E’ di fine settembre di quest’anno l’Atto di indirizzo del Ministero di Giustizia, quello che, nell’ambito dei piani triennali, definisce le priorità politiche da realizzarsi da parte di tutte le articolazioni ministeriali nel 2017.
Può essere suddiviso in tre parti. La prima riguarda i risultati ottenuti e gli interventi messi in atto, la seconda più diretta alle indicazioni relative al miglioramento delle condizioni per le persone in detenzione, la terza contiene le 14 priorità per il 2017.
2. Vengono innanzitutto messi in evidenza i vari percorsi di riforma di questi ultimi anni, soprattutto quelli diretti a consentire alla macchina giudiziaria di riprendere a funzionare adeguatamente (ammodernamento dell’amministrazione, formazione del personale, nuovi reclutamenti)[i].
Vantati alcuni risultati, pur nella difficoltà del taglio della spesa pubblica e il persistere di un limitato sviluppo economico, quali:
- la riduzione dell’arretrato civile ( al giugno 2013 erano circa 5 milioni e 200 mila le cause civili pendenti, alla data del 30.6.2016 il totale nazionale dei fascicoli era pari a 3.886.285 procedimenti).[ii];
- il contenimento dei tempi di durata media delle cause civili scesa a 992 giorni, sotto il tetto dei 1000, Assieme al punto precedente, uno dei fattori conclamati di svantaggio non solo per i cittadini italiani ma anche per la propensione all’investimento estero in Italia;
- l’introduzione di forme alternative di risoluzione delle controversie, quali il ricorso all’istituto della negoziazione assistita[iii];
- la depenalizzazione di alcune reati, complementare al rafforzamento e alla repressione dei delitti più gravi, contro la criminalità economica e la corruzione;
- la riduzione del fenomeno del sovraffollamento carcerario[iv], causa di condanna del nostro Paese da parte della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, tramite l’adozione di misure di carattere strutturale, normative ed organizzative[v];
- l’impegno definitivo verso un modello di detenzione mirato alla rieducazione e al reinserimento sociale, potenziando le misure alternative al carcere e riducendo la custodia cautelare[vi];
- l’elaborazione di un Piano nazionale d’intervento per la prevenzione del suicidio[vii];
- le misure di osservazione del detenuto, differenziate a seconda della fase trattamentale e con particolare attenzione ai soggetti tossico‐alcool dipendenti; gli spazi detentivi adeguati per l’accoglienza dei soggetti a rischio; i programmi formativi specifici per tutti gli operatori;
- l’istituzione del nuovo Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità con le competenze relative all’esecuzione penale esterna e alla messa alla prova, con l’intento di realizzare la unificazione di due sistemi, quello minorile e quello della esecuzione penale esterna;
- la cooperazione internazionale per dare impulso al trasferimento dei detenuti stranieri[viii] verso i paesi di origine, in coerenza con le finalità rieducative della pena e della riduzione dell’affollamento carcerario. Ciò anche per la crescita dei fenomeni migratori verso l’Europa e l’allarme collegato a fenomeni di radicalizzazione[ix].
3. Per quanto riguarda le condizioni delle persone detenute vengono assunte le seguenti indicazioni:
- individualizzazione del trattamento rieducativo e differenziazione dei percorsi penitenziari;
- potenziamento dell’accesso alle misure alternative ed alla semplificazione delle procedure;
- previsione di attività di giustizia riparativa quali momenti qualificanti del percorso di recupero sociale, sia in ambito intramurario, sia nell’esecuzione delle misure alternative;
- incremento delle opportunità di lavoro retribuito, sia intramurario, sia esterno, nonché di attività di volontariato individuale e di reinserimento sociale dei condannati;
- disciplina dell’utilizzo dei collegamenti audiovisivi sia a fini processuali, tali da garantire il rispetto del diritto di difesa e la facilitazione delle relazioni familiari;
- revisione delle disposizioni dell’ordinamento penitenziario tenendo conto del riordino della medicina penitenziaria e della necessità di potenziare l’assistenza psichiatrica negli istituti di pena;
- riconoscimento del diritto all’affettività delle persone detenute e internate;
- previsione di norme che favoriscano l’integrazione delle persone detenute straniere;
- adeguamento delle norme dell’ordinamento penitenziario alle esigenze educative dei detenuti minori;
- previsione di norme volte al rispetto della dignità umana attraverso la responsabilizzazione dei detenuti, la massima conformità della vita penitenziaria a quella esterna, la sorveglianza dinamica;
- la tutela del rapporto tra detenute e figli minori[x];
- previsione di norme che considerino gli specifici bisogni e diritti delle donne detenute;
- revisione del sistema delle pene accessorie improntata al principio della rimozione degli ostacoli al reinserimento sociale del condannato ed esclusione di una loro durata superiore alla durata della pena principale;
- revisione delle attuali previsioni in materia di libertà di culto e dei diritti ad essa connessi.
4. La terza parte viene riservata alle indicazioni, tutte in sviluppo di quanto impostato e realizzato fino ad ora. E quasi completamente concentrate su funzionamento della macchina, razionalizzazione delle risorse, progetti di innovazione per gli uffici giudiziari e per le altre articolazioni territoriali del ministero, potenziamento degli strumenti statistici e di monitoraggio. A ciò si aggiungono il dialogo con l’Avvocatura e le altre professioni, il rafforzamento della tutela delle vittime di reato, l’attuazione delle disposizioni in materia di trasparenza ed anticorruzione, il rafforzamento della cooperazione giudiziaria internazionale.
Anche quelle più interessanti – nella logica riabilitative e di inclusione socio lavorativa delle persone quali politica per la giustizia minorile, esecuzione penale esterna, costruzione di un nuovo modello detentivo – proseguono in continuità con le precedenti impostazioni e prestano grande attenzione alla necessità di riorganizzazione .
5. Alcune valutazioni ed indicazioni dell’atto di indirizzo propongono qualche analisi di “controcanto”.
Innanzitutto quelle relative alle tendenze al sovraffollamento delle carceri. Se è vero che dal 2014 vi è stata una diminuzione della popolazione carceraria, è pur vero che a giugno 2016 si registra un incremento di 1.318 unità rispetto a dicembre 2015[xi]. Si tratta di capire se è un andamento congiunturale ovvero segnale di una tendenza. E quale ne è la causa. La capienza regolamentare delle carceri secondo i dati del Ministero è di 49.701 posti. Resta evidente che le condizioni di sovraffollamento pregiudicano, oltre le condizioni vitali minime, le possibilità di interventi riabilitativi e di benessere.
La difficile situazione di inclusione professionale lavorativa è attestata dalla relativa al 2015.
In questo campo viene evocata la difficoltà economica e la scelta di fornire alle persone detenute un’adeguata professionalità attraverso la collaborazione dei maggiori consorzi di cooperative sociali.
Ricordando che il lavoro dei detenuti può essere svolto sia alle dipendenze dell’amministrazione che alle dipendenze di soggetti esterni, si evidenzia come solo nell’esercizio finanziario del 2015 vi è stato un sufficiente gettito di risorse per le attività di tipo industriale interno all’amministrazione (13.540.347 euro) destinate ad esigenze di arredo e “casermaggio”. Ciò dopo una riduzione del 70% negli anni 2011 ( 9.336.355 euro) e 2012 ( 3.168.177 euro).
In questo tipo di attività industriali i detenuti dipendenti dall’amministrazione risultano essere 578 a giugno 2015 ( erano 564 a giugno 2014).
La decurtazione di bilancio ha riguardato anche il settore “agricolo” comportando una riduzione di persone impegnate (al 30 giugno 2014, 335 unità lavorative).
Altre attività di impiego interne all’amministrazione è quella della gestione quotidiana del carcere (servizi di pulizia, cucina, manutenzione ordinaria del fabbricato, ecc.). Queste attività non forniscono alcun contributo rispetto al mercato del lavoro esterno. Semmai hanno il significato di reddito. Nello stesso tempo è da sottolineare che i detenuti contribuiscono alle spese. Che la loro remunerazione, la cosiddetta “mercede”, dovrebbe essere rapportata al contratto collettivo nazionale nella misura di 2/3 del trattamento contrattuale, che l’amministrazione non riesce a garantire tale livello retributivo ed è soccombente in caso di vertenza.
Dati aggiornati a giugno 2016 indicano che i detenuti lavoranti alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria ammontano a 12.903 unità, quelli non alle dipendenze a 2.369[xii]. La percentuale di lavoranti sulla popolazione carceraria è a giugno 2016 del 28,24%. Sempre nello stesso periodo l’84,49% dei detenuti occupati era impegnato alle dipendenze dell’amministrazione (quindi con poco significato in rapporto agli sbocchi di mercato) e il 15,51% con datori di lavoro esterni.
I corsi professionali attivati nel primo semestre del 2016 sono stati 166 con 1.590 iscritti. Nella scala dei tipi di corso vi è una prevalenza di arte e cultura (25 corsi), cucina e ristorazione (23 corsi), giardinaggio e agricoltura (19 corsi), edilizia (12 corsi). Si può riscontrare una certa coerenza tra il livello di titolo di studio [xiii]delle persone detenute e la possibilità di sbocco sul mercato del lavoro.
La collaborazione con gli altri Ministeri si è concretizzata con il MIUR e Risorse agricole.
6. Osservazioni
Vi è uno sforzo necessario da parte del Ministero verso l’ammodernamento dell’apparato amministrativo della giustizia e di un correlato assetto normativo facilitante.
Ancora non sono decisivi i passi realizzati nella direzione di una politica della pena verso la piena dignità e riabilitazione della persona.
Un primo allarme è quello relativo alla ripresa del sopraffollamento dopo un periodo di ridimensionamento a seguito di interventi strutturali. La questione è se si è esaurita la potenzialità delle misure intraprese. Se sono sopraggiunte altre cause.
Il secondo e più rilevante punto di riflessione è sul lavoro e la politica di orientamento, qualificazione, inserimento lavorativo.
Sul versante del lavoro alle dipendenze dell’amministrazione va risolta la situazione del sotto salario. Afferma infatti in modo sprezzante la contraddizione con la pena a carattere riabilitativo. Conferma un trattamento differenziato e diseducativo nei confronti delle persone.
Risultano evidenti inoltre limiti di un impianto operativo che, al fine dell’orientamento al lavoro, è concentrato su sé stesso e non è in grado di utilizzare appieno tutte le risorse istituzionali, economiche e professionali interne (per i processi di riorganizzazione / riqualificazione?) e soprattutto esterne.
Innanzitutto non viene evidenziato il ruolo che può svolgere attivamente e sistematicamente, al di là del finanziamento di singoli progetti, la Cassa Ammend , visto la propria mission e la dotazione in possesso.
In secondo luogo non risulta alcuna interlocuzione con il Ministero del lavoro e delle agenzie collegate in modo da qualificare gli interventi di politica del lavoro ed i progetti all’inclusione socio lavorativa della popolazione carceraria.
Un primo esempio è un programma di qualificazione dei servizi del lavoro e degli uffici di esecuzione penale esterna al fine di attivare sportelli “carceri lavoro” visto che la popolazione carceraria deve essere comunque destinataria della politica attiva del lavoro sia a livello centrale (nella predisposizione delle normative ma anche dei programmi operativi), sia per l’orientamento delle attività nei territori (iscrizione alle liste di disoccupazione, presa in carico, progetti personalizzati, tirocini, apprendistato).
Inoltre, pur ormai nella consapevolezza che azioni di interesse nei confronti delle persone detenute sono in grado di ridurre la recidiva, nessun programma sistematico – in grado di coinvolgere ministeri e regioni – viene rivolto alle persone con un fine pena ravvicinato[xiv] in modo da metterle nelle condizioni di affrontare in maniera più congeniale la fase di transizione dalla pena al lavoro.
[i] L’attività del Ministero di Giustizia nell’anno 2015 è riportata in https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_2_15_4.page.
[iv] Per quanto riguarda il fenomeno della capienza regolamentare delle carceri italiane vedi tabella del Ministero di Giustizia da cui risulta che la maggioranza ha una condizione di sovraffollamento. Il pre rapporto 2016 di Antigone evidenzia che in 6 anni gli istituti penitenziari sono diminuiti da 209 a 193 per esigenze di razionalizzazione.
[v] Il contributo alla fuoriuscita dei detenuti verso la domiciliazione della pena è stato al 31 ottobre 2016 di 20.150 persone, di cui 1.348 donne, 6.221 stranieri, di cui 555 donne. Vedi tabella del Ministero di Giustizia.
[vi] L’incidenza delle misure alternative al carcere, lavori di pubblica utilità, misure di sicurezza, semidetenzione al 30 settembre 2016 è stata complessivamente di 32.961 persone. Vedi tabelle del Ministero di Giustizia.
[vii] Secondo il dossier “Morire di carcere” di Ristretti Orizzonti, a oggi il 2016 ha visto 23 suicidi nelle carceri italiane. 3 di questi sono avvenuti nell’istituto napoletano di Poggioreale. In 21 casi il detenuto si è impiccato. Vi è stato poi un soffocamento e un avvelenamento. I detenuti più giovani morti suicida avevano 25 anni. È accaduto nelle carceri di Reggio Emilia e di Siracusa. Il più anziano ne aveva 72 anni. È accaduto nel carcere di Perugia. Nell’intero 2015 i suicidi in carcere erano stati 43.
[viii] Per quanto riguarda la presenza di detenuti stranieri per paese di origine vedi tabella del Ministero di Giustizia.
[ix] Sono 39 secondo il Dipartimento Amministrazione Penitenziaria i detenuti radicalizzati. Sono in tutto 29.658 i detenuti che si professano cattolici, seguiti da 6.138 di fede islamica e da 2.263 ortodossi. Tutte le altre appartenenze religiose hanno numeri inferiori ai 300 fedeli. Di 14.235 persone non è stata rilevata l’appartenenza religiosa.
[x] Sono in totale 41 le madri detenute con 47 figli a carico. 14 italiane con 15 figli e 27 straniere con 32 figli. Vedi tabella
[xiv] A giugno 2016 sono 8.051 le persone con residuo di pena di un anno; 6.616 quelle con 2 anni; 5.145 quelle con 3 anni. Vedi tabella Sarebbe auspicabile che tali popolazione, prima della fuoriuscita, fossero destinatarie di interventi di politica attività del lavoro quali formazione, tirocini, auto imprenditorialità.