti dell’Italia può aver aiutato le nostre vendite che hanno trovato, nella costellazione di aliquote Usa, strade per mantenere le posizioni rispetto ai competitori. Sono le reazioni di questi mesi. Non è detto che reggano a lungo, ma finora hanno attutito parte dell’impatto dello shock commerciale di Trump.
*DA In più, 11/12/2025
