Enrico Letta, sul finire del 2013, rientrò da Bruxelles con in tasca 500 milioni di euro da spendere subito per avviare al lavoro, sia pure nella forma del primo accostamento, i giovani NEET ed era proprio contento. Prefigurava già un’adesione di massa al progetto “Garanzia Giovani”, una entusiastica collaborazione delle Regioni, una massiccia mobilitazione di tutte le strutture pubbliche e private dedicate all’incontro tra domanda ed offerta del lavoro, tanto da azzardare un pronostico. Il progetto (nel frattempo ingrossato a 1,5 miliardi) avrebbe fatto varcare le porte delle aziende, degli enti, degli studi professionali, dell’associazionismo ad almeno 100.000 giovani entro un anno.
Nulla di tutto questo si è ancora concretizzato. L’adesione sta risultando stentata (su un bacino di oltre 2200000 di giovani, si sono iscritti poco più di 300000), la collaborazione si sviluppa come al solito a macchia di leopardo (si va dal 40% di adesioni di Marche e Friuli, al 10% della Liguria) , la mobilitazione non ha superato la soglia della routine (ci sono Regioni che non hanno ancora attivato gli avvisi per l’accompagnamento al lavoro). La scintilla non è scattata. La novità non ha alimentato energie nuove. Almeno finora. Ma, pur avendo presente che il percorso è soltanto all’inizio (il progetto scade nel 2015), ci sono buoni motivi per ritenere che lo scenario non cambierà in meglio, con il rischio concreto di non utilizzare tutte le risorse messe a disposizione. Questo sarebbe uno smacco cocente per il Governo italiano di fronte agli altri Paesi della UE, ma soprattutto rimarrebbe inevasa un’esigenza primaria di coinvolgimento dei giovani.
Ovviamente, se nei prossimi mesi, i fatti dovessero smentire questa opinione, ammetterei volentieri di essermi sbagliato. Ma piuttosto di rimanere in passiva attesa di vedere come finirà il film, sarebbe meglio ragionare sulle cause del grigio avvio e sugli interventi per aggiustare la rotta, per renderla più percorribile e per attivare interessamenti che finora sono stati piuttosto freddi. Per chiarezza va detto che “Garanzia Giovani” non va pensato come un progetto rigido, immodificabile; certo, bisogna sempre stare dentro i paletti posti da Bruxelles, ma l’adattabilità può essere praticata. Nello stesso tempo, va tenuto presente che è un progetto fortemente sperimentale e che troverà forma strutturale nei futuri PON del Fondo sociale europeo.
Non deve interessare unicamente l’individuazione di eventuali colpevoli. Le ragioni dell’insoddisfazione stanno in questioni strutturali che, se non rimosse, saranno sempre d’impaccio per un fluido circuito che unisca domanda ed offerta di lavoro. Ne cito due. La prima è culturale. I giovani, le loro famiglie non hanno confidenza con strumenti come questi nella loro ricerca di lavoro. Già hanno fatto le scelte di studio sulla scorta di opinioni e sentimenti raccolti in giro e che nulla hanno a che vedere con una ragionevole e meditata selezione delle varie tipologie di studi da intraprendere per collocarsi in posizione sincronica con le tendenze di mercato. Figurarsi se ritengono ovvio presentarsi ai centri per l’impiego, fare un colloquio d’orientamento e sulla base di questo confronto, optare per uno dei vari percorsi che sono a disposizione almeno per “annusare” il lavoro. Forse, la maggior parte degli interessati neanche sa cos’è “Garanzia Giovani” (il circuito dell’informazione non è stato capillare come la novità imponeva) e senza forse, comunque non è facilitato a prenderlo sul serio.
La seconda ragione è che la struttura di prima accoglienza, cioè il Centro per l’impiego, non sempre è attrezzato per far fronte ad un progetto di questo genere. Guai fare generalizzazioni, perché la mappa di questi punti istituzionali è veramente variegata. Ma, fatte le debite eccezioni, l’inadeguatezza sia in termini di qualità delle prestazioni che vengono richieste, sia di quantità delle risorse umane e strumentali disponibili è nota, viene da lontano e non si risolve con i pannicelli caldi.
Queste due questioni richiamano interventi che travalicano “Garanzia Giovani”. La prima sollecita la fermentazione di modalità e strumenti diffusi e resi familiari per orientare le opzioni di studio da parte dei giovani e delle loro famiglie, sin dalla scuola media inferiore. Non esiste ancora un sito che sia effettivamente conosciuto a livello capillare nelle scuole e che abitui i singoli studenti a “navigare” tra le varie opportunità scolastiche da scegliere in rapporto alle proprie vocazioni e alle prospettive di mercato. Chi ne fa le spese è la formazione professionale, schiacciata tra l’abbandono scolastico (ben il 24% degli iscritti a “Garanzia Giovani” si fermano al diploma di scuola media inferiore) e l’iscrizione ai licei. Con la conseguenza che tra i mestieri e le professioni che più soffrono di carenza di offerta vi sono quelli provenienti dalla formazione professionale.
La seconda questione porta dritto dritto alla delega iscritta nel Jobs Act per la realizzazione dell’Agenzia nazionale per l’occupazione. Il decreto delegato che la farà nascere rappresenterà un fatto innovativo ed utile alla condizione di non indulgere in improbabili rilanci pubblicistici della funzione di incontro tra domanda ed offerta di lavoro, ma di far nascere un nuovo Centro per l’Impiego, una sorta di “eta beta” locale, dotato di professionalità e strumenti per mettere sistematicamente in correlazione tutti i soggetti, pubblici e privati, interessati ad un buon funzionamento del mercato del lavoro. Soltanto in questa chiave si può apprezzare la nascita di una Agenzia nazionale come coordinatrice delle politiche attive e passive.
Nello stesso tempo, “Garanzia Giovani” potrebbe essere aggiornata sulla base dell’esperienza maturata in questi primi sei mesi. Per non correre l’alea di utilizzare soltanto in parte le risorse disponibili, sarebbe ragionevole una maggiore flessibilità nella distribuzione delle somme disponibili per tipologia di misure (accoglienza, formazione, apprendistato, tirocini, servizio civile nazionale, sostegno all’autoimpiego e all’autoimprenditorialità, mobilità transnazionale e territoriale). Solo a titolo di esempio, ma che ha una grande valenza sociale ed educativa, va ricordato che le domande per il servizio civile sono doppie rispetto a quelle che possono essere soddisfatte con le risorse proprie del Dipartimento della Gioventù. Tenendo conto che la rete di soggetti che attivano questo servizio è molto diffusa e collaudata, è meglio rafforzarne l’attrattività di esperienze piuttosto che far stagnare risorse in misure meno appetibili o meno utilizzate.
In definitiva, chi spara alzo zero su “Garanzia Giovani” fa soltanto un gran polverone. Ma anche chi suggerisce di procedere come se tutto andasse bene, fa la parte del medico pietoso. Le prime indicazioni dicono che si deve fare di più e meglio, sia nell’immediato che in prospettiva. Sia per la standardizzazione dei comportamenti delle Regioni, che per l’azione riformistica del Governo. Sia per la riqualificazione del ruolo pubblico, che per l’impegno degli operatori privati. Sia per attrarre ed orientare i giovani, che per spendere bene le risorse disponibili. E in attesa di un prossimo tagliando, mettere alla prova un po’ tutti.