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Come si elude la contribuzione e si indebolisce la previdenza

La ricognizione dei modelli utilizzati dai datori di lavoro per sottrarsi, totalmente o parzialmente, agli obblighi fissati dal sistema di sicurezza sociale evidenzia un progressivo e costante spostamento dal lavoro non dichiarato o nero al lavoro dichiarato. Lavoro dichiarato la cui forma giuridica però non corrisponde al concreto dipanarsi del rapporto di lavoro.

Il modello “lavoro non dichiarato” è per lo più utilizzato da settori quali l’agricoltura, l’edilizia e in parte il turismo. In questi settori, allorché si tratta di lavori stagionali, tipici dell’agricoltura o di alcuni settori dell’attività turistica, o di lavori edili in favore di privati, il datore di lavoro trova economicamente più conveniente, a fronte di un rischio connesso all’attività di vigilanza oltremodo basso, utilizzare lavoratori a nero.

Il modello “lavoro non dichiarato” non trova un’ampia applicazione in altri settori dell’economia, preferendo i datori di lavoro di questi settori dichiarare il rapporto di lavoro, ma dando allo stesso una veste giuridica che non corrisponde al concreto dipanarsi di esso. Tipici esempi di tale fenomeni sono stati i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, i contratti a progetto e da ultimo i rapporti di lavoro occasionale.

L’utilizzo di tali moduli organizzativi garantisce il datore di lavoro da controlli “grezzi” con i quali si va alla ricerca di lavoratori non dichiarati, costringendo il controllore pubblico innanzitutto a dedicare più tempo per ogni singola ispezione e a raffinare i metodi investigativi.

La sommaria ricognizione del fenomeno sin qui compiuta prevede un modello lineare che vede contrapporsi il datore di lavoro e il lavoratore, ma tale modello lineare è sostituito da modelli di interposizione ove il reale utilizzatore preferisce frapporre fra se e il lavoratore utilizzato organizzazione collettive, quali le cooperative o le associazioni riconosciute e non. Soggetti questi che divengono i datori di lavoro fittizi e che si fanno carico del rischio economico del mancato pagamento degli oneri di sicurezza sociale.

Tale ulteriore modello lo si rinviene per lo più in settori ad alto tasso di manualità, quali a titolo esemplificativo i servizi di pulizia, i servizi di raccolta della frutta o degli ortaggi, lo stoccaggio di merci in magazzini. Per lo svolgimento di tali attività si constata che il datore di lavoro economicamente forte affida lo svolgimento di tali attività – che non costituiscono il nocciolo duro dell’attività imprenditoriale svolta, ma che senza il corretto e puntuale svolgimento di tali attività di corredo non sarebbe consentita la regolarità dell’attività imprenditoriale – a organizzazioni collettive economicamente deboli. Recte a organizzazioni collettive che, pur apparendo formalmente punto di emersione di interessi di tutti i soggetti fisici che ne fanno parte, sono nella mani di un soggetto o di un gruppo di soggetti. In questi casi non solo i costi del lavoro e i rischi economici sono scaricati dal datore di lavoro forte su tali organismi collettivi, ma ancora il costo del lavoro dei lavoratori utilizzati da questi organismi è mediamente più basso del costo ordinario e infine tali organismi collettivi, allorché sono i responsabili dei pagamenti degli oneri di sicurezza sociali, sono inadempienti e hanno un tasso medio di vita non superiore a due/tre anni.

Tale quadro comporta pertanto contemporaneamente un impoverimento dei lavoratori utilizzati, che quando va bene percepiscono immediatamente un reddito di lavoro più basso e conseguentemente hanno una provvista pensionistica più bassa, e un impoverimento del sistema di sicurezza sociale che da un verso non riscuote i contributi nella misura ordinaria o non li riscuote del tutto e da altro verso garantisce con le risorse apprestate dalla collettività le prestazioni a tali lavoratori.

Lo scollamento fin qui riscontrato, con la creazione e poi l’utilizzo di organismi collettivi economicamente deboli se non ancillari del datore di lavoro economicamente forti, è tutto interno al sistema italiano. L’ultima frontiera sinora riscontrata riguarda la clonazione da parte di un datore di lavoro italiano della propria impresa in Stati membri della comunità europea, per poi distaccare nel territorio italiano i lavoratori assunti dal clone imprenditoriale dello Stato membro, lavoratori che sino a un momento prima erano dipendenti della società di diritto italiano. Esempi tipici di quest’ultimo fenomeno si riscontrano nei trasporti su gomma, nelle imprese edili.

In questo caso, al pari del precedente, i lavoratori e il sistema di sicurezza sociale divengono sempre più poveri, mentre i datori di lavoro nella migliore delle ipotesi, con l’oculata scelta del sistema di sicurezza sociale da applicare ai propri lavoratori, riduce i costi economici connessi alla sicurezza sociale dello Stato di origine; mentre nella peggiore si sottrae senza rischi economici di sorta al pagamento degli oneri previdenziali.

A fronte di tale delineato quadro appare oltremodo urgente, al fine di garantire da un verso la tutela previdenziale di corto e di lungo periodo in capo ai lavoratori e da altro verso il regolare e corretto afflusso di risorse economiche agli enti di previdenza obbligatoria, prefigurare una politica di prevenzione e repressione che renda economicamente non redditizio da parte del datore di lavoro dei modelli di fuga sinora utilizzati. Politica di tal fatta che lo induca a porre in essere modelli virtuosi che, anche se comportano un abbassamento del proprio profitto, garantiscono da un verso un reddito dignitoso ai propri lavoratori e da altro verso il regolare e puntuale pagamento degli oneri di sicurezza sociale. Oneri questi ultimi si ricordi che non servono a garantire posizioni a pochi privilegiati ma servono a garantire una società più equa e giusta nei confronti dei più deboli. 

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