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Cambiare mentalità, per evitare che la storia si ripeta

Le tormentate vicende del PNRR non devono sorprendere. La decisione di adottare una esplicita politica di sostegno alla crescita di ciascun Stato, a cominciare da quelli più in difficoltà, ha rappresentato una novità senza precedenti. Una svolta intervenuta dopo anni di rigorismo europeo sulle politiche di bilancio e sugli aiuti di Stato; con la Germania in prima fila nel non riconoscere le peculiarità finanziaria di ciascun Paese; arrivando, addirittura, a teorizzare – e quasi a praticare (vedi il caso Grecia) – un’Europa a due velocità. La scelta è arrivata dopo mesi di negoziato, che ha visto l’Italia protagonista; ma è apparsa quasi improvvisa. È stata, infatti, la tragedia del Covid a costringere anche la politica più ortodossa in tema di compatibilità, ad una riflessione su quali sono le politiche pubbliche più efficaci in situazioni di cris

Adottare un piano straordinario di finanziamenti agli Stati membri, producendo un debito comune, ha cambiato l’approccio europeo alle politiche di bilancio. Si è trattato di un rovesciamento “culturale” così rilevante che ha aperto una fase nuova. Il PNRR può, perciò, diventare un buon precedente. A meno che… la sua realizzazione non si riveli un fallimento! Bisogna, perciò, fare in modo che il PNRR funzioni, proprio per far sì che questo “precedente” si consolidi e, in tal caso, difficilmente si potrà tornare indietro. È questa una delle più importanti ragioni politiche che incoraggiano ad impedire il fallimento e a realizzare in pieno il piano europeo di finanziamenti per la ripresa e la resilienza. Infatti, una stagione diversa, di maggiore solidarietà continentale, appare sempre più necessaria. Quattro crisi globali in venti anni (le torri gemelle, la crisi finanziaria del 2008, il Covid e ora la guerra russo Ucraina) inducono a pensare che ci troveremo ad affrontare frequenti emergenze, la cui risposta necessita di strategie, governance e fonti di finanziamento globali o, almeno, continentali; comunque affrontabili e risolvibili ben oltre l’orizzonte degli Stati nazionali. Basta pensare alla crisi energetica o all’ambiente, che con la linea di finanziamento della transizione ecologica, è uno dei due assi su cui,    assieme alla transizione digitale, si regge il PNRR.

Forse anche per questa sua caratteristica innovativa e lo sforzo politico che si è prodotto nel deciderlo, il PNRR è stato blindato con regole di gestione molto severe. Dalla modalità della erogazione dipendente dallo stato di avanzamento certificato; dalla rendicontazione contabile rigorosa… sono regole molto diverse da quelle adottate fino ad allora nelle altre linee di finanziamento. 

Questa innovazione metodologica e contabile è comprensibile per almeno due motivi: il primo la dimensione quantitativa della erogazione, che solo per l’Italia corrisponde, a parità di cambio, a più di 4 volte il piano Marshall! 

il secondo motivo consiste nel fatto che si tratta, come ho già detto, di una drastica inversione di tendenza per l’Europa, ma, soprattutto, che la erogazione di una cifra così consistente è indipendente dalla virtuosità dei riceventi. Entrambi questi motivi hanno evidentemente preoccupato le autorità europee che si sono volute cautelare dal rischio di erogazioni… facili. 

Queste particolari modalità obbligano a un salto di qualità anche nella parte contabile della operazione, accrescendo una necessaria cultura del bilancio ancora problematica in molti casi… 

Ma proprio per questo, queste regole impattano inevitabilmente sulla capacità di progettazione, di spesa e di bilancio degli stessi Stati; immaginiamoci degli Enti locali, che erano e sono oggettivamente impreparati a gestire sia la dimensione delle risorse disponibili, sia le modalità richieste. In particolare l’Italia, che gode della erogazione maggiore, risente di queste carenze operative ed è esposta al rischio di non farcela. 

Col passare del tempo, questo problema, sottovalutato all’inizio, si sta dimostrando discriminante per il buon esito della operazione. Qualcuno, tra cui il sottoscritto, ha sostenuto, da subito, che il deficit organizzativo (di progettazione, esecuzione e rendicontazione) non si sarebbe risolto facilmente e che sarebbe stato necessario provvedere immediatamente affidando a qualche Istituzione o agenzia nazionale (CNEL, Invitalia o SVIMEZ per il Sud) il compito di formare gli amministratori locali. Un piano formativo che poteva (e può ancora) essere effettuato non necessariamente comune per comune, ma con esperienze intercomunali; almeno di città metropolitana. In tal modo le singole amministrazioni possono collaborare tra loro per la progettazione e la gestione degli aspetti amministrativi. Non lo si è fatto e il corto circuito è arrivato. 

Ora, per evitare il rischio di non farcela, si parla di correre ai ripari affidando la gestione e la esecuzione del PNRR ai grandi gruppi economici. Questa proposta apre scenari inediti che vanno analizzati.

Il primo è quello di evitare che questa scelta diventi un alibi per non affrontare la questione che la genera, e cioè la scarsa capacità progettuale e di spesa degli Enti locali. Sarebbe un suicidio rinunciare a perseguire il miglioramento delle performance della Pubblica amministrazione. Bisogna, quindi, capire le cause della scarsa capacità di spesa delle risorse del PNRR da parte degli enti pubblici (al momento stimata al 30%). Essa si inquadra dentro la più generale difficoltà a spendere per investimenti che attanaglia da molto tempo l’amministrazione pubblica, in particolare quella comunale. Lo si vede a partire degli altri fondi europei, che troppo spesso restano inutilizzati. E, a questo proposito, una prima risposta potrebbe essere quella di unificare i percorsi, facendo sì che PNRR, fondi europei a vario titolo, costituiscano un bacino unico di progettazione, finanziamento e rendicontazione.

La scarsa propensione a spendere in conto capitale (anni fa Daniele Franco, allora Ragioniere generale dello Stato, propose un fondo – circa 40 miliardi – in conto capitale per finanziare investimenti pubblici degli Enti locali, ma fu utilizzato al minimo) dipende, a mio parere, da più fattori. Il principale è che gli Enti locali, sono concentrati sulla spesa corrente, troppo scarsa rispetto alla crescente domanda di servizi. I Comuni sono stati schiacciati per anni da regole contabili molto restrittive (ricordiamo il patto di stabilità interno o le limitazioni all’uso dell’avanzo, o al FCDE…). Queste norme si giustificano in conseguenza delle politiche pubbliche di eccessiva spesa degli anni ‘80, ma condizionano pesantemente le policy comunali. I Comuni, quindi, non hanno né la forza finanziaria, né l’attitudine mentale per occuparsi di investimenti, salvo quelli strettamente necessari. Il PNRR è incappato in questa situazione e la si puó risolvere affrontando, contestualmente il problema degli equilibri di bilancio nel rapporto tra spesa corrente e investimenti. 

Un secondo motivo che induce le autonomie locali ad una certa prudenza riguarda i costi indiretti del PNRR che finanzia opere ma non il loro avvio e la

successiva gestione. I collaudi, ad esempio, o la manutenzione ricadono direttamente nelle casse comunali. Si può ovviare a questo inconveniente ponendo il problema a livello comunitario, nell’annunciata rinegoziazione del

Piano che il Governo intende fare. Oppure destinare una parte del fondo complementare finanziato dal bilancio italiano. 

La situazione però cambia se si parla di città metropolitane. In un recente incontro organizzato dall’Anci si è constatato che la capacità di progettare e spendere delle metropoli è in grado di reggere meglio l’applicazione del PNRR. Sarebbe utile, quindi, prima di affidarsi a soggetti “esterni” fare una seria riflessione sulla capacità di spesa degli Enti locali, individuando i livelli di maggior efficacia e facendo leva su di essi.

Il secondo scenario riguarda la rilevante consistenza del sistema delle aziende pubbliche di stato e partecipate degli Enti locali. Se sarà necessario coinvolgere, se non addirittura affidare, il portafoglio PNRR a grandi gruppi, si parta dalle Imprese pubbliche. Il panorama è vastissimo. A livello nazionale ci sono gruppi di primaria capacità organizzativa; competitor internazionali di primo livello e radicati nel territorio: Ferrovie, Leonardo, Eni, Enel, Poste… A livello locale è florida e, in molti casi, di eccellenza, una ampia rete di società partecipate; alcune (come Hera o A2A) sono diventate grandi gruppi nazionali.

In conclusione: non si possono avere a priori obiezioni a una collaborazione pubblico privato e l’occasione del PNRR è così preziosa che qualsiasi strada va percorsa per evitare di non farcela. Ma, vista la dimensione strategica e finanziaria del PNRR, che mette in gioco la credibilità pubblica, la collaborazione con le imprese private, può essere presa in considerazione. Ma non può essere sostitutiva del pubblico, in tutte le sue articolazioni. 

Nel caso si accedesse a questa strada servirà una ennesima… cabina di regia. Ma tra le tante di cui disponiamo questa può essere tra le più utili perché consentirebbe una sinergia che mette insieme compiti e competenze. 

Perciò, anche da questo versante, il PNRR può essere l’occasione per un salto di qualità del sistema paese. 

*Assessore al Bilancio del Comune di Napoli

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