Le recenti decisioni del governo circa i vertici delle principali società partecipate hanno sollevato numerosi commenti. Più di recente sono circolate voci sul possibile ruolo delle società pubbliche nella rinegoziazione del PNRR: visto che ministeri, comuni e regioni spendono poco, trasferire risorse alle grandi imprese potrebbe garantire una spesa più rapida.
Scopo di questa nota è sollevare alcune domande critiche circa il ruolo che le società pubbliche hanno nella visione del governo.
La prima questione riguarda il ruolo internazionale delle grandi imprese a partecipazione pubblica. La politica estera dei governi occidentali è legata in misura crescente alla geopolitica dei grandi gruppi. Niente di scandaloso in questo: per fare solo un esempio, il ruolo dell’ENI nella proiezione dell’Italia in Africa e nei paesi ex-sovietici è talmente importante da rendere credibile il detto giornalistico secondo cui “la politica estera italiana la fa l’ENI”. Ma la politica estera è anche la principale linea di politica di ogni governo. Come tale è soggetta ad uno scrutinio pubblico attento, a scelte dichiarate e validate in sede parlamentare, a condivisioni negoziate tra maggioranza e opposizione. Errori di politica estera suggeriti da convenienze industriali possono avere conseguenze durature, come nel caso della forma dei contratti di fornitura pluriennali negoziati con la Russia.
In questa prospettiva il governo dovrebbe fornire elementi più chiari rispetto all’orientamento di politica estera a cui intende associare le grandi imprese. L’obiettivo di riduzione della dipendenza dal gas russo, in continuità con la linea del governo Draghi, sembra acquisito. Ma molto meno chiaro è il disegno rispetto alle politiche di difesa. Affermare il principio della sicurezza europea significa inevitabilmente ridisegnare in modo integrato il sistema di procurement militare.
La frammentazione dei produttori europei della difesa ed il loro coinvolgimento asimmetrico nei progetti di collaborazione internazionale a lungo termine sono causa di duplicazioni, di sprechi e inefficienze. Parlare di difesa europea significa inevitabilmente parlare di riduzione del numero di sistemi prodotti e commercializzati, con un processo di razionalizzazione e integrazione. Come intende il governo affrontare la sfida? Leonardo è uno dei grandi contractor europei della difesa, con ruoli di leadership in alcuni sistemi, ma dimensione complessivamente inferiore rispetto ai grandi gruppi europei. Qual è il mandato che il governo ha assegnato a Roberto Cingolani? Con quali alleanze e quali obiettivi a medio termine?
La seconda questione riguarda la strategia del governo rispetto ai temi della sostenibilità ambientale. Troppi messaggi contradditori sono arrivati in questi mesi. Viene auspicato un approccio “non ideologico”, o “realistico” alle scelte ambientali. Il che, si suppone, può significare l’esigenza di contemperare le scelte ambientali con l’equilibrio economico finanziario delle imprese. Supponiamo che il messaggio sia questo. Ora si dà il caso che uno degli esempi più potenti di compatibilità tra scelte ambientali anche radicali e performance economico-finanziarie è dato dall’ENEL. Sotto la guida di Francesco Starace l’ENEL ha diversificato le fonti energetiche, investito in capacità produttiva da rinnovabili, esportato il modello in molti paesi esteri e nello stesso tempo aumentato fatturato e margini. In meno di dieci anni la quota delle rinnovabili è passata dall’8% al 47.9% e raggiungerà nel 2030 l’85%. Chiunque ha conosciuto dall’interno l’ENEL di un decennio fa – una organizzazione rigidamente gerarchica, fatta di silos verticali non comunicanti, non integrata a livello internazionale, scarsamente innovativa, ancora abituata al monopolio nazionale – non può non riconoscere una straordinaria capacità di cambiamento. Non è quindi sorprendente che il caso ENEL sia oggi studiato nelle migliori Business school del mondo (ad esempio qui: https://www.sbs.ox.ac.uk/sites/default/files/2021-04/Enel-Case-Study.pdf).
È invece sorprendente che nel cambiare il vertice aziendale il governo non abbia sentito l’esigenza di dare una spiegazione sugli orientamenti strategici. Un fatto puntualmente messo in evidenza dagli investitori internazionali. Viene confermata la linea di progressivo abbandono delle fonti energetiche fossili per la produzione di energia elettrica? Viene confermato il ruolo internazionale di ENEL come partner delle politiche dei governi che intendono perseguire gli obiettivi di sostenibilità delle Nazioni Unite? Avrà il supporto del governo italiano quando si proporrà, come già sta facendo con grande successo, come partner affidabile a lungo termine?Oppure è alle porte – magari con l’alibi della spesa del PNRR – un riorientamento strategico che contraddice le scelte dell’ultimo decennio?
Una terza questione, che appassiona poco l’opinione pubblica ma che io ritengo fondamentale, ha a che fare con il ruolo delle imprese partecipate nel sistema nazionale dell’innovazione. È noto che l’Italia ha una presenza di grandi imprese strutturalmente inferiore rispetto ai principali partner europei. Le grandi imprese contribuiscono in modo decisivo alla spesa in Ricerca e Sviluppo (R&S), che è una delle fonti più importanti del potenziale di innovazione di un paese avanzato. Nella recente graduatoria delle 2500 imprese mondiali per spesa in R&S (https://iri.jrc.ec.europa.eu/scoreboard/2022-eu-industrial-rd-investment-scoreboard) compaiono solo 20 imprese italiane (il numero andrebbe in realtà corretto per includere le imprese con sede estera come Stellantis e Ferrari in Olanda). Al terzo posto in Italia (316 nel mondo) troviamo Leonardo, con una spesa di 584 milioni di euro nel 2021 e al settimo posto ENI (890 nel mondo), con una spesa di 177 milioni. Leonardo spende in R&S il 4.1% del fatturato, ENI lo 0.2%. Nel settore Aerospazio e difesa, Leonardo si confronta con partner europei che spendono proporzionalmente di più (Airbus il 5.6%, Thales il 5.8% del fatturato). Per ENEL l’intensità sul fatturato è comparabile rispetti ai concorrenti europei, che tuttavia sono molto più grandi. Si tratta quindi di imprese decisive per la capacità del paese di restare nella competizione tecnologica mondiale.
Un discorso a parte merita l’ENEL, che ha sviluppato un approccio alla innovazione non basato principalmente sulla R&S in-house, ma sulla mobilitazione di risorse esterne secondo il modello della Open innovation. Anche questo riconosciuto a livello internazionale come caso di successo. Ora è noto che la mobilitazione di risorse esterne (startup, spinoff, centri di ricerca) funziona solo se la grande impresa adotta un approccio a lungo termine, che diventa credibile per gli innovatori che portano contributi di idee e soluzioni. Interrompere l’esperienza sarebbe fatale.
In una competizione mondiale che si basa in modo decisivo sulle nuove tecnologie i governi stanno sviluppando strategie nazionali molto articolate, assegnando ai campioni nazionali un ruolo decisivo. Qual è il ruolo che il governo assegna alle aziende partecipate? In questi mesi la parola “innovazione” non è stata molto frequentata nella comunicazione del governo.
A me pare che le risposte a queste domande siano state per ora evasive e ambigue. Pensare di usare le grandi imprese come braccio operativo della spesa pubblica è una semplificazione, che denuncia una cultura di governo inadeguata. Occorrerà nei prossimi mesi tenere la guardia alta sul ruolo delle grandi imprese a partecipazione pubblica.
*Professore di Ingegneria gestionale, Università di Pisa