Occorre oggi interrogarsi.
Il dramma che si è consumato a Hiroshima e Nagasaki, suona a sufficienza quale richiamo alle coscienze sulla capacità autodistruttiva che l’umanità ha generato?
A ottant’anni di distanza, quei due lampi accecanti, quelle due onde d’urto inimmaginabili, costituiscono ancor oggi un monito intangibile, il fulcro di una avvertita coscienza?
L’atrocità di quei due momenti, le terribili conseguenze delle radiazioni, contribuirono a formare il consenso internazionale intorno a un imperativo morale: che la bomba atomica non dovesse mai più essere utilizzata.
Da quell’orrore trasse nuovo vigore il dibattito sul disarmo.
Il Trattato di Non Proliferazione del 1968, ancor oggi architrave della vita internazionale, cristallizza un impegno che ogni Stato ha assunto il dovere di onorare.
Eppure, oggi, l’architettura del disarmo e della stessa non proliferazione delle armi di distruzione di massa appare minata da irresponsabili retoriche di conflitto, quando non dai conflitti in atto.
Minacce di ricorso agli ordigni nucleari sono pronunciate con sconsideratezza inquietante.
Sono in gioco i destini dell’umanità.
Trattati fondamentali sono ostacolati o abbandonati.
Si vagheggia persino di “armare” lo spazio extra atmosferico, sottraendolo a una cooperazione pacifica a beneficio di tutti.
Il tabù nucleare – pilastro nei rapporti internazionali per decenni – viene eroso, pubblicizzando l’esistenza di armamenti atomici di cui si sottolinea la portata cosiddetta “limitata”, controllabile, asseritamente circoscritta a singoli teatri di operazioni e, dunque, implicitamente suggerendo la loro accettabilità nell’ambito di guerre che si pretenderebbero locali.
La Federazione Russa, in particolare, si è fatta promotrice di una rinnovata e pericolosa narrativa nucleare, a cui si aggiungono il blocco dei lavori del Trattato di Non Proliferazione, il ritiro dalla ratifica del Trattato sulla messa al bando totale degli esperimenti nucleari e le minacce rivolte all’Ucraina, instillando l’inaccettabile idea che ordigni nucleari possano divenire strumento ordinario nella gestione dei conflitti come se non conducessero inevitabilmente alla distruzione totale.
La Repubblica Italiana condanna fermamente queste derive pericolose.
Occorre ribadire, con determinazione inequivocabile, che una guerra nucleare non può essere vinta da alcuno e non deve mai essere combattuta.
Le potenze nucleari, soprattutto quelle che siedono quali membri permanenti nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, non possono esimersi dal rispettare gli obblighi che hanno concorso a definire.
Il dialogo strategico ha, sin qui, evitato un nuovo olocausto nucleare. Occorre impedire che la logica dello scontro porti a imboccare sentieri forieri soltanto di indicibili sofferenze, lutti, distruzione.
Le minacce si vanno moltiplicando, con lo sviluppo di arsenali la cui unica giustificazione appare quella dell’aggressione e della dominazione e non della difesa.
In questa area del mondo che ha così sofferto appare imperdonabile l’atteggiamento della Corea del Nord. Pyongyang deve abbandonare immediatamente il proprio programma atomico e missilistico, e impegnarsi nel percorso della denuclearizzazione della penisola coreana.
Al termine di una guerra disastrosa, di cui sono stati, purtroppo, corresponsabili, il Giappone e l’Italia hanno saputo contribuire alla ricostruzione di un ordine internazionale fondato su regole condivise e valide per tutti, a tutela della pace, della stabilità e, quindi, anche dello sviluppo economico e sociale.
Non è immaginabile essere, oggi, corresponsabili di un ritorno a criteri di scontri imperialistici che contraddicono il faticoso cammino compiuto dall’umanità negli ultimi ottant’anni.
Insieme siamo chiamati a sostenere le nostre civiltà e gli ordinamenti che hanno consentito loro di risollevarsi e di crescere.
Il contributo alla vicenda internazionale che Giappone e Italia hanno offerto e continuano ad offrire è tanto più prezioso nel momento in cui assistiamo a pulsioni di dominio che ruotano intorno a concetti di potenza e a logiche di spartizione in cui i popoli altrui diventano oggetti.
Desidero ringraziare il Giappone per il ruolo di primo piano nel dibattito globale sul disarmo nucleare.
Una posizione che affonda le sue radici nell’esperienza sconvolgente della devastazione atomica.
Non è un caso che durante la presidenza giapponese del G7 i leader mondiali abbiano adottato la Visione di Hiroshima sul disarmo nucleare, riaffermando con fermezza l’auspicio di un mondo libero da tali minacce. L’Italia abbraccia con convinzione questo percorso e rinnova il suo impegno nella piena realizzazione dell’Articolo VI del Trattato di Non Proliferazione.
Roma riconosce l’urgenza di un’azione condivisa che coinvolga necessariamente tutte le potenze nucleari.
Con profonda consapevolezza continuiamo a sostenere questi processi e le attività delle organizzazioni internazionali – consessi, per quanto imperfetti, imprescindibili – di dialogo e di confronto, convinti come siamo che un multilateralismo efficace sia il miglior presidio per la pace.
Non è – come qualcuno vorrebbe pretendere – un confronto tra illuse anime “belle” e “realisti”, bensì tra le ragioni della vita e le ragioni della morte. Tra le ragioni della pace e quelle dello scontro.
Tra le ragioni che hanno dato vita a ordinamenti internazionali in cui gli Stati si sono impegnati al rispetto di norme che non contraddicano mai la dignità degli esseri umani e i diritti inviolabili della persona e le ricorrenti tentazioni di assumere, dall’altra parte, comportamenti che le smentiscano nei fatti.
Le tragedie vissute nel ‘900 hanno visto gli Stati sottoscrivere Convenzioni internazionali orientate all’obiettivo di prevenire gli orrori vissuti e fra essi l’olocausto nucleare di popolazioni civili.
Ogni volta che ce ne discostiamo poniamo a rischio pace e convivenza internazionale, diritti e dignità delle persone.
* Stralcio dall’intervento del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in occasione dell’incontro con i sopravvissuti ai bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki, 08-03-2025