In Europa i conti non tornano. Da una parte si invoca un remake del debito comune, dopo il test del Recovery Plan. Dall’altra, però, si torna alle regole sui conti pubblici, ai paletti, alle tagliole sui disavanzi. Certo, la vecchia austerity è morta e sepolta, ma il nuovo Patto di stabilità ne porta in dote qualche seme. Vincenzo Visco, economista e più volte ministro delle Finanze, ha pochi dubbi in marito, le due cose non possono stare insieme.
Cominciamo dal Def. Il governo ha scelto di prevedere solo i saldi tendenziali e non quelli programmatici. Le critiche non sono mancate, lei cosa dice?
La trovo una scelta priva di giustificazione. I precedenti in questo senso riguardano governi in scadenza, che si preparavano a lasciare il posto a esecutivi politici, legittimati a mettere le mani sulle finanze. Ma questo è un governo politico, dunque non vedo la ragione di una simile decisione.
Una spiegazione, però, ci sarà. Per esempio, per dirla con le parole del ministro Giorgetti, che l’attesa è meglio dell’incertezza…
Il motivo è secondo me politico: non sbilanciarsi troppo prima delle elezioni europee. Diciamo che è un calcolo, decidere di non impegnarsi in saldi e obiettivi che poi non si sa come mantenere. Se così fosse lo avrei però detto fin da subito, con chiarezza. Voglio dire, ci si poteva inventare dei target riservandosi, in un secondo momento, di spiegare eventuali misure. Così poteva anche passare. Invece è tutto, troppo, aleatorio.
Facciamo due conti. Il governo eredita un deficit del 7,4% dal 2023, cito i numeri dell’Istat. Al contempo si punta a confermare il taglio del cuneo fiscale, rimanendo su un disavanzo, Def alla mano, del 4,3% nel 2024. Sta in piedi?
Può stare in piedi. Ma ci sarà un aumento delle tasse, ovviamente su scala ridotta. Penso all’aliquota sugli incrementi retributivi. Ci saranno degli aumenti che non creano troppe polemiche, diciamo un po’ nascosti. L’alternativa è tagliare la spesa, ma sappiamo come va a finire ogni volta.
Giorgetti ha definito il nuovo Patto di stabilità un compromesso. Lo è certamente, se non altro perché frutto di un’intesa tra 27 Stati. Ma per l’Italia è al rialzo o al ribasso?
Direi al rialzo, perché le attuali regole sono senza dubbio più morbide. Ma nella sostanza, si torna ai modelli precedenti, quelli di Maastricht. Non è l’austerity, ma poco ci manca. Diciamo che è un piccolo passo in avanti rispetto al Patto precedente, sono regole un po’ più lasche, con un po’ più di flessibilità. Era meglio, però, la proposta di Paolo Gentiloni, che portava in dote molta più flessibilità.
E invece……
Invece è venuta fuori la solita spaccatura tra Paesi mediterranei e frugali. Per questo parliamo di compromesso, ma la svolta vera e propria nella gestione dei conti non c’è stata.
C’è una parola che in questi giorni evoca quasi terrore, Superbonus.
I numeri dell’Ufficio parlamentare di bilancio parlano di scorie per i prossimi anni. Io non capisco come abbiamo fatto ad arrivare a questo punto, bastava incrociare i dati dell’Agenza delle Entrate e dell’Enea, con quelli del Tesoro, per mettere un tetto. Chiudere insomma il rubinetto, evitando lo sfondamento del deficit. Bisogna insomma, invece di drammatizzare, intervenire per tempo.
Visco, in pochi giorni prima Mario Draghi, poi Enrico Letta e infine Fabio Panetta hanno rilanciato gli eurobond. Lei crede che la prossima Commissione europea prenderà in considerazione una replica di quanto fatto con il Recovery Plan?
Non lo so, me lo auguro senza dubbio. Ma è fin troppo evidente che il Patto di stabilità va in netta contraddizione con quanto detto da Draghi e Letta.
Come scusi?
Ha capito bene, sono due filosofie completamente diverse, quando fu fatto il Recovery Plan il Patto era sospeso per la pandemia. Le regole fiscali che stanno per tornare in vigore non hanno nulla a che vedere con spese comuni, debito comune. C’è una incompatibilità di fondo.
Detta così, si rischia un corto circuito…
Ed è proprio così, vedremo come si muoverà la nuova Commissione. Da una parte ci sono le regole del Patto, dall’altra la volontà di fare debito comune, anche per finanziare la Difesa europea.
Non mi dirà che è contrario alla Difesa europea…
Certamente la produzione di armamenti in Europa sarebbe da armonizzare, si risparmierebbero un sacco di soldi e si guadagnerebbe in efficienza. Difficile non essere d’accordo. E poi dovremmo completare l’unione bancaria, fare la politica industriale comunitaria. Ma come si può fare tutto questo se poi si rimettono i vincoli sui bilanci?
*Da Formiche.net 26/04/2024