Nel settore della salute gli IO e i NOI sono tanti, con aspetti diversi e spesso in conflitto anche al loro interno. C’è l’IO del primario con équipes anelanti di lavorare con e per LUI in strutture lussuose; c’è l’IO del “Povero Cristo” che aspetta mesi per un esame e, quando sarà, dovrà scegliere tra un pasto energetico o il ticket da pagare; c’è l’altro “Povero Cristo” che vede la sua prenotazione fissata per le calende greche mentre, se avesse potuto pagare l’intra moenia (stessa struttura, stessi medici), avrebbe potuto usufruire di un calendario di pochi giorni.
E chiaro che descrivo gli apici (ma non le eccezioni) di un fenomeno distorto e sbagliato; la verità è che siamo sempre più lontani, come coscienza e azione istituzionale e politica, dal valore sociale della salute e dalla consapevolezza che la salute dei cittadini, essendo un valore complessivo, comprende anche quello economico. Il monte salute presente nella società contribuisce negativamente o positivamente alla ricchezza della società sia come spesa sia come non spesa.
L’efficienza sociale di un mondo in salute è un obiettivo da raggiungere.
Se questi sono gli apici, nel mezzo ci sono altrettanti IO e NOI equamente ripartiti tra “operatori”, “pazienti” (i malati che si curano all’interno del servizio pubblico), “clienti” (i malati che si curano nelle strutture private). Anche tra gli operatori c’è l’IO – NOI dove il NOI spesso coincide con il LORO, che raccoglie altri Poveri Cristi (ci sarà un motivo se tanti “cervelli” fuggono) che lavorano nelle strutture private della salute, in ruoli secondari e subalterni; c’è il NOI-LORO dei medici di base e del servizio pubblico, specialisti in diagnosi per telefono e nei dirottamenti verso indagini “con tecnologie” disponibili in tempi certi per “i NOI Pazienti Poveri Cristi” solo in istituti privati; c’è il NOI dei Ricercatori Universitari (anche loro troppo spesso categoria del “NOI Poveri Cristi”, precari e sotto-pagati) che operano nella ricerca di base sotto-finanziata in quanto lontana dal ritorno economico diretto per le industrie farmaceutiche.
A fronte c’è il NOI ampolloso e ristretto dei pochi che governano e dirigono la ricerca applicata e finalizzata, finanziata dalle grandi case farmaceutiche e da chi ha il duplice interesse del ruolo nelle riviste di
prestigio e nei convegni (tutto pagato) di presentazione di cure e farmaci, e del guadagno nella vendita di farmaci, tecnologie e sistemi di cure.
Eppure le soluzioni ci sarebbero se si pensasse di gestire la salute nelle regole del “servizio sanitario pubblico”, che comprenda oltre alla cura della malattia anche la ricerca, la sperimentazione, il rapporto con discipline e centri di ricerca che studiano le condizioni ambientali, urbane e del lavoro, nonché il mondo agricolo e i suoi prodotti, l’industria alimentare, ecc.
Vanno allargati i confini operativi delle Università e delle loro Facoltà, in modo che cura, ricerca e formazione siano sempre più un corpo unico, che faccia di ogni diagnosi il presupposto di una terapia efficiente e celere, ed anche lo studio per una prevenzione efficace. Ogni malattia è l’espressione di una condizione individuale, ma anche sociale e ambientale in grado di ripetersi a grande scala. Ogni malattia è un “prototipo”, un caso di studio di come in un ambiente determinato si possano produrre o accentuare malattie, favorire o negare soluzioni. La medicina ha sempre lavorato e dato valore alle statistiche e la malattia come “prototipo” partecipa alle “statistiche” su evoluzione e involuzione di individui diversi che vivono in ambienti diversi e quindi hanno reazioni diverse. Sono indirizzi di ricerca e di cultura del vivere che permette alla medicina di entrare in sinergia con le scienze sociali, con l’ecologia, con le scienze dello sviluppo, dell’economia e del territorio.
Dobbiamo tendere verso quello che è (o dovrebbe essere) il vero presupposto della medicina nel servizio pubblico: curare il cittadino e assisterlo nella prevenzione, rivolgendosi in modo sistemico e complesso a chi studia la salute dell’ambiente e della società nel lavoro, nella residenza, nell’alimentazione.
Curare è stato ed è lo specifico della medicina; prevenire e non far ammalare, richiede studi e azioni sistemiche e complesse che la medicina può garantire, partecipando e coordinandosi nel sistema universitario, nella ricerca pluridisciplinare e interdisciplinare e nell’applicazione.
Oggi gli strumenti della conoscenza ci sono; è inutile ripeterci sui nuovi saperi della genetica, dei rapporti tra energie introdotte (“dall’ambiente” agli alimenti) e i nostri modi di consumarla. Visto il peso
che queste condizioni hanno sulla struttura chimica e fisica dei cittadini e dei luoghi in cui vivono, è fondamentale che il servizio sanitario pubblico introduca nel suo paradigma i valori della salute nei condizionamenti che luoghi e società impongono.
Per fare questo (prescindendo dagli esempi eclatanti dell’uranio impoverito, ILVA, amianto) serve molta ricerca di base, e molta conoscenza sistemica e complessa; serve soprattutto che istituzioni e politica ritornino al valore sociale ed economico della salute diffusa, sorretta dalla medicina preventiva e curativa.
La medicina nella sua attività di prevenzione deve avere le opportunità di dialogo scientifico inter e pluridisciplinare, nonché gli strumenti per intervenire, con ragion di causa, sulle qualità per l’uomo e per la società, dei cicli produttivi, sia alimentari che di consumo, sulla formazione e gestione del territorio. E inoltre, perché ogni prodotto di qualsivoglia genere che esce sul mercato non viene testato nei tempi giusti sulle conseguenze possibili? Ma quanto altro amianto saremo costretti a respirare? Anche qui il rapporto virtuoso delle Università con la loro multidisciplinarietà diventa fondamentale.
Anche per la medicina è tempo che si annuncino nuovi matrimoni con l’ecologia e le scienze dell’ambiente. Per introdurre una prima conclusione, partiamo da un dato: tutti sappiamo che le economie di scala fanno risparmiare individui e società, creando efficienza e sicurezza sociale e individuale.
Se l’obiettivo della medicina deve essere quello di non far ammalare oltre che quello di curare, dobbiamo dare attenzione anche a un terzo “NOI Poveri Cristi ”, che sono quelli che non riescono a prevenire l’aggravio e/o il ripetersi del male, che non possono evitare la vittoria dei tempi subdoli della malattia.
Che nessuno dica che quest’ultimo punto è nelle cose; quanti “NOI Poveri Cristi” devono aspettare le calende greche per una visita specialistica o per un esame eseguito con apparecchiature tecnologiche. È inutile ripetere l’ovvio; il sistema sanitario deve essere efficiente nella prevenzione e nell’attuazione, deve assistere e proteggere i cittadini con scienza e coscienza.
Nella mia lunga esperienza come medico nel servizio pubblico, so che questo si può fare e tanto più oggi che informatica, digitalizzazione e perché no, intelligenza artificiale, possono essere usati come servitori fedeli ed efficienti per il controllo costante del rapporto prevenzione – conoscenza – cittadino.
Provo a suggerire come.
Tutti noi abbiamo una tessera sanitaria con un microchip che può essere caricato con un’infinità di dati. Sulla base dei dati oggettivi (età, genere, sesso, ecc.), delle malattie avute, dell’ambiente in cui si vive abitualmente (qualità dell’aria ecc.), dell’abitazione in cui si risiede (tipo di alloggio e di quartiere), del lavoro, delle abitudini o necessità di vita (attività fisiche, uso dei mezzi meccanici, ecc.), si può costruire un quadro delle analisi cliniche e delle azioni fisiche e terapeutiche, che ognuno di noi deve eseguire per avere costantemente sotto controllo il suo quadro strutturale.
Questi dati, processati da un elaboratore sotto controllo attivo di equipe mediche, evidenzieranno date, azioni e strumenti che ogni cittadino deve compiere, attuare, ecc. per prevenire l’accentuarsi o l’insorgere di malattie possibili per il suo quadro strutturale. Del resto già oggi e con un sistema operativo simile, l’ACI ci ricorda quando dobbiamo pagare la tassa di proprietà dei nostri veicoli.
Dai dati processati si possono prospettare due vie: per il cittadino efficiente, in salute ecc., il memento delle azioni da compiere sarà accompagnato dalla dicitura “VENGA”, mentre per i cittadini che per età o salute sono meno efficienti, il memento sarà accompagnato dall’espressione “VERREMO”. Il passare dell’età è un normale transito da quando possiamo dire “vado” a quando preferiamo sentirci dire “vengo”… a farti le analisi, la fisioterapia, ecc.
Un’ultima considerazione: il personale medico e paramedico è insufficiente. Il numero chiuso per le Facoltà di Medicina e l’emigrazione dei cervelli, hanno reso scarso e ricattabile il patrimonio umano disponibile; favoriamo le iscrizioni e diamo risorse alle Università.
Senza la cultura e i suoi operatori non si va da nessuna parte.
* Medico