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Censimento: sistema produttivo, non profit e cooperazione sociale

I primi dati del 9° Censimento Industria e servizi, Istituzioni pubbliche e Non Profit, presentati nel luglio scorso, ci consegnano un quadro del sistema produttivo, a fine 2011, costituito da 4.425.950 imprese del manifatturiero e dei servizi, da 12.183 Istituzioni pubbliche e da 301.191 Istituzioni non profit.

 

I lavoratori dipendenti sono 19.946.000, così ripartiti:
– 16.424.000 (82,3%) nelle Imprese dell’industria e dei servizi;
– 2.841.000 (14,2%) nelle Istituzioni pubbliche;
– 681.000 ( 3,4%) nelle Istituzioni non profit.
E’ interessante il raffronto con il Censimento del 2001; infatti negli ultimi 10 anni (2001-2011): – le imprese industriali e dei servizi sono aumentate dell’8,4% e gli addetti del 4,5%;
– le Istituzioni pubbliche sono diminuite del 21,8% e gli addetti dell’11,5%;
– le Istituzioni non profit sono aumentate del 28% e gli addetti del 39,3%.

Queste cifre, nel periodo considerato dal Censimento, vanno lette avendo presente che la crisi del 2008 fa da spartiacque tra due periodi (2001-2008 crescita di imprese industria e servizi e degli occupati, e 2008-2011 con decrescita, fino a determinare il saldo decennale).

E’chiaro che l’intervallo decennale dei censimenti ( un tempo troppo ampio nella società attuale), non ci consente, per questa via, di capire le dinamiche che avvengono all’interno del periodo temporale. Ma il paese cambia profondamente.

Nel periodo tra i due censimenti, se si guardano i dati in valori assoluti, abbiamo il seguente quadro: – industria e costruzioni – 919.000 addetti;
– commercio, alberghi e ristoranti + 723.449 addetti;
– servizi alle imprese + 615.000 addetti.

Nelle Istituzioni pubbliche il numero cala del 21,8% e l’occupazione registra un calo di 368.280 addetti pubblici. Nell’istruzione il calo è di 129.590 addetti, mentre nella sanità e assistenza sociale il calo è di 65.403 addetti.

Di fronte a queste diminuzioni di unità di Istituzioni pubbliche, cominciamo a vedere una dinamica molto importante, che commenteremo più avanti. Infatti nella sanità ed assistenza sociale il non profit aumenta i suoi addetti di 123.176 unità (+47,2%), mentre nell’istruzione il non profit aumenta i suoi addetti di 78.218 addetti (+76,3%).

Nella categoria Imprese di servizi nei due settori richiamati abbiamo la stessa tendenza:
– nella sanità i dipendenti di imprese private crescono di 148.375 addetti (+40%);
– nell’istruzione i dipendenti delle imprese private crescono di 13.437 addetti (+ 21,9%).
Dalla presentazione dell’Istat emerge la mancanza, per ora, dei dati dell’occupazione per classi di impresa; facendo però “quattro conti” su quelli per ora disponibili otteniamo che:

– nelle imprese e servizi ci sono 16.946.000 occupati e 4.425.950 unità produttive; dividendoli si ottiene 3,7 lavoratori per impresa;

– nelle istituzioni pubbliche il rapporto tra 2.841.000 addetti e 12.183 unità ci indica il numero medio di 233 unità

– nelle istituzioni pubbliche il rapporto tra 2.841.000 addetti e 12.183 unità ci indica il numero medio di 233 unità

lavorative;

– nel non profit 681.000 occupati in 301.191 unità lavorative significa una media di 2,2 lavoratori per ogni realtà.

L’occupazione media nel totale del sistema produttivo (imprese + istituzioni pubbliche + non profit) è pari a 4,2 addetti per unità. Continua quello che è stato chiamato il “nanismo delle imprese”, il loro carattere familiare dove, nel 72,7% dei casi, non si è visto e né si prevede un passaggio generazionale.

Questo è ovviamente un punto di debolezza di tutta l’economia italiana, in quanto oggi la dimensione dell’impresa è indispensabile per competere, crescere, investire, innovare ed esportare.

La crisi del 2008 ha ribaltato le tendenze del periodo 2001-2007, accentuando gravemente la disoccupazione, l’uso degli ammortizzatori sociali, la chiusura di aziende (che sarà più accentuata nel 2012 e nel 2013), la caduta dei volumi produttivi industriali del 25%, il calo del PIL.

Inoltre, come dice l’Istat, si è creato un “effetto sostituzione tra un settore e l’altro in termini di occupazione e unità economiche”. Ne è un esempio quanto è successo nei settori sanità e assistenza e istruzione che sopra abbiamo citato.

L’andamento occupazionale nei sottosettori ci dice che il sistema produttivo continua progressivamente la sua terziarizzazione. Il passaggio al diritto privato da parte di molti enti pubblici, l’accorpamento tra istituzioni, il blocco del turn over hanno portato ad una forte riduzione degli occupati nella Pubblica Amministrazione (P.A.), come per es. – 10,6% nei Comuni e – 8,6% nelle Regioni. Incredibilmente sono proprio gli Enti che dovrebbero essere soppressi o fortemente ridimensionati (Province e Comunità montane), a continuare ad assumere, rispettivamente con un + 11,3% e un + 42,9%! Anche la Sicilia, in controtendenza con le Regioni, continua ad aumentare il numero dei dipendenti.

Nella P.A., a fronte del calo dei dipendenti diretti, cresce il numero dei lavoratori esterni (proveniente da altre istituzioni pubbliche). Crolla ( – 21,3%) anche l’uso dei lavoratori temporanei, concentrati per circa la metà nel servizio sanitario nazionale. Come abbiamo visto il calo dell’occupazione nella P.A. nei settori da sempre affidati al pubblico, come la sanità, l’assistenza sociale e l’istruzione, si accompagna alla crescita dei lavoratori nelle imprese private e del non profit. Questo vuol dire che il sistema di welfare sta diventando meno pubblico a beneficio degli altri due soggetti, ma in particolare del non profit.

Guardiamo allora dentro alla realtà del non profit come emerge dal Censimento.

Le 301.191 istituzioni non profit (+ 28%) attivano un grande impiego di risorse umane come si vede dal seguente Prospetto 1 dell’Istat:

E’ notevole in particolare l’utilizzo di più di 4,7 milioni di volontari e di più di 680.000 dipendenti.

Sono da mettere (vedi Grafico 1 dell’Istat) in relazione istituzioni, addetti e volontari nei vari settori di attività nel non profit.

 

Nel mondo del non profit è importante la forma giuridica con la quale si articolano le diverse Istituzioni. Prevale la forma dell’Associazione non riconosciuta e quella riconosciuta; seguono le cooperative sociali, le fondazioni ed altre. Si veda su questo aspetto il Grafico 4 dell’Istat:

Nel decennio esaminato le cooperative sociali sono cresciute del 98,5% e le fondazioni del 102,1%. Le cooperative sociali che sono solamente il 3,7% delle istituzioni non profit, rappresentano invece la realtà più forte sul versante dell’occupazione con il 47,1% degli addetti sul totale del non profit; in valori assoluti si tratta di 320.280 lavoratori. Le fondazioni invece hanno 91.800 addetti, il 13,5% del totale.

La cooperazione sociale si presenta come la più grande realtà organizzata e strutturata del non profit, capace di promuovere innovazione sociale, come dimostra l’esperienza dell’inserimento lavorativo nelle cooperative sociali di tipo B.

I risultati di questa cooperazione sono anche il frutto di una filosofia e una logica di fare impresa diversa da quella tradizionale, più attenta al valore della persona e della comunità e allo sviluppo
di modelli di gestione più orientati alla partecipazione e alla responsabilizzazione.
La crescita tumultuosa della cooperazione sociale è legata soprattutto alla crisi del sistema di welfare e all’esternalizzazione di gran parte dei servizi socio-sanitari da parte della P.A..

Questa crescita, anche degli addetti, potrà portare a problemi di tutela e di qualità del lavoro (basti pensare alla diffusione dei contratti non standard o alla partita IVA che talune cooperative pongono come condizione per il lavoro) ai quali la cooperazione dovrà far fronte.

I rischi maggiori per le cooperative sociali potranno però arrivare dalla continuazione dei tagli governativi nei confronti degli enti locali, con la conseguente crisi dei servizi che questi affidano alla cooperazione: l’assistenza domiciliare, i servizi per i minori, i servizi per gli anziani, gli asili nido, il disagio, gli immigrati, la promozione sociale e culturale.

Di fronte ad un sistema di welfare ormai insufficiente ed inadeguato si pone l’esigenza di ridisegnare un nuovo modello. A lato dell’insostituibile intervento pubblico, in questo disegno dovrà trovare un ruolo sempre più esteso la cooperazione sociale, non solo sostituendo la P.A. nell’erogazione di servizi, ma stimolando una nuova domanda sociale e realizzando forme più estese di innovazione sociale.

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