Se leggiamo il numero dei partecipanti al voto dal dopoguerra ad oggi, constatiamo che negli anni cinquanta la percentuale dei votanti era altissima. Scorrendo ricordi personali e cronache, ci ricordiamo di segretari di sezione, parroci e rappresentanti di lista che avevano mappe ed elenchi con i quali mandavano a sollecitare chi ancora non era andato a votare.
‘Peppone e Don Camillo’ lo abbiamo letto o visto in moltissimi.
Valore della partecipazione, identità con i Partiti e senso della Comunità costituivano un grande NOI che si manifestava nel voto come impegno individuale, sociale e anche di parte. Tutti dicevano con orgoglio di appartenere alla Comunità cui davano il proprio suffragio e la propria preferenza.
Non andare a votare … non era dato.
Si usciva da un periodo di drammatica astinenza dalle pratiche democratiche e tutti volevano partecipare alla costruzione della nuova democrazia.
C’era una piena disponibilità a fare il Presidente di seggio o lo Scrutatore; i posti erano ferreamente lottizzati e quando in una sezione elettorale il Presidente o lo Scrutatore non toccava a noi, ecco spuntare il Rappresentante di lista che presidiava il seggio, spoglio compreso, e senza retribuzione.
Anni sessanta, settanta e ottanta: sono caratterizzati dal boom economico, e dallo stato sociale importante e diffuso. Alle elezioni c’è ancora un’alta partecipazione, con i primi segnali di diminuzione legati all’allontanamento di chi non si riconosce più nel ‘corpo elettorale’ dei diversi partiti.
I cittadini, raggruppati per Comunità, Classi, ecc., erano in corrispondenza diretta con i Partiti per ceto sociale, ideologia e rispondenza tra modello di vita sociale e istituzionale proposta. I Partiti erano espressione del corpo elettorale che li candidava a rappresentarli.
Il boom economico crea i primi IO distinti dai molti NOI delle comunità politiche e sociali; la presenza del benessere sociale, garantito da assistenza sanitaria, istruzione ecc., mantiene però la fiducia sociale che le azioni delle Comunità, dei Partiti e delle Associazioni creano.
Si mantiene l’affezione dei cittadini al voto perché è palese la cons
guenza tra partecipazione e risultati sociali ed economici a favore dei cittadini.
Nell’affezione al voto c’è un altro elemento importante: il territorio conta. I Candidati proposti nelle liste sono conosciuti, e nessun Segretario di Partito si sarebbe permesso di catapultare nelle listepersonaggi sconosciuti e non integrati nel territorio. Poter essere catapultati era possibile solo se riconosciuti, nella storia dei Partiti, come elementi di forza conclamata per il Partito. Gli Indipendenti erano accettati purché discussi nelle sedi territoriali e riconosciuti come una candidatura di prestigio.
Sono questi i decenni in cui è il NOI a scegliere i candidati e a determinare gli eletti. Questo periodo coincide con quello della massima presenza e diffusione dei servizi sociali, del welfare, della crescita economica e dei consumi. Si sta costruendo una società che, pur con tutte le contraddizioni che la storia le riconosce, vede una forte crescita economica, diffusione dei servizi sociali, garanzia della salute e dell’istruzione per tutti.
È forse troppo semplicistico dire che i Cittadini ci credono, si riconoscono nei partiti e possono scegliere i candidati? Forse sì, però vanno a votare.
Le elezioni sono ancora organizzate sul NOI, e le azioni politiche e sindacali possono contare su fortissime mobilitazioni. Il valore del NOI lo ritroviamo anche nella prima stagione della concertazione in cui si tende a superare la contrapposizione per ritrovare il NOI tra il mondo del lavoro e quello delle imprese. Il NOI è espresso dallo Statuto dei lavoratori.
Le cose cambiano negli anni novanta, e anche l’Italia si sposta sempre di più sui valori dell’IO. È superfluo ricordare lo slogan delle ‘tre I’ di Berlusconi (Impresa, Internet, Inglese), gli Yuppi, l’individualismo crescente.
Le sezioni dei partiti si chiudono, gli oratori sono sempre più disertati, i loro campi di calcio in polvere e terra battuta sono abbandonati e i ragazzi cominciano a frequentare le scuole di calcio. I Partiti rinunciano al Segretario (figura del NOI) e assumono i Leaders (figura dell’IO). Le liste elettorali sono compilate dai Leaders attraverso contrattazioni sfiancanti con i capicorrente; i candidati andranno a chiedere voti a un territorio che non li conosce e che dovrebbe votarli in
quanto ‘merce garantita’ dal leader e dai capicorrente.
Si aprono i cancelli della discesa partecipativa. Il ‘NOI andiamo a votare’ diventa sempre di più ‘IO vado a votare’. Questo passaggio dal NOI all’IO nasce da una domanda che si pongono i NOI: perché? Cui prodest? Diminuite le garanzie sociali e la fiducia nella politica che ora si occupa troppo poco del quotidiano, ognuno vive il rapporto con la partecipazione al voto in termini di valutazione personale. Nei chiacchiericci risuona sempre più forte e sempre più spesso: tanto non cambia nulla, sono tutti uguali, ‘ammazza ammazza so’ tutti di una razza’. Lo Stato non garantisce la via verso il benessere dei cittadini, il “Palazzo” con le sue “Dépendances” si è intestato la politica estraniando i territori.
E allora, se non vedo la mia convenienza diretta spiegatemi perché votare!
È verso questo mondo di IO (Leaders e Candidati), che chiede ai tanti NOI di votarli e farli eleggere nelle Istituzioni, che si consolidano diffidenze e sospetti, accompagnati e amplificati dalla discesa del Welfare: si tenta di contenere il debito pubblico con la diminuzione dei servizi e dello stato sociale invece che con una politica di sviluppo e crescita reale. La salute? Il cittadino o se la paga, o si accontenta di ‘merce sempre meno pregiata’. La scuola? Campa cavallo …. La ricerca e l’Università? Finora sono state finanziate anche troppo. Della cooperazione internazionale è meglio non parlare. Inizia quindi il gioco dei tagli. Del resto lo Stato e la Società hanno un debito a lievitazione crescente e costante, unito a forti spese per il sistema corruttivo e a mancati incassi causati dall’evasione fiscale, che fanno sì che il barile sia già raschiato.
I NOI si interrogano sulla partecipazione al voto in modo sempre più insistente: che cosa ci andiamo a fare?
E come nel crescendo rossiniano in cui ‘la calunnia è un venticello’, diventa ‘un rombo di cannone’, la partecipazione si assottiglia sempre di più fino alle percentuali delle ultime elezioni europee.
Tra chi continua a frequentare come votante i seggi elettorali, ci sono sicuramente i molti IO che in modo diretto o delegato possono partecipare o godere i vantaggi che le rappresentanze istituzionali possono garantire. Non è un caso che le elezioni locali raccolgono un maggior numero di votanti.
Continua a frequentare i seggi anche una parte della cultura del NOI
che non riesce a perdere le buone pratiche della partecipazione. Votano una lista e, se non si sentono rappresentati, votano (ma non sempre lo fanno) scheda nulla per dimostrare che non essendo rappresentati dalle liste in elenco votano la lista che non c’è. Purtroppo anche le schede nulle stanno scomparendo dalle percentuali dei votanti.
È una fine triste e, a conferma della progressiva disaffezione alla partecipazione, scompaiono dalle analisi pubbliche del voto i numeri assoluti. Si ragiona solo sulle percentuali misurando il consenso sociale sui numeri relativi dei partecipanti come se il problema della rappresentanza e della legittimità della delega non riguardasse l’intero corpo di chi ha diritto al voto.
È evidente che su un argomento così complesso non si può né semplificare né ridurre; una considerazione però è senz’altro legittima: l’astensione al voto coincide sì con la sempre minore partecipazione dei Cittadini alla politica attiva, ma anche col tracollo dello stato sociale e il peggioramento delle condizioni sociali. Tanto più cresce la preoccupazione per uno Stato che non garantisce il benessere dei Cittadini, tanto più cresce il ‘che ci vado a fare’.
I cittadini diventano quindi una somma di IO, ognuno teso a garantirsi un po’ di benessere in questo malessere sociale che non trova risposta nelle azioni collettive. Ognuno si sente sempre meno, sempre più monade.
E allora?
Non ci sono formule, ci sono processi di cultura politica, di cultura istituzionale, di cultura sociale dello sviluppo e di formazione del benessere sociale.
*Pedagogista