A partire dai dati forniti nelle relazioni introduttive alla giornata vorrei portare alla attenzione qual è la nostra idea sulle modalità di riforma dei servizi per l’impiego nel Paese. Nell’ottica di una riforma dei servizi per l’impiego va quindi anzitutto detto che le risorse umane impiegate sono veramente carenti. Anche visitando direttamente i Centri, nella mia esperienza i Centri laziali, devo dire che si trovano delle sorprese: la percezione netta che si ha è quella che ci sia oramai una totale sfiducia nei confronti del collocamento pubblico.
Occorre quindi ragionare e far chiarezza sugli attori; intanto perché gli attori coinvolti e da coinvolgere, in termini complessivi, sono parecchi. Al di là della imminente sparizione di un’istituzione (le Province), resta tutt’oggi un’arena pubblica composta da Stato, Regioni, Province, Comuni. Accanto al pubblico emergono poi una serie di attori, con esperienze buone o comunque da valutare, che vanno coinvolti. La mappatura degli attori coinvolti va tenuta in conto nella elaborazione di una Riforma, perché ci dà il quadro delle risorse umane a disposizione e delle potenzialità della filiera. Nella quale devono dunque giocare un ruolo importante tutti gli attori.
Sul fronte del pubblico, noi crediamo che non debba fare solo da cornice, ma da quadro, da collettore delle linee di indirizzo. Accanto al pubblico occorre con maggior convinzione coinvolgere direttamente l’attore privato nell’erogazione dei servizi. Questo già accade in alcune realtà locali, ma va sistematizzato. Anche perché le performance del collocamento privato non sono così esaltanti, per quanto percepite meno negativamente rispetto al pubblico. Centrare, anche solo in parte, quest’obiettivo, richiede scelte precise, intervenendo, anche con investimenti umani e materiali, sui nodi essenziali: governance, collegamento tra politiche attive e passive, livelli essenziali delle prestazioni, rapporto pubblico-privato, non escludendo l’opportunità di procedere con una sperimentazione in alcune regioni / territori.
La struttura di missione infatti, coordinata dal Ministero del lavoro e composta da ISFOL, Italia Lavoro, INPS, Ministero dell’istruzione, Conferenza Stato-Regioni, UPI e Union delle Camere di commercio, dovrà anche definire i criteri per l’utilizzo delle risorse economiche; promuovere la stipula di convenzioni e accordi con istituzioni pubbliche, enti e associazioni privati per implementare e rafforzare le diverse azioni; valutare gli interventi in termini di efficacia ed efficienza e di impatto e definire meccanismi di premialità; proporre iniziative per integrare i diversi sistemi informativi, definendo a tal fine linee-guida per la banca dati delle politiche attive e passive. Si tratta di compiti non di poco conto che potrebbero prefigurare anche un vero e proprio cambiamento nella governance del sistema. Ci si deve chiedere se non sia il momento di spingere l’operazione ancora più in là ed individuare, restando nell’ambito delle competenze assegnate dal Titolo V della Costituzione, una sede istituzionale di confronto specifico tra Stato e Regioni su un tematica così importante, che non può essere di volta in volta rinviato alla Conferenza Stato-Regioni. Tale sede potrebbe essere una Agenzia nazionale partecipata da Ministero del lavoro e Regioni, con un ruolo anche delle parti sociali. Non va poi dimenticato che, nella prospettiva dell’ abolizione delle Province, le Regioni dovranno riorganizzare la attribuzione delle funzioni e dei compiti amministrativi in materia di politiche attive del lavoro.
Veniamo al tema centrale di oggi: la Garanzia Giovani. Una sperimentazione che riguarda un pezzo di mercato del lavoro, fondamentale e importante nell’ottica di un rilancio. L’iniziativa della “Garanzia Giovani” può essere, una importante sperimentazione, soprattutto perché individua i neet come il principale ambito di intervento, perché dovrà garantire proposte reali entro la fine dei 4 mesi del ciclo formativo, perché tra i vari obiettivi c’è quello di aprire una campagna di informazione volta a cancellare o quantomeno attenuare il fortissimo senso di sfiducia che i giovani, e non solo, hanno nei confronti del collocamento.
Ma è a nostro avviso soprattutto un’occasione imperdibile per avviare finalmente una vera riforma dei servizi per l’impiego.
La scelta di istituire presso il Ministero del Lavoro la struttura di missione che dovrà definire linee-guida da adottarsi anche a livello locale per la programmazione degli interventi di politica attiva, operazione, dettata dalla consapevolezza che le risorse in arrivo dall’Ue per la “Garanzia Giovani”, potranno essere utilizzate con una qualche efficacia solo se verranno opportunamente rafforzate le strutture deputate ai servizi per l’impiego, appare finalmente decisiva. Essa rappresenta una modalità snella, e quindi attuabile in tempi brevi, per restituire al livello centrale un ruolo, benché minimo, di coordinamento e diffusione di buone prassi.
In questi giorni ha destato più stupore la questione che ha riguardato i tirocini: il progetto che il Ministero del Lavoro ha presentato attraverso Italia Lavoro per l’offerta di 2 mila tirocini. Intanto la prima risposta è stata molto chiara: in Italia i choosy sono davvero pochi. Perché sono state presentate 210 mila domande a condizioni non proprio appetibili: su 2 mila posti di lavoro per neolaureati, 200 avevano la retribuzione lorda di 1.300 euro, mentre i restanti 1.800 avevano una retribuzione di 500 euro mensili. Per un tempo pieno che andava dalle 30 alle 40 ore. Quindi siamo di fronte a una fame di lavoro nel mercato italiano. La ristrutturazione del sistema produttivo va dunque indirizzata e accompagnata, individuando imprese e settori vitali, riducendo i “colli di bottiglia” che ne limitano l’azione, a partire proprio dalle politiche attive del lavoro mirate alla riduzione del mismatch tra domanda e offerta.
Dunque trattasi di sperimentazioni davvero importanti, Tirocini e Garanzia Giovani. Ma oltre a sperimentazioni di questo tipo noi crediamo sia giunto il momento di cominciare a costruire qualche sperimentazione rispetto a quanto assieme possono proporre le Parti Sociali. Uno dei punti che la Legge Fornero ha affrontato è quella dei fondi bilaterali di solidarietà, un pezzo di proposta di conciliazione tra politiche attive e passive del lavoro. Si tratta dell’inizio di un percorso, all’interno di una cornice data dal pubblico, che dovrebbe vedere degli strumenti veri di politiche attive del lavoro che fino ad oggi in Italia non abbiamo ancora visto.
(*) Cisl Nazionale dip.to Politiche del Lavoro