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Scegliere di cambiare le tutele nel mercato del lavoro

Desidero cominciare questo intervento con una considerazione: noi siamo di fronte a un scelta, o meglio alla necessità di fare un scelta. La circostanza che questa necessità coincida con l’opportunità che ci viene offerta dalla Youth Guarantee non deve indurci a confondere le due questioni. 

 La prima questione è che noi dobbiamo aver presenti due numeri. Il primo: se questo Paese non cresce del 2% all’anno, noi non riusciremo a recuperare i livelli occupazionali precedenti. Il secondo, ammesso che si riesca ad avere un simile trend di crescita, recupereremo il livello occupazionale precedente alla crisi solo nel 2020.

La seconda questione, invece, si riannoda a quella iniziale, ovvero che questo Paese deve fare delle scelte per il proprio futuro: non possiamo metterci a ragionare su come far funzionare il mercato del lavoro, senza avere idea di quale mercato del lavoro vogliamo costruire. Sul punto, non aggiungo altro: abbiamo già ampiamente lamentato l’assenza di una politica industriale in Italia.

Noi spendiamo pochissimo per le politiche attive, ancor meno per i servizi per l’impiego. Spendiamo, invece, molto per le politiche passive. Si tratta di una tendenza che riguarda tutti i Paesi europei, ma nessuno registra uno scarto così alto fra i due valori, né un tale disordine. Anche in questo caso, siamo chiamati, anche come Parti Sociali, a fare una scelta: mantenere un sistema di ammortizzatori sociali che abbiamo costruito in un’epoca completamente diversa da quella che  viviamo oppure ragionare sul modo per razionalizzare la spesa e la struttura degli strumenti attualmente vigenti. Non affrontare questo tema, rende di fatto impossibile fare qualunque investimento serio sulle politiche attive e sui servizi per l’impiego. 

Se noi continuiamo a difendere un sistema di relazioni industriali che postula l’esistenza del “grande scivolo” verso la pensione, non facciamo i conti né con la recente riforma delle pensioni, varata dal Governo Monti, né con il quadro economico che abbiamo davanti. Si tratta di un vero e proprio imperativo categorico: non possiamo più pensare di mantenere in vita un sistema come quello attuale che affida al nostro modello di relazioni industriali il compito di ricorrere agli strumenti di flessibilità in ingresso, in uscita e agli ammortizzatori sociali, per accompagnare il lavoratore alla pensione. Dobbiamo, quindi, fare una riflessione complessiva sul mercato del lavoro. Non esistono in questa sfida soluzioni “addizionali”, non abbiamo le risorse sufficienti.

Ancora una volta, dobbiamo fare delle scelte: decidere quali sono le priorità e riconsiderare, non senza sacrifici, quello che abbiamo costruito in questi anni in termini di politiche passive, ossia di politiche di sostegno al reddito. Abbiamo bisogno di strumenti diversi, di servizi che aumentino la collocabilità delle persone, piuttosto che di politiche che investono quantità ingenti di denaro per tenere in vita non un rapporto di lavoro, ma un mero collegamento fra un’impresa ed un lavoratore che non sono più tali. 

Da questo punto di vista, dico solo due cose sul tema. 

La prima, noi dobbiamo dare una risposta  alla domanda di governance che viene dal mercato del lavoro, distinguendo però, allo stesso tempo, il tema della governance da ciò che i soggetti fanno. Si tratta di decidere che  cosa affidiamo al pubblico e che cosa affidiamo al privato. Dobbiamo, inoltre, cominciare a ragionare per progetti e per territori, perché il mercato del lavoro è molto diversificato sul territorio e non si può affrontare ogni situazione con gli stessi strumenti. Infatti, anche i livelli di efficienza del pubblico e i livelli di efficienza del privato sono differenti da territorio a territorio. Dobbiamo ragionare per progetti e per premialità in base all’occupazione che gli attori coinvolti riusciranno concretamente a creare.

Il secondo argomento che dobbiamo considerare, e che integra quello dei soggetti che intermediano la domanda e l’offerta di lavoro, è quello della disciplina del mercato del lavoro e degli strumenti che l’ordinamento predispone per facilitare l’ingresso e l’uscita dal mercato. Anche e soprattutto quando ragioniamo di mercato del lavoro non dobbiamo dimenticare che la regolamentazione deve essere complessiva. Insisto nel dire quanto segue: nel nostro Paese c’è bisogno di una riflessione vera che metta insieme gradualmente una visione diversa e che costruisca un nuovo modello. Un’idea del futuro, pur sempre perfettibile, dobbiamo cominciare ad averla.

 (*) Direttore relazioni industriali Confindustria

 

 

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