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L’Istat certifica che il Paese si sta spaccando socialmente

Il 19 febbraio 2015 è stato pubblicato il rapporto Istat “Noi Italia. 100 statistiche per capire il Paese in cui viviamo”, giunto alla settima edizione, che offre un quadro d’insieme dei diversi aspetti economici, sociali, demografici e ambientali del nostro Paese, della sua collocazione nel contesto europeo e delle differenze regionali che lo caratterizzano.

Data la complessità del rapporto, nel presente articolo vengono analizzati solamente i principali dati relativi al mercato del lavoro e alle condizioni economiche delle famiglie italiane.

Il tasso di occupazione della popolazione tra i 20 e i 64 anni è uno degli indicatori previsti dalla Strategia Europa 2020 per lo sviluppo e l’occupazione. L’indicatore è rivolto a valutare la capacità di utilizzo delle risorse umane disponibili e rappresenta, quindi, una misura della forza strutturale di un sistema economico. L’obiettivo fissato dall’Unione europea prevede nel 2020 una quota di popolazione occupata tra i 20 e i 64 anni pari al 75 per cento. Nel 2013 in Italia risultano occupate meno di sei persone su dieci in età 20-64 anni, con un forte squilibrio di genere a sfavore delle donne e un marcato divario territoriale tra il Centro-Nord e il Mezzogiorno. Nella graduatoria europea, solamente Grecia, Croazia e Spagna presentano tassi di occupazione inferiori al nostro Paese. 

 

Fig. 1: Tasso di occupazione della popolazione in età 20-64 anni per sesso nei paesi Ue – Anno 2013 (valori percentuali)

 

Fonte: Eurostat, Labour force survey

 

L’incidenza del lavoro a termine, dopo la crescita degli ultimi tre anni, torna a diminuire, attestandosi al 13,2 per cento. Tale valore è sostanzialmente in linea con la media europea mentre Germania, Francia e Spagna mostrano valori più elevati. Oltre la metà dei dipendenti a termine ha meno di 35 anni e in questa classe di età l’incidenza dei dipendenti a termine arriva al 27,7 per cento. Incidenze più elevate del lavoro a termine si osservano in agricoltura, negli alberghi e ristorazione, negli altri servizi collettivi e personali, nell’istruzione, nei servizi alle imprese e nelle costruzioni.   

Cresce invece la quota di occupati a tempo parziale (17,9%), ma soprattutto a causa dell’incremento del part time involontario. In Europa, questa modalità di occupazione è diffusa soprattutto nei paesi nordici (50,7% l’incidenza nei Paesi Bassi), mentre lo è poco nei paesi dell’Est di più recente adesione all’Unione.

L’Italia mantiene un elevato tasso di mancata partecipazione al mercato del lavoro, che corrisponde al 21,7% nel 2013 (26,1% per le donne). Si tratta di un indicatore particolarmente importante per quei paesi, come l’Italia, dove c’è una quota elevata di persone che non cercano lavorano attivamente e quindi non rientrano nel conteggio della disoccupazione. Nella media Ue28 il tasso si attesta al 14,1%; solo Spagna, Grecia e Croazia presentano valori più elevati di quello italiano.

 

Fig. 2: Tasso di mancata partecipazione della popolazione in età 15-74 anni per sesso nei paesi Ue- Anno 2013 (valori percentuali)

 

Fonte: Eurostat, Labour force survey

(a) Il dato per la Francia si riferisce al 2012.

 

Nel 2013 in Italia prosegue la crescita del tasso di disoccupazione che arriva al 12,2% (1,5 punti percentuali in più rispetto a un anno prima), raggiungendo il livello più elevato dal 1977, anno di partenza delle serie storiche ricostruite. L’incremento interessa entrambe le componenti di genere, ma si riduce il differenziale a sfavore delle donne. La media dell’Ue28 si attesta al 10,8%; valori inferiori al 6% si registrano in Austria, Germania e Lussemburgo, mentre in Grecia e Spagna sono superiori al 25%.

I giovani rappresentano da sempre una delle categorie più vulnerabili e la loro condizione nel mercato del lavoro diviene sempre più preoccupante. Nel 2013 il tasso di disoccupazione giovanile in Italia raggiunge il livello più elevato dal 1977, pari al 40%, in aumento di 4,7 punti percentuali rispetto a un anno prima e di 16,5 punti rispetto al 2004.

Uno degli indicatori più rilevanti del mercato del lavoro è rappresentato dalla quota dei disoccupati alla ricerca di un’occupazione da almeno dodici mesi. La persistenza degli individui nello stato di disoccupazione non solo costituisce un grave problema sociale, ma rappresenta anche un segnale del distorto funzionamento del mercato del lavoro. Un medesimo livello di disoccupazione può difatti coesistere con differenti durate medie della stessa, comportando naturalmente implicazioni sociali e di policy diverse. Il permanere di condizioni poco favorevoli nel mercato del lavoro ha determinato nel 2013 un’ulteriore e più intensa crescita della disoccupazione di lunga durata (oltre 12 mesi), la cui incidenza risulta pari al 56,4%, ben superiore alla media Ue28 (47,5%).

Prendendo invece in considerazione la condizione socio-economica delle famiglie, che permette di descrivere alcune dimensioni che vanno al di là delle grandezze economiche, coinvolgendo la sfera della percezione personale e gli aspetti trasversali, quali la coesione sociale e il benessere della popolazione, emergono dati molto interessanti.

Nel 2012 circa sei famiglie su dieci (il 62%) hanno conseguito un reddito netto inferiore a 29.426 euro, che corrisponde a circa 2.452 euro al mese. In Sicilia si registra il reddito medio annuo più basso (circa il 29% in meno del valore medio italiano) mentre in Campania si osserva la più elevata concentrazione del reddito; all’opposto l’equità si mantiene alta nella provincia autonoma di Bolzano. 

 

Fig. 3: Reddito familiare netto (esclusi i fitti imputati) e diseguaglianza dei redditi per regione – Anno 2012 (indice di concentrazione di Gini)

 

Fonte: Istat, Indagine sul reddito e condizioni di vita (Eu-Silc)

 

L’indicatore sintetico di deprivazione rappresenta una misura importante nell’ambito dell’analisi dell’esclusione sociale. A partire da una pluralità di indicatori semplici, riferiti a diverse dimensioni del disagio economico, l’indicatore sintetico fornisce un’utile indicazione sulla diffusione di alcune difficoltà del vivere quotidiano e rappresenta un complemento all’analisi condotta in termini di povertà monetaria. Come altre dimensioni del disagio, anche la deprivazione mostra una forte associazione con il territorio, la struttura familiare, il livello di istruzione e la partecipazione al mercato del lavoro. Il valore dell’indicatore è marcatamente più elevato tra le famiglie con cinque componenti o più (34,1 per cento), residenti nel Mezzogiorno (40,8 per cento), con tre o più minori (35,8 per cento) e tra le famiglie che vivono in affitto (41,7 per cento).   

 

Infine una nota positiva: nei primi mesi del 2014 aumenta il numero di persone che si dichiara molto o abbastanza soddisfatto della propria situazione economica (+3,4% rispetto allo scorso anno). A livello territoriale, il livello di soddisfazione per la situazione economica è caratterizzato da una forte variabilità regionale, dal 66,2% di Bolzano al 30,2% della Sicilia.

 

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