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Europeismo autonomista versus neoatlantismo opportunistico

Non è chiaro il destino che potrà avere il Rapporto Draghi. I troppi consensi verbali, accompagnati da lunghi silenzi, non sono un buon viatico. Ma una cosa è certa: non è il solito documento accademico che si può commentare e poi archiviare. E’ un progetto politico, neanche tanto camuffato da prodotto tecnocratico. Orban, il più determinato antieuropeista, lo ha capito. “Sono d’accordo con l’analisi di Draghi, ma non sulle terapie” e l’ha dichiarato da Presidente di turno del Consiglio dei Ministri europeo.

Chi vuole un’Europa innovativa e forte sul piano economico, coesa e solidale sul piano sociale, autonoma e democratica sul piano politico ha nel Rapporto una traccia di lavoro per i prossimi dieci anni. Non è esaustiva, anzi presenta vuoti significativi circa il governo del cambiamento del lavoro e il destino del welfare state, fiore all’occhiello del modello di sviluppo dal dopo guerra ad oggi per noi e per altri Paesi dell’Unione. Essi devono necessariamente essere riempiti per assicurare finanche il successo del ridisegno del sistema produttivo di beni e servizi europeo.

Ma l’europeismo non può essere soltanto una costruzione istituzionale compiuta, il che è necessario; né può essere un apparato economico “up to date”, il che è vitale. Deve soprattutto essere un produttore di cultura politica favorevole alla multipolarità e alla pacifica convivenza. Senza quest’ultima caratura, la prospettiva è un mondo bipolare di nuovo conio, ruotante intorno agli Stati Uniti e alla Cina. I BRICS lo stanno già ipotizzando, il che non vuol dire che si tratta soltanto d’infiocchettare un pacco già confezionato. Le contraddizioni in seno ai soci sono ancora consistenti. Però, ne sembrano convinti, si incontrano spesso e questo è già un bel tratto di strada fatta.

I Paesi dell’Europa occidentale sono stati atlantisti, fino a dei sacrifici che gridano vendetta. Basti pensare che l’Olivetti aveva già sperimentato il primo elaboratore elettronico al mondo, ma non ebbe il sostegno finanziario necessario perché dagli Stati Uniti vi furono tali e tante pressioni per cui Confindustria e Governo italiano intralciarono il disegno nato ad Ivrea. Poi hanno contribuito a dare consistenza alla multilateralità, nella fase della globalizzazione e dopo la nascita dell’euro. L’enfasi atlantista si è riaccesa, quasi a prescindere dagli Stati Uniti, ripiegati su sé stessi e impegnati sia in una politica di attrazione dei capitali (anche europei) per finanziare le nuove tecnologie e sia per dare robustezza alla guerra commerciale con la Cina.

Ad alimentare questa sorta di neo atlantismo sono state soprattutto le forze sovraniste presenti nell’Unione Europea che hanno frenato il processo di integrazione federalista, in parte per convinta fede nazionalista, in parte – e forse più consistente – per pura convenienza, cercando di inzuppare la brioche in due cappuccini, contemporaneamente. Sempre Orban è stato un campione di questo atteggiamento, lucrando risorse finanziarie e investimenti dall’Europa e dagli Stati Uniti.

La proposta di Draghi è indigesta a chi persegue queste pratiche. Propone di farsi grandi tutti assieme, con i soldi propri sotto la bandiera azzurra dell’Unione Europea. Non so quanto consapevolmente, pone l’alternativa tra essere europeisti o neo atlantisti, quindi molto più che essere per l’Europa o per la Patria. Di questo si tratta quando parla di rischio di decadenza di tutti i Paesi europei se non si agisce come un sol uomo europeo. Rispetto al passato atlantismo, molto istituzionale e ideologico, il neo atlantismo è ipercapitalistico e abbondantemente opportunistico. Se allora il riferimento erano quasi esclusivamente le politiche del Presidente statunitense di turno, adesso il riferimento sono le Big Tech, i grandi Fondi d’investimento con i quali mantenere contatti e contratti a prescindere dalle scelte europee. Una prospettiva di subalternità alla potenza dei vari Musk, i quali non nascondono intenzioni egemoniche e spesso eversive. 

Gli europeisti devono fare un grande salto di qualità, per non far prevalere il neo atlantismo. Senza rinnegare l’alleanza con i tradizionali amici d’oltre Atlantico, al di là della cooperazione militare attraverso la Nato, devono innanzitutto qualificare in chiave sociale il disegno produttivistico di Draghi. Senza il sostegno sociale e delle organizzazioni che lo rappresentano non potrà avere la forza di imporsi. La Commissione Europea si ispiri a Jacques Delors per dare concretezza a questa cooperazione strategica. 

Inoltre, hanno la necessità di ricucire le maglie sbrindellate della multilateralità, come condizione per tutti di progredire, specie nei confronti sia dell’Africa (bucando il palloncino del piano Mattei) che non può rimanere preda della Cina, quanto dell’America latina (uscita dai radar della politica internazionale dell’Europa e dell’Italia). In questo modo, si favorirebbe finanche l’arresto del decadimento della credibilità dell’ONU e del diritto internazionale. 

Infine, deve saper investire sui nuovi talenti e sulle professionalità emergenti dall’incrocio tra innovazione tecnologica e cambiamento ambientale, fornendo alle nuove imprese e ai nuovi lavori una prospettiva di centralità nella creazione dell’Europa. E in questo contesto affrontare la questione dell’immigrazione come carta vincente per sopperire, almeno nel breve e medio periodo, al deficit demografico che riguarda tutta l’Europa.

Le guerre in corso appannano lo scontro tra le due tendenze, che però è nei fatti, pur in presenza di una ancora compatta tenuta sul piano della difesa dei contendenti più deboli. Ma la prospettiva verso la quale si deve andare non è rinviabile a quando le guerre si concluderanno. Anzi, più si qualifica l’anima europeistica dell’Unione e la si irrobustisce nell’immediato, più si facilita la possibilità di vedere la luce della pace in fondo al tunnel. 

Per questo obiettivo, tutti devono venire allo scoperto e giocare la partita fino in fondo. Di conseguenza, sarebbe importante che il Rapporto Draghi fosse discusso tra la Commissione Europea e le forze sociali e il suo risultato  avallato dal Parlamento Europeo e dai Parlamenti nazionali. Questi passaggi consentirebbero di dare una grande forza all’applicazione degli input concordati.

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