La Green economy viene generalmente intesa come la crescita di sistemi di produzione con bassi impatti ambientali per una progressiva trasformazione delle attività industriali ereditate dal XX secolo al fine di contenere il degrado ambientale di natura industriale nel nuovo millennio appena cominciato.
L’espressione “Green economy” venne utilizzata felicemente in un discorso di Obama nella sua corsa alle presidenziali americane del 2008. In modo particolare il futuro Presidente degli Stati Uniti con quell’espressione indicava lo sviluppo massiccio della produzione dell’energia da fonti rinnovabili come l’attività identificativa della Green economy.
Attraverso la Green economy e le energie rinnovabili, Obama prometteva la crescita dell’occupazione, la riduzione della dipendenza degli Stati Uniti dall’importazione del petrolio dagli stati arabi e il contributo concreto degli Stati Uniti alla lotta ai cambiamenti climatici, pur non avendo sottoscritto il Protocollo di Kyoto né nel 1994, né nel 2005 quando fu la Russia a ratificare il Protocollo e a renderlo operativo.
L’espressione in ambito internazionale, a partire dai documenti prodotti da UNEP e OCSE nel 2011, è finita con l’includere oltre alle energie rinnovabili anche molte altre attività come ad esempio la strategia europea sulla riduzione della produzione dei rifiuti e lo sviluppo di tutte le attività di recupero e di riciclo dei materiali ed altre attività legate alla manutenzione del territorio , alla corretta gestione del patrimonio forestale e alla riduzione del consumo di suolo, inteso come perdita di servizi eco sistemici fondamentali per l’assorbimento dei gas clima-alteranti, nonchè a un massiccio rilancio dell’efficienza energetica che riguarda tutti i settori a partire dalle costruzioni.
Anche in Europa, sostanzialmente, non siamo più in presenza di una classificazione settoriale delle attività che hanno caratterizzato la fase iniziale della Green economy in alcune specifiche produzioni come la produzione delle energie rinnovabili.
L’Europa, che ha sostenuto e continua a sostenere un ruolo di leadership mondiale nella lotta ai cambiamenti climatici, sta perseguendo un percorso irreversibile verso la Greening economy, cioè verso un processo crescente di ripensamento ambientale, di “ambientalizzazione “ di tutta l’economia. Ma anche oltre! E’ in atto un processo di trasformazione che riguarda anche e interesserà sempre di più la stessa organizzazione della vita sociale e il modo di pensare l’organizzazione sociale. Siamo in presenza di una trasformazione antropologica culturale , cioè il modo di pensare e guardare al presente e al futuro della nostra organizzazione sociale.
La Green economy la possiamo considerare l’avvio di una nuova epoca dell’umanità rispetto all’epoca industriale, economica e sociale sviluppatasi tra il XVII e il XX secolo, mentre il XXI secolo segna la nascita della Green Society, di cui le attività industriali e quelle energetiche di nuova generazione in particolare sono le antesignane.
Le ragioni di questa trasformazione
In primis, le ragioni ambientali hanno costituito i primi stimoli a cercare un cambiamento rispetto ai danni ecologici scaturiti dall’impatto produttivo dell’industria in seguito allo sviluppo incredibile successivo al secondo conflitto mondiale.
Nel 1972 ci fu una prima conferenza internazionale a Stoccolma in cui si cercava di dare una prima lettura organizzata sul piano scientifico, sociale e politico sulle criticità ambientali del Pianeta e sempre nel 1972 veniva pubblicato il rapporto sui “ Limiti delle sviluppo” da parte del Club di Roma , che riuniva quotati e rispettati scienziati di vari Paesi che provocatoriamente mettevano in guardia dall’illusione di uno sviluppo sfrenato che non considerava la finitezza delle risorse materiali del Pianeta, a partire dagli idrocarburi, nonché delle capacità naturali di assorbire l’inquinamento.
Da queste iniziative scaturiva la decisione dell’ONU di costituire una commissione ufficiale di studi che si concluse con il rapporto Brundtland nel 1987 che ha segnato un punto decisivo con la definizione dello sviluppo sostenibile quale attività umana che non mette a rischio la possibilità delle future generazioni di soddisfare i propri bisogni, cioè l’accesso e la disponibilità delle risorse naturali, nelle stesse disponibilità di cui usufruisce la generazione presente.
Ma l’evento di non ritorno rispetto alla necessità di modificare sostanzialmente e potremmo dire “antropologicamente” l’idea di sviluppo e di futuro dell’umanità, è senz’altro la grande conferenza mondiale dell’Onu del 1992 a Rio de Janeiro, in cui è nata la grande coalizione di tutti gli Stati del Pianeta per la lotta ai cambiamenti climatici e la salvaguardia della biodiversità sul pianeta Terra.
Ed è l’Europa, l’Unione Europea, subito dopo Rio che riesce a dare un’ interpretazione anche economica e sociale e di valore strategico globale della lotta ai cambiamenti climatici e della salvaguardia della biodiversità.
Questa alternatività di un nuovo sviluppo, dello sviluppo sostenibile , cioè di uno sviluppo baricentrato sul parametro ambientale, nasce e si sviluppa progressivamente in una serie successiva di decisioni importanti vincolanti per gli Stati membri fino ad un documento fondamentale che disegna un programma di insieme che investe tutti i settori di attività e che costituisce un altro punto di non ritorno come il documento della Commissione del 2012 “Road map al 2050 – Verso l’economia low Carbon”.
Questo documento offre una visione di insieme delle caratteristiche di un diverso sviluppo rispetto a quello dei secoli precedenti , in quanto il primato della salvaguardia ambientale determina l’uscita dall’utilizzo dei combustibili fossili con un processo di riconversione energetica radicale distribuito in 4 decenni e un forte processo di efficientamento dell’uso dei materiali che riguarda e investe tutta la struttura e l’organizzazione della vita sociale collettiva ed individuale.
Le iniziali ragioni ambientali sono diventate ragioni squisitamente politiche di salvaguardia della propria libertà, autonomia e indipendenza rispetto ai fabbisogni energetici dall’approvvigionamento dei combustibili fossili da aree geografiche turbolente e sono diventate prioritarie anche le ragioni economiche in considerazione della potenziale crescente lievitazione dei prezzi di tutte le materie prime a fronte della impennata della domanda di questi materiali da parte dei paesi emergenti.
Oggi, quindi, rispetto alle iniziali ragioni ambientali, possiamo considerare le ragioni economiche e sociali e quelle politiche come direttamente interessate a fare dell’ambiente la “chiave” , la guida del nuovo sviluppo e della nuova civiltà.
La necessità di mantenere livelli elevati di competitività negli standard dell’innovazione tecnologica, si gioca sostanzialmente sul tema cruciale dell’uso efficiente dei materiali a fronte della crescita esponenziale della domanda dei materiali che i nuovi legittimi aspiranti al benessere stanno ponendo e porranno con sempre maggiore pressione su tutto il pianeta.
E’ cominciata la civiltà Green?
Oggi la politica europea dispone di una Road map al 2050 – Verso l’economia low carbon , che di fatto definisce la programmazione di tutte le attività dall’ideazione , alla progettazione realizzazione , gestione e recupero e riuso di tutti i materiali. Una programmazione che di fatto sta regolando non solo le scelte degli imprenditori europei ma anche di interi settori dell’economia mondiale. Due esempi sono significativi nei settori che inizialmente non erano considerati nella green economy , come il settore dell’auto e il settore della chimica.
La legislazione europea nel settore auto impone degli standard stringenti di riduzione delle emissioni della CO2 per kilometro percorso sia per i produttori europei che per gli importatori di vetture in Europa. Produttori e importatori devono assicurare che la media delle vetture collocate sul mercato europeo non superino una media di emissione di grammi 95 per kilometro percorso a fine 2020. Questa legislazione sta impegnando non solo i produttori europei ma grandi imprese multinazionali che operano sui mercati internazionali a sviluppare motori ad alta efficienza e nello stesso tempo a ricercare nuove tecnologie che possano utilizzare combustibili di nuova generazione al di fuori degli idrocarburi.
Anche nella chimica, oltre al regolamento europeo REACH , che sostanzialmente impegna i produttori a fornire tutte le informazioni sulla corretta gestione dei nuovi prodotti immessi sul mercato e ottengono l’autorizzazione di commercializzazione solo sulla base della loro registrazione all’autorità europea di Helsinki, generando di fatto una regolarizzazione di livello internazionale, stiamo assistendo al crescendo della “Chimica verde” che fa dei processi chimici-fisici della natura la grande banca dati di ricerca della nuova chimica.
Ma non solo la produzione! Sono saliti sul palcoscenico anche i singoli cittadini, i consumatori. La cultura degli acquisti verdi, esteso anche alla pubblica amministrazione con le normative del Green Public Procurement, la sensibilità crescente verso gli acquisti KM 0, sono un’ulteriore affermazione della nascita di una nuova e diversa società.
Quale contributo delle relazioni sindacali?
Il sistema delle relazioni industriali in Europa è stato un valido supporto alla crescita del benessere complessivo della società europea a cominciare dalla crescita fondamentale di valori inalienabili come i diritti della partecipazione, della promozione del benessere culturale e sociale e i diritti di democrazia nella società europea.
Questi diritti, fortemente minacciati, da alcuni tratti perversi della globalizzazione selvaggia tendenti ad azzerare diritti sociali fondamentali, devono trovare nuova forza e nuove responsabilità nella nuova società dello sviluppo sostenibile, nella Green Society.
Le organizzazioni sindacali hanno cominciato a rinnovare il loro bagaglio culturale e le modalità della contrattazione e del dialogo sociale in particolare in riferimento alle potenti trasformazioni che stanno interessando il mondo della produzione e dei consumi per le dinamiche scaturite dalla globalizzazione dell’economia.
Rispetto però alle novità della lotta ai cambiamenti climatici, che necessita di una trasformazione notevole dell’apparato energetico-industriale, è ancora prevalente un atteggiamento di difesa dell’esistente e quando va bene, una capacità di adattamento, adeguamento al nuovo che avanza.
Questo progetto vuole individuare i motivi , le ragioni per le quali le organizzazioni sindacali dovrebbero essere le promotrici dell’innovazione e del cambiamento “ verde” dell’economia e della società, perché il protezionismo dell’esistente finirebbe per avere lo stesso significato che a fine settecento aveva la lotta alle macchine con il fenomeno del luddismo.
L’ “inverdimento” dell’economia , della società. Perché dovrebbe coinvolgere attivamente il sindacato ?
La missione dei sindacati rimane essenzialmente quella storica e tradizionale di tutela e miglioramento delle condizioni dei lavoratori nelle prestazioni della loro attività. Ma oggi , più di ieri , è decisiva anche la crescita di disponibilità di lavoro e la Green economy e la green society sono decisamente a maggiore contenuto di lavoro sia nella dimensione qualitativa che nella dimensione quantitativa.
Il “greening” dell’economia, delle produzioni, dei consumi, dell’organizzazione della vita sociale e civile comporta innanzitutto il superamento dello scarico delle esternalità ambientali, cioè dei costi dei danni ambientali al di là delle attività economiche.
Una caratteristica dei sistemi produttivi dei secoli scorsi, fino a pochi anni fa, era il disinteresse e la mancata responsabilizzazione dei produttori rispetto ai danni ambientali provocati dagli impatti ambientali delle loro attività.
All’inizio della società industriale, questo avveniva addirittura anche rispetto ai danni e ai costi sociali dell’industrialesimo nascente . (F. Engels : “La condizione operaria in Inghilterra”. 1845). Lo sfruttamento del lavoro minorile e femminile, le vittime sul lavoro e i danni alla salute dei lavoratori, il mantenimento dei lavoratori nei periodi di inattività o di uscita dall’età lavorativa erano costi scaricati sulla collettività o sui singoli interessati.
Le lotte operaie, la nascita delle organizzazioni sindacali e la lotta politica democratica hanno significato l’affermazione dei diritti della tutela del lavoro e la nascita del welfare sociale che ha fatto dell’Europa un’area privilegiata della qualità della vita e del lavoro . Sostanzialmente oltre ad una redistribuzione sociale della ricchezza, i costi sociali della produzione sono stati internalizzati in gran parte nei costi della produzione e quindi in parte sottratti alla semplice remunerazione dei capitali.
Per l’ambiente invece, fino a pochi decenni fa, c’è stato uno scaricare totale e diretto sulla collettività e sulle generazioni future dei costi e dei danni provocati con le emissioni inquinanti solide, fluide e gassose nei terreni , nei corsi d’acqua , in atmosfera e nella stratosfera.
Il meccanismo dell’effetto serra, dovuto prevalentemente alla combustione dei combustibili fossili, e che genera a sua volta l’accelerazione dei cambiamenti climatici, è uno di queste esternalita’ ambientali. “Si parla di esternalità quando le azioni di qualcuno possono direttamente danneggiare gli altri, come quando si scaricano sostanze tossiche in un fiume o si costruiscono edifici che sono un pugno nell’occhio o si fuma in ristorante…Quando emettiamo gas serra danneggiamo le prospettive degli altri e non siamo tenuti ad accollarcene i costi, in assenza di adeguate politiche correttive” ( N. Stern “ A blueprint for a safer planet. How to manage climate change and create a new era of progress and prosperità”. 2006 )
I rischi e i costi certi e molto elevati della riparazione dei danni ambientali provocati dai cambiamenti climatici sono e saranno a carico della collettività, con un attentato alla stessa qualità e sicurezza della vita , basti considerare i fenomeni metereologici estremi crescenti e più frequenti e imprevedibili.
L’internalizzazione dei costi ambientali significa capovolgere la logica dell’ “usa e getta” che possiamo considerare l’espressione emblematica dell’industrialismo finalizzato al consumismo, con la massima dissipazione delle risorse naturali e minerarie.
E’ abbastanza intuitivo che una forma di sviluppo basato sull’”usa e getta” sia molto più inquinante e favorisca meno la produzione di posti di lavoro , rispetto a forme che assicurano un uso razionale delle risorse, la manutenzione dei prodotti e il recupero e il riciclo dei materiali quando termina la loro prima destinazione d’utilizzo.
L’”economia della Circolarità” comporta maggiore “intelligenza”, maggiore ricerca , maggiori contributi di progettazione, maggiore integrazione di competenze quindi sostanzialmente un lavoro più ricco e complesso. Ma nello stesso tempo le fasi di manutenzione, di recupero, riciclo e riutilizzo necessitano di attività lavorative apparentemente più semplici , ma che possono comportare anche applicazioni logistiche e organizzative, che oltre a sviluppare “software” di qualità necessitano di logiche partecipative e coinvolgenti, di maggiore condivisione sociale.
Quindi, al di là degli aspetti di natura prettamente ambientali, si rende necessaria una svolta nell’approccio allo sviluppo socio-economico per fronteggiare criticità che vanno ben oltre le questioni di impatto, affrontando anche l’esigenza di garantire altri diritti inalienabili, come il lavoro, così come auspicato da una più ampia e corretta accezione del concetto stesso di sviluppo sostenibile. E ciò soprattutto in questi tempi di crisi economica, caratterizzati da alti tassi di disoccupazione, consistenti prezzi dell’energia, scarse materie prime e dipendenza dalle importazioni.
Proprio su questi presupposti, il Parlamento europeo ha messo in primo piano l’esigenza di garantire la coesione sociale, ritenendo a tal fine fondamentale creare le condizioni per uno sviluppo che coniughi l’occupazione e la crescita economica con la tutela dell’ambiente, ovvero che faccia perno su quest’ultima finalità come volano di sviluppo.
Un fattore chiave per perseguire tali finalità è promuovere uno sviluppo tecnologico che combini la protezione dell’ambiente con la crescita, la competitività e la creazione di posti di lavoro. In altri termini va incoraggiata la cosiddetta ecoinnovazione, ovvero una forma di innovazione rispettosa dell’ambiente, nel senso che assicuri la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra, o più in generale che consentano di utilizzare risorse come l’acqua e le materie prime in modo più efficiente, di aumentare l’impiego di materiali riciclati e produrre prodotti di qualità con minore impatto ambientale, solo per citare alcuni esempi, nonché di sviluppare servizi e processi produttivi più ecologici.
Queste nuove forme di tecnologie, da una parte garantiscono un sempre maggiore disaccoppiamento (la misura del disaccoppiamento è anche una misura di sostenibilità dello sviluppo) tra produzione di beni e servizi e pressioni sull’ambiente, dall’altro favoriscono migliori opportunità di occupazione sia sul versante dello sviluppo del know-how, sia su quello della manodopera, grazie all’incremento notevole delle attività di recupero, riciclaggio e manutenzione favorito dalla ecoinnovazione.
I concetti sopra espressi, e in particolare quelli relativi all’esigenza di favorire recupero e manutenzione di prodotti, erano già stati enunciati nel libro bianco “Crescita, competitività, occupazione” ( dicembre 1993) di Jacques Delors, non a caso pubblicato dopo la Conferenza di Rio (1992) in cui si introduceva il concetto del “doppio dividendo”.
La nuova politica di crescita dell’occupazione e tutela dell’ambiente anche attraverso la tassazione del consumo dei beni ambientali in sostituzione delle tasse sul lavoro, dovrebbe essere in grado di realizzare contestualmente sia la tutela delle risorse naturali che la crescita dell’occupazione.
Sostanzialmente questo processo dinamico di riduzione delle esternalita’ ambientali nelle attività economiche dovrebbe determinare di per sé un maggiore contenuto di “lavoro”, come la riduzione delle esternalita’ sociali della prima fase dello sviluppo industriale ha significato maggiore e migliore occupazione con i servizi promossi dal Welfare state.
La globalizzazione della responsabilità ambientale e sociale .
Negli ultimi decenni nessuna problematica ha contribuito alla crescita di una coscienza collettiva planetaria come quella dei rischi ambientali e climatici , tanto da determinare la ricerca di strumenti economici e finanziari esigibili legalmente sul piano internazionale. Tutti gli Stati ne condividono la necessità e il dibattito e la ricerca di questi strumenti è tutt’ora in corso d’opera.
In Europa , il Protocollo di Kyoto ( Dicembre 1997) ha responsabilizzato gli Stati Membri in maniera diretta rispetto al contenimento delle emissioni dei gas climalteranti.
L’Unione Europea a sua volta ha responsabilizzato le imprese e con il meccanismo delle quote preassegnate alle industrie energivore e a maggiore emissione di CO2 , quindi di contribuzione al riscaldamento globale , le ha costrette a pagare i diritti di emissione , cioè a non poter considerare gratuito l’aumento dei rischi ambientali per la collettività.
Il principio “ chi inquina , paga” responsabilizza e coinvolge i produttori per portarli verso il greening della attività, vale a dire una forte e crescente “ambientalizzazione” della loro attività, cioè al rispetto e alla tutela dell’ambiente come bene comune e bene sociale per eccellenza.
La nascente responsabilità sociale delle imprese si radica essenzialmente sul rispetto delle norme ambientali che sono vincolanti e legalmente esigibili anche su scala internazionale per quanto riguarda gli stati europei e si allargano agli aspetti sociali dei diritti fondamentali del lavoro.
Oggi le norme tendono ad essere dinamiche e direzionate verso il miglioramento ambientale continuo, verso l’efficientamento dei processi, dei prodotti e dei sistemi.
La Road mappa non fissa solo gli obiettivi finali al 2050 ma individua le tappe intermedie al 2020, al 2030 e al 2040 per quanto riguarda la riduzione delle emissioni di CO2 , ma anche parallelamente la crescita delle rinnovabili e dell’efficienza energetica.
Lo studio che accompagna la proposta della Commissione europea sull’Economia low carbon al 2050 dimostra che anche l’occupazione realizza un saldo occupazionale positivo di sostanziale incremento.
Il dato positivo degli effetti occupazionali della strategia Low Carbon viene confermato e rafforzato dall’ultima comunicazione della Commissione Europea del Luglio di quest’anno ( COM 446/2014 del 2.7.2014 – Iniziativa per Favorire l’occupazione verde: Sfruttare le potenzialità dell’economia verde di creare posti di lavoro.)
Considerazioni conclusive.
Le tutele ambientali fanno parte degli obblighi prioritari delle classi dirigenti politiche verso i propri concittadini e queste tutele devono essere necessariamente localizzate nei territori ma in buona parte devono essere garantite anche da una buona governance globale.
Queste governance locali e globali devono essere partecipate e condivise dagli attori economici e sociali e per alcuni aspetti sono gli attori economici e sociali che hanno l’obbligo di indicare e praticare le nuove piste del futuro.
L’emergenza ambientale che interessa l’intero pianeta può e deve essere l’occasione di un miglioramento decisivo anche della qualità del lavoro e della qualità dell’attività economica.
L’Unione europea ha una missione in più rispetto alle altre aree geopolitiche del globo: unire alla salvaguardia dell’ambiente, la salvaguardia della qualità del lavoro e della qualità della vita economica e sociale.
Attraverso la lotta alle esternalità ambientali dell’agire economico, in particolare le emissioni climalteranti, attraverso il greening dell’economia, possiamo realizzare le condizioni di una convivenza planetaria in cui la produzione ecoefficiente di beni e servizi può contribuire a realizzare una competitività meno pericolosa rendendo meno necessaria la lotta per l’accaparramento delle risorse.
In questo scenario le relazioni industriali possono dare un notevole contributo, in quanto la vera scommessa non è favorire il green business, ma cogliere la necessità e l’urgenza della tutela ambientale per migliorare e rafforzare le ragioni dell’universalità dei diritti al benessere personale e collettivo.
Bibliografia
Friedrich Engels “ La condizione operaia in Inghilterra” , 1845
Jacques Delors “ Il Libro bianco : Crescita, competitività , occupazione”, 1993.
Nicholas Stern “A blueprint for a safer Planet. How to manage climate change and create a new era of progress and prosperity”, 2009.
Le diverse comunicazione dell’UE, tra queste :
COM (2014) 446. Iniziativa per favorire l’occupazione verde : Sfruttare le potenzialità dell’economia verde di creare posti di lavoro. 2.7.2014
(*) Responsabile Ambiente Cisl Nazionale