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Campi, fabbriche e case a secco, l’acqua non ha colpa

E’ da quando ero bambino che conosco la siccità. Nelle campagne del Sud e quindi anche del foggiano, non era raro che, d’estate si inaridissero le sorgenti e si prosciugassero i rari fiumiciattoli e torrenti. I contadini scavavano pozzi sempre più profondi. Era una siccità temporanea, fastidiosa, spesso faticosa per gli approvvigionamenti. Il nostro clima temperato ce la faceva conoscere ma non penare. Era sopportabile durante l’estate e sapevano, sia gli urbani (ai quali spesso veniva razionata durante la giornata) che i campagnoli, che da settembre ridiventava un ricordo.

Questa estate si è annunciata con l’inaridimento del nostro più grande fiume e con tanti altri prosciugamenti, con i raccolti andati in fumo, con i rifornimenti alle attività produttive entrati in allarme, con il racconto delle magagne storiche del sistema idrico a causa di tanti sprechi e arretratezze strutturali. La siccità ha presentato il suo biglietto da visita in modo clamoroso. Non sarà un caso a sé stante, anche se c’è chi arriva a negare il fenomeno. In realtà, siamo entrati in una fase nuova e se non si fa niente, scopriremo che l’acqua è un bene comune ma anche “finito”. L’abbondanza indefinita e indeterminata conosciuta per miliardi di anni, ci sarà sempre più negata.

Anzi, l’acqua può diventare non solo avara ma anche cattiva. Quella che si forma con lo scioglimento dei ghiacciai, provoca una pressione insostenibile nei seracchi in cui si accumula e si potranno ripetere le tragedie come quella tremenda della Marmolada. Le acque liquide da fusione glaciale non sono acque chete, si fanno vedere e sentire sulle nostre montagne come al Polo Nord e al Polo Sud e nel loro insieme denunciano un’alterazione climatica sempre più veloce. L’imperativo è correre ai ripari con una visione strategica e di lunga lena.

Invece, già si vede un lavorio per trovare pannicelli caldi. Condivido quanto denuncia Mario Tozzi: “il travaso di acque dai laghi alpini al Po, la canalizzazione di acque svizzere, la desalinizzazione dell’Adriatico e magari pure del Tirreno, lo svuotamento dei bacini idroelettrici, il recupero delle acque dei distretti minerari” (Quei rimedi sbagliati contro la siccità, La Stampa 22/06/2022). Non sono opinioni, ma richieste già avanzate sia dalle Regioni per ottenere lo stato di emergenza e sia da alcuni ambienti industriali e agricoli. 

L’ansia sensazionalista della vulgata politica non consente una impostazione sistemica degli interventi da adottare e impedisce di utilizzare le risorse in modo corretto e utile. In più, non è affatto vero che porsi in una posizione di maggiore strategicità sia più costosa e meno comprensibile. La maggior parte delle persone è ormai consapevole che riparare i danni climatici ha bisogno di tempi medio-lunghi e visioni di ampio respiro. Lo sanno anche le più dirette vittime della siccità nostrana. L’acqua tornerà a non essere un problema, in Italia e nel mondo, quando si vincerà la sfida del surriscaldamento globale. Nel frattempo, però, occorrerà avere una transizione ben governata e efficace. 

Per questo, va abbandonata la convinzione che siccome siamo ricchi di acque – che è vero, siamo tra i meglio messi nel mondo – non succederà che campi e abitazioni restino a secco. I fatti la smentiscono. E’ chiaro anche che questa ricchezza va messa nelle condizioni di soddisfare tutto il Paese, non soltanto chi ce l’ha a portata di mano. Finchè l’industria e l’agricoltura intensiva – che cumulano nel Paese l’80% dei consumi idrici – non ne soffrivano, non è stato messo all’ordine del giorno il tema dell’interconnessione tra le zone ricche di acque con quelle atavicamente assetate. 

Ora che tutto il Paese ha conosciuto che vuol dire l’aridità, forse si capirà che occorrerà realizzare una rete nazionale di redistribuzione delle acque, sostenute a monte da un robusto parco di bacini di raccolta, di “laghetti” come l’ANBI (Associazione Nazionale dei consorzi gestione e tutela dei territori e acque irrigue) chiama i 10.000 serbatoi che ha proposto di costruire entro il 2030 e  a cui attingere nei periodi di scarsità. In pochi anni è stata costruita una rete nazionale per il gas, perché non crearne un’altra, semmai parallela, per l’acqua? Abbiamo delle ottime aziende pubbliche che già la erogano. Potrebbero essere quelle che si assumono l’impegno di gestire un progetto da inserire nel PNRR in corso e realizzarlo in tempi brevi, cogliendo così l’occasione per rinnovare le condotte esistenti che, com’è noto, fanno…acqua (secondo l’ISTAT se si risolvessero le dispersioni idriche si potrebbero garantire le esigenze di circa 44 milioni di persone in un anno).

Discorso altrettanto strutturale va fatto per l’agricoltura intensiva e gli allevamenti. Sarebbe interessante che si sviluppasse una valutazione critica sulla continuità di produrre e allevare prodotti e bestiame che richiedono inevitabili e crescenti esigenze idrovore. In ogni caso, le aziende agricole dovrebbero essere “obbligate” a dotarsi di sistemi di raccolta delle acque piovane, in proporzione alle loro dimensioni produttive, per non mandarle sprecate (allo stato si recupera soltanto l’11% delle piogge). E’ più un investimento che un costo. Sarebbe sorprendente, ma accolto con favore, se chi difende a oltranza il bonus fiscale del 110% si facesse portatore di una visione più mirata all’incentivazione di questo tipo d’intervento che sostenitore a oltranza soltanto di quello esistente, così esposto alla variante truffaldina. 

Questa selettività di orientamento fiscale dovrebbe valere anche per il risparmio casalingo dell’acqua. L’acquisto di ogni elettrodomestico o l’adozione di sistemi di irrigazione dei prati e delle piante ad alta efficienza non solo di energia ma anche di acqua dovrebbero essere facilitati, come elementi anche educativi per un minore spreco nelle abitazioni. Non ce ne accorgiamo, ma il rubinetto che scorre inutilmente in tante circostanze della nostra vita normale, può produrre risparmio soltanto se i convincimenti personali si orientino alla moderazione, se non alla parsimonia. Sarebbe anche un modo convincente per calmierare il prezzo dell’acqua che rischia di crescere man mano che diventa bene prezioso.

Bisogna inevitabilmente dare una manoadun cambiamento radicale del clima. Soltanto così, a partire da nostre scelte consapevoli, è possibile riequilibrare domanda ed offerta di acqua nel mondo. Ce n’è troppo poca rispetto a quanto ce ne vorrebbe, per soddisfare la sete di intere popolazioni. A ognuno la propria fetta di responsabilità. E chissà che si possa ancora ripetere con San Francesco: “laudato si’, mio Signore, per sor’acqua, la quale è molto utile et humile  et pretiosa et casta”.

 

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