Mancano sessanta giorni. Il Governo ha lavorato, in questi ultimi 4 mesi, nella Struttura di Missione creata per preparare il terreno. Certamente la Garanzia Giovani è un programma non nuovo per molti Paesi europei. Nei Paesi nordici e da qualche decennio nel centro Europa è politica normale. L’Unione ha deciso di consigliarla ai Paesi della fascia del Mediterraneo, più colpiti dalla disoccupazione giovanile, nella consapevolezza che questi problemi non si risolvano solo con le politiche del lavoro.
Ci vuole più occupazione. Ma le politiche del lavoro possono aiutare. Soprattutto sul fronte dell’occupabilità. Ma intervenendo sui giovani anzitutto accogliendoli rappresenterebbe già un messaggio di non poco conto, per loro e per le loro famiglie. Quindi prendere in carico i giovani e accoglierli è già di per sé un passo avanti notevole per la nostra situazione. Dove peraltro è già previsto nel nostro ordinamento che queste cose dovrebbero essere fatte.
D’altra parte, senza voler rincarare la dose, noi siamo il Paese in cui le riforme si fanno cambiando le norme e indicando obiettivi. A quel punto sembrerebbe tutto fatto, senza pensare al piccolo particolare che poi gli obiettivi vanno raggiunti e oltre le norme ci vuole l’amministrazione, la governance ecc. Un anno fa, quando l’Ocse è stata invitata in Italia per fornire una prima valutazione sulla Legge Fornero sull’occupazione, il Segretario Generale – dopo aver riconosciuto vari elementi positivi in questa Legge – ha concluso il suo discorso indicando tre raccomandazioni particolari da farvi come Paese, tre parole: “implementation, implementation, implementation”. Per dire che le norme scritte vanno molto bene, ma manca un piccolo particolare che vediamo poco nel vostro Paese: l’implementazione di ciò che dite di voler fare.
Non so se anche la Garanzia Giovani rimarrà sulla carta o sarà implementata. Lo sforzo va in quella direzione. Anche se dobbiamo ricordare anche i molti vincoli che sono la corona di tali sforzi e che sono importanti. E ciò non per metterci a riparo sin da ora da eventuali critiche, ma non saremmo onesti se non li riconoscessimo. Si tratta di vincoli che sono stati citati anche da altri degli intervenuti. Il primo aspetto riguarda l’assetto istituzionale, tuttora in fase di riforma con il dubbio sull’attribuzione tra Province e Comuni. Tuttavia i Centri per l’Impiego per ora sono lì, e quindi devono essere messi in condizioni di operare. Per quel che possiamo fare stiamo cercando di evitare i vari provvedimenti che andrebbero verso un ulteriore indebolimento del personale impegnato in questi Centri per l’Impiego.
Secondo aspetto riguarda ovviamente le risorse. Uno dei motivi per i quali alle parole non sono seguiti i fatti riguarda anche questo. Anche i dipendenti dei Centri per l’Impiego sono bersagliati dalla critiche che generalmente vengono portate al pubblico dipendente italiano: si parla di personale demotivato, non sufficientemente professionalizzato ecc. In questo caso, va però detto che trattasi di un mestiere piuttosto difficile fatto in un sistema in cui noi spendiamo un decimo di quanto spendono gli altri Paesi: una proporzione che vorrà pur dire qualcosa. Questo ci ha portati in tali condizioni, avvitati in un circolo perverso, in cui il sistema non funziona e – si dice – non bisogna spendere in un sistema che non funziona. D’altra parte non possiamo certo spendere i 5 miliardi di euro della Germania o della Francia, o i 5 miliardi di sterline della Gran Bretagna. Non ci sono. Non ci sono per la cassa integrazione quindi figuriamoci se li troviamo per i Centri per l’Impiego. Ma questa è un’occasione per cercare di fare qualcosa in più in termini di implementation.
Nella Struttura di Missione abbiamo coinvolto tutti quei soggetti istituzionali che potrebbero essere chiamati a raccolta per fare qualcosa di più di quanto non si sia fatto sinora. Peraltro mi sembra esagerato dire che non si sia fatto nulla sinora. Ci sono molti punti in cui il nostro sistema di politiche per il lavoro funziona, anche bene. Esperienze provinciali, di Centri per l’Impiego, in collaborazione con le Scuole, le Università, il Terzo Settore. In alcune Province sono stati fatti investimenti, costruite reti. Quindi lo scopo è rafforzare queste tendenze che in alcuni casi si stanno già sperimentando. Sono quindi stati chiamati a raccolta i vari attori impegnati o impegnabili nella filiera che in qualche modo serve a fronteggiare il disagio occupazionale, ma anche la dispersione scolastica e l’orientamento dei giovani in uscita dai percorsi scolastici. Le risorse vanno impegnate in questo senso.
Questo è dunque il piano che sinora stiamo realizzando assieme alle Regioni. Sono le Regioni le depositarie delle politiche attive del lavoro nel nostro Paese. Questo è scritto e va attuato. Ci sarà un programma nazionale, abbiamo già concluso un Protocollo, che verrà reso pubblico molto presto, che darà le linee generali di quanto si vorrà fare. Subito dopo seguirà, a breve termine, un piano più operativo in cui a livello nazionale verranno indicati i target (sono 1,2 milioni i Neet fino a 24 anni), le misure e gli strumenti, i sistemi di monitoraggio, gli interventi di sussidiarietà. Il tutto sempre condiviso con le Regioni. Siamo convinti che di questi 1,2 milioni non tutti avranno bisogno di essere seguiti a lungo. Si dovrà stabilire un criterio di priorità in base alla distanza dal mercato del lavoro. Poi le azioni. Non sono tante nell’elenco, ma vanno articolate per compilare dei percorsi. Soprattutto vanno individuati i criteri per applicare la premialità: chi ha in delega le cose deve farle. Una premialità che va introdotta anche nei confronti del pubblico, laddove il pubblico è fatto anche dalle Regioni. Verificheremo assieme, man mano che si andrà avanti, il raggiungimento degli obiettivi da parte delle Regioni e porremo dei rimedi.
Questo è quanto stiamo mettendo in campo. Dopodiché io ritengo che, se riusciamo a ottenere qualche risultato in una strada di implementazione, può realizzarsi quel clima, quell’ambiente, favorevole ad andare avanti. La scommessa è questa. Bisogna fare di più con questa rete di soggetti che ha queste due regie fondamentali – il Governo a livello centrale e le Regioni che implementano sui territori – e ottenere maggiori risultati, fare sistema. Il risultato è anzitutto il seguente: ricevere un apprezzamento da parte delle famiglie e dei giovani. Quanto basta per far scattare la molla di un’opinione pubblica favorevole: lì si potrà andare avanti. Riuscire a far capire che da una forma di cooperazione tra diversi soggetti istituzionali, governandoli un po’ assieme, si costruisce un sistema più solido che continui in futuro perché altrimenti dopo due anni finisce tutto. Sarà un’agenzia nazionale/federale.
Dobbiamo certamente renderci conto che ogni Regione ha il suo modello. Anche se parliamo del rapporto tra pubblico e privato, persistono modelli molto diversi. Anche se la Costituzione è scritta in un certo modo, quei modelli rimangono. La differenziazione talvolta è fonte di ricchezza e anche di una sana competizione. Ma dobbiamo renderci conto che trattasi di modelli per certi aspetti anche completamente diversi. Questa è una scelta politica che è già stata fatta, ma che dobbiamo ora accettare. Questo va fatto presente, non credo rappresenti un ostacolo che possa anche favorire un sistema nazionale.
In conclusione, va detto che certamente devono entrare nel sistema anche le politiche passive: ovunque le politiche passive sono legate a quelle attive. Oggi, da noi, le passive sono gestite dal centro, mentre le attive dalle Regioni. Se guardiamo al futuro, non c’è dubbio che trattasi di due fronti che vanno assolutamente messi assieme. Noi abbiamo il dovere di fare politica di attivazione nei confronti di coloro che sono negli ammortizzatori sociali. Attivazione che in Italia è normativamente prevista, ma non si fa. Ecco, dunque, che un’agenzia nazionale, oltre a dare risposte ai giovani, debba dare risposte al Paese: creare le strutture e gli strumenti affinché il Paese sia dinamico, dove le politiche di attivazione sono sistematicamente un modo per accompagnare il mercato del lavoro nel suo complesso.
(*) Sottosegretario Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali
Sintesi intervento non rivista dall’autore