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Un sistema “nazionale” e non “statale” delle politiche del lavoro

Viviamo una fase delicata per le politiche attive e per i servizi per l’impiego nel nostro Paese. Vi è una crescente sofferenza sociale che non può non essere di stimolo a un rinnovato appello per completare la riforma dei servizi per l’impiego. Abbiamo la necessità di un sistema nazionale, capillare ed efficiente, che sappia accompagnare quote rilevanti della popolazione nell’attraversamento del deserto che ancora ci separa dalla ripresa e dallo sviluppo. Premettendo che, senza lo sviluppo, poco possono fare le politiche del lavoro. Le politiche attive del lavoro sono di ausilio nel realizzare un meccanismo di sviluppo più efficace, più rapido, più puntuale di quanto non possa avvenire in mancanza di tali politiche. 

Abbiamo anche la possibilità di incamminarci in quest’opera di rafforzamento dei servizi per l’impiego immaginando un riequilibrio – pur graduale – nel rapporto tra la spesa in politiche attive e la spesa in politiche passive. Porsi l’obiettivo del rafforzamento del sistema non vuol dire dimenticare tutto ciò che si è fatto di buono negli ultimi anni. Un potenziale che ci permetterà di andare ben oltre i limiti che si sono registrati in ragione di due novità principali.    

La prima è data dalla  possibilità di riorganizzare i servizi per l’impiego in conseguenza della imminente soppressione o revisione delle Province. Il sistema non sarà più quello che abbiamo avuto in dote dal D.Lgs. 469/97,  sia che le province siano soppresse, sia che esse siano riordinate.  La seconda novità è data per l’appunto dalla  Garanzia Giovani. Un intervento esterno che ci consente di sperimentare con  risorse comunitarie interventi per servizi per l’impiego e  politiche del lavoro, riferiti ad un target specifico: i giovani. 

Sul primo punto (l’assetto istituzionale ed organizzativo) vorrei solo invocare decisioni che ci diano un assetto istituzionale e organizzativo stabile, non rimesso in discussione a ogni piè sospinto. Le scelte organizzative del  d. lgs. n. 469/97 sono state portate  mediamente ogni due anni  all’attenzione della Corte Costituzionale, per sospetta illegittimità. Non è possibile costruire un sistema e ogni due anni rimetterlo in discussione. Mi auguro che questa volta ci venga dato un  assetto istituzionale e organizzativo che si proietti stabilmente nel tempo. 

La seconda novità è più strettamente legata al tema della Raccomandazione del Consiglio Europeo dell’aprile del 2013, che invita gli Stati Membri a garantire ai giovani un’offerta qualitativamente valida entro i 4 mesi dall’ingresso in disoccupazione o dall’uscita dal sistema educativo. Ricordo che nell’approvare tale Raccomandazione l’Unione europea ha fotografato ciò che molti Stati Membri già fanno da molto tempo. Quindi la Raccomandazione non solo va letta con attenzione ma va anche adattata al nostro contesto. Essa  non promuove un’azione innovativa, ma sostiene delle attività che vengono già svolte in molti Paesi. Invero,   su questo fronte anche il nostro Paese ha già vigenti norme non molto diverse: il D.Lgs. n. 181/2000, infatti,  non dice nulla di diverso  ed anzi si rivolge ad una platea più ampia. Quindi il nostro problema non è dato dall’arretratezza del  quadro normativo,  ma dalla capacità di dargli  effettività. 

E’ bene chiarire che la “Garanzia” di cui stiamo parlando  non è una garanzia di occupazione ma  di rafforzamento della occupabilità dei giovani coinvolgendoli  in attività che li aiutino ad  avvicinarsi  al mercato del lavoro. Un intervento che mira soprattutto a sostenere l’occupabilità di questi giovani, con un occhio attento a trasformare l’occupabilità in occupazione. La natura dell’iniziativa sembrerebbe essere essenzialmente preventiva ma è chiaro che nello specifico contesto italiano questa iniziativa non può escludere i giovani disoccupati e scoraggiati che non hanno ricevuto in passato un’adeguata attenzione da parte delle strutture preposte. In altre parole,  abbiamo un problema di stock di giovani che si trovano nella condizione di Neet o comunque in difficoltà occupazione. Non possiamo interpretare pertanto la Garanzia Giovani semplicemente come un’offerta di servizi al flusso di giovani che sta per uscire dal sistema educativo o a quelli che entreranno da qui in avanti nella condizione di disoccupazione. Accanto all’azione sui flussi occorre un lavoro serio sugli stock. 

Gli annunci sulla Garanzia Giovani hanno diffuso forti aspettative: c’è un’attesa delle famiglie, dei giovani ecc. Vi è dunque la necessità di interventi efficaci, tangibili e di impatto immediato. Purtroppo noi sappiamo che la strumentazione di cui disponiamo non è all’altezza della sfida; a concorrere al determinare tale carenza hanno contribuito tutti i limiti di cui si è già detto: dalla scarsità di risorse, alla debolezza  strutturale ed organizzativa  del sistema  di servizi per l’impiego edificato  dal 1997 a oggi. Tra le tante cose che non hanno aiutato ritengo opportuno sottolineare   anche i limiti della Riforma del Titolo V della Costituzione. Essa  ha generato un quadro normativo carico di incertezze interpretative. Un contesto  più adatto a generare conflitti di competenze piuttosto che cooperazione Stato-Regioni, come dimostra l’elevato ricorso alla Corte Costituzionale (senza precedenti). 

Negli ultimi anni la saggezza dei rappresentanti delle istituzioni è stata superata tramite intese e patti Stato-Regioni: si pensi all’accordo sugli ammortizzatori in deroga o all’accordo del 2011 sull’apprendistato. Che non si sia trattato di un atteggiamento estemporaneo, ma di una direzione condivisa, lo dimostra l’istituzione della Struttura di Missione, di cui all’art. 5 del Dl. n. 76/2013: questa norma configura la Struttura come sede partecipata di Stato, Regioni e Province con compiti propositivi ed istruttori,  in attesa del riordino complessivo dei servizi per l’impiego. Con riferimento alla Garanzia Giovani e al sostegno alla ricollocazione dei destinatari di percettori di ammortizzatori sociali in deroga,  l’attività propositiva ed  istruttoria della Struttura è destinata a trasformarsi in intese in conferenza Stato-Regioni. La Garanzia Giovani si offre dunque come banco di prova per praticare sperimentazioni  sulla base di modelli d’azione nazionali  condivisi, nell’attesa che vada in porto la riforma strutturale del sistema. Per molti versi la definizione consensuale di modelli condivisi per attuare la Garanzia Giovani può fungere da terreno di coltura della riforma strutturale. Immagino l’attuazione della Garanzia come frutto di intese simili nello spirito a quelle citate in precedenza, avendo però alle spalle due nuovi interventi: la L. n. 92/12 e la l. n.  99/13, grazie alle quali potremmo immaginare intese capaci di osare di più. 

L’obiettivo sarebbe dunque quello di immaginare un modello condiviso che abbia l’ambizione di essere nazionale e non statale, garantendo a tutti i giovani residenti nelle varie regioni il medesimo tipo e qualità  di servizi. Quali i tratti essenziali di questo modello condiviso? A mio avviso  è necessario concentrare l’attenzione su almeno tre aspetti: in primo luogo, sarà importante individuare  dei livelli essenziali delle  prestazioni che ci impegnino a garantire a tutti i giovani gli stessi  sostegni  su tutto il territorio nazionale. In secondo luogo, sarà opportuno identificare puntualmente i diversi target giovanili, per poter disegnare su di loro i percorsi da offrire (che siano percorsi di formazione, di tirocinio o altri servizi). Quando parliamo di target bisogna però aver presente che occorre individuare delle priorità: occorre a mio avviso privilegiare i giovani più lontani dalla  scuola e dal lavoro, in seconda battuta i giovani privi di titoli, quindi quelli da più lungo tempo disoccupati. In altre parole, ampliando la scelta comunitaria, noi abbiamo l’obbligo di integrare la Garanzia includendo anche lo stock accumulato di giovani NEET. Non possiamo non considerare anche questi giovani come destinatari privilegiati della “Garanzia”. 

La loro lontananza dal sistema educativo e dal lavoro deve divenire l’elemento che ci porta a privilegiare  questi giovani e che ci fa concentrare su di loro il numero maggiore di azioni. Infine, ricordo quale può essere il percorso di aiuto ai giovani. Innanzitutto, esiste il problema di intercettare una fascia di questa popolazione. In alcuni casi, sono i giovani stessi ad andare al Centro per l’Impiego, ma non è sempre così. In altri casi, occorre che il sistema educativo comunichi sistematicamente chi sta per uscire dal sistema. Infine, è possibile che si debba attivare  un’attività di scouting per i giovani più lontani dalle istituzioni. Una volta intercettati, occorre offrire un primo colloquio di orientamento; se necessario occorre offrire anche un colloquio  di orientamento specialistico. Successivamente,  si aprono le azioni di sostegno all’inserimento lavorativo: offerte di lavoro, se possibile, accompagnate da un bonus, offerte di apprendistato anche all’estero, offerte di esperienze di lavoro mediante tirocini o mediante  il servizio civile, opportunità di inserimento o reinserimento in percorsi di formazione e istruzione  o, infine, accompagnamento in un percorso di avvio di impresa. 

Qualora verificassimo il successo della Garanzia per i giovani,  potremmo pensare  di estenderne l’impianto all’intera popolazione che presenta problemi di ingresso al lavoro. Non è certo questa la riforma strutturale delle politiche del lavoro, né dei servizi per l’impiego. Ma dalla Garanzia Giovani si può  partire come occasione per sperimentare  importanti aspetti  della futura   riforma complessiva. 

 

  (*) Presidente Isfol

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