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La definizione consensuale delle controversie di lavoro

Il contenzioso in materia di lavoro, che attraversa tutte le fasi dei rapporti e, in particolare, quella della risoluzione, è una tematica sempre di grande attualità, oltre che centrale nel mondo del lavoro; vediamone alcuni punti fermi,affidati nel tempo a vari passaggi normativi.
Nell’ambito del percorso che interessa, mirato ad assicurare le finalità di tutela soprattutto economica e normativa, un ruolo sempre più allargato è stato assegnato dallo Stato alle parti interessate, attraverso una procedura di composizione dei conflitti, attivabile prima della devoluzione alla Magistratura.

 

Ciò che assume grande rilievo è il tentativo di ripristinare le condizioni della trattativa, con la presenza mediatrice dello Stato (v. Ministero del lavoro e più diffusamente Direzioni provinciali del lavoro) e dei rappresentanti delle stesse parti.

La ragione è duplice, consistendo essa nell’abbattimento dei tempi per il conseguimento dei diritti in uno alla riduzione dei costi.

In questa sede interessa, in particolare, esaminare la composizione delle controversie individuali e di quelle collettive, mediante i Servizi delle politiche del lavoro delle DD.TT.LL., investite a seguito della legge 22/07/61 n. 628 e ora anche da quella sul cosiddetto Collegato lavoro 4/11/ n. 183.

La strada conciliativa, come abbiamo visto nel n. 112/2013 della Newsletter Nuovi Lavori, è stata introdotta, per sperimentarne i profili positivi, anche nella proceduraispettiva, a seguito della riforma di cui al D.Lgs 23/04/04 n. 124, con gli istituti della conciliazione monocratica e della diffida accertativa per i crediti patrimoniali.

In via alternativa, la composizione dei conflitti si rende praticabile, anche ricorrendo alle Commissioni sindacali.

Altro strumento di composizione stragiudiziale, anch’esso significativo della sfiducia legata ai tempi di definizione giudiziale delle controversie, è rappresentato, inoltre, dall’arbitrato, che coinvolge maggiormente le parti interessate, perché di estrazione contrattuale.

Controversie individuali

Le controversie individuali possono essere definite con atti di conciliazione, che contengono rinunce e transazioni. Con le rinunce si abdica ad un proprio diritto soggettivo; mentre le transazioni vere e proprie consistono in reciproche concessioni, con le quali le parti pongono fine ad una lite già cominciata, ovvero la prevengono. Vedremo più avanti i limiti posti alla disponibilità dei diritti dei lavoratori nelle sedi di conciliazione.

E’ bene chiarire subito che, se non esiste contenzioso intorno a determinati diritti, è precluso il ricorso alle procedure conciliative, che non possono essere utilizzate impropriamente, soltanto perché i verbali conclusivi, a determinate condizioni acquistano carattere esecutivo e, quindi, non sarebbero più impugnabili. Ne deriva che le cosiddette liquidazioni, riferite alle spettanze di fine rapporto, se rispettose delle norme contrattuali e di legge, non possono essere oggetto delle procedure all’esame.

Conciliazione

Al di là del tecnicismo della normativa, preme riportare di seguito, con qualche considerazione, i profili operativi che interessano:

– le conciliazioni possono avvenire in sede amministrativa, ossia davanti alla Commissione di conciliazione (che può operare mediante sottocommissioni, costituibili fino a quattro) ovvero in sede sindacale, previo deposito presso le DD.TT.LL. delle firme dei rappresentanti delle Associazioni sindacali, che partecipano all’accordo. Il sindacato, in questo caso, non agisce come agente contrattuale, ma quale garante della libera volontà delle parti, che intendono effettuare le conciliazioni.

– Il contenzioso, oggetto di conciliazione, deve riguardare, secondo l’art. 409 c.p.c., i rapporti di lavoro subordinati (esistenza, contenuto, vicende in generale, sanzioni disciplinari e risoluzione), le prestazioni coordinate e continuative, le agenzie e le rappresentanze commerciali, i rapporti di compartecipazione e altri contratti agrari.

Le novità apportate dal “ Collegato lavoro” sono almeno tre, rispetto alla disciplina di riferimento, cui agli artt. 409 e segg. c.p.c.:

– viene meno il carattere obbligatorio, quale condizione di procedibilità per ricorrere all’Autorità giudiziaria, salvo che per la certificazione (l’organo da adire, in questo caso, è la stessa Commissione di certificazione).

Il ritorno alla facoltatività della conciliazione è accompagnata da un procedimento con termine e contenuti, tali da rafforzare la consapevolezza delle scelte. La richiesta deve essere comunicata alla controparte, che, nel caso di accettazione della procedura, deposita entro 20 giorni le proprie ragioni, controdeduzioni ed eventuali domandericonvenzionali. La convocazione avverrà entro 10 giorni, la riunione della Commissione entro i 30 giorni successivi.

E’ previsto che, nell’ipotesi di mancato accordo, la Commissione formuli una proposta di bonaria soluzione. In caso di rifiuto, il verbale ne riassume i termini, con le valutazioni delle parti. La proposta e le ragioni della mancata accettazione, non adeguatamente motivata, costituiranno oggetto di valutazione in sede di giudizio presso la Magistratura.

– Le sedi di conciliazione sono allargate, con l’intento di agevolarne l’attivazione : si potrà ricorrere, oltre che alle Commissioni presso le DD.TT.LL. e le Organizzazioni sindacali, anche alle Commissioni di certificazione, nonché ai Collegi di conciliazione e arbitrato, appositamente costituiti.

– Qualunque sia la sede di conciliazione, il relativo verbale è immediatamente esecutivo, nel senso che non può essere impugnato ex art. 2113 c.c..

Arbitrato
L’arbitrato è alternativo al processo giudiziario e si conclude con un lodo avente la

stessa efficacia di una sentenza, anche se riveste natura contrattuale.

L’esito del lodo è inappellabile, a meno che la convenzione – sottostante all’arbitrato – non sia valida, gli arbitri si siano pronunciati oltre i limiti loro consentiti, non abbiano permesso il contraddittorio e non si siano attenuti alle regole della convenzione, osservandone le modalità (decisione secondo le norme di diritto ed equità, nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento e di quelli che regolano la materia e gli obblighi comunitari).

Tipi e forme di arbitrato

1) – Arbitrato presso la DPL, attivabile in qualunque fase o al termine della conciliazione conclusa con esito negativo.

Viene dato mandato alla stessa Commissione di conciliazione, indipendentemente dalla previsione contrattuale, con indicazione della normativa circa le pretese, nonchè del termine (60 giorni).

2) – Arbitrato, indipendentemente da una previsione contrattuale collettiva, come scelta delle Parti, con mandato ad un Collegio presieduto da un professore universitario di materie giuridiche o da un avvocato patrocinante in Cassazione, scelto di comune accordo tra gli arbitri di parte designati.

L’arbitrato è preceduto dal tentativo di conciliazione.

3) – Arbitrato, anch’esso irrituale, previsto dalla contrattazione collettiva, con modalità di gestione più libere rispetto al passato.

4) – Arbitrato da clausola compromissoria: mentre nei casi precedenti il ricorso all’arbitrato, quale compromesso, viene stabilito di volta in volta, quando sorge la controversia, con la predetta clausola l’impegno è di carattere preventivo, riferito a future controversie.

La previsione deve essere contenuta in un contratto collettivo o in un accordo interconfederale e la clausola compromissoria, a pena di nullità, deve:

– essere certificata

– sottoscritta solo dopo il patto di prova e, in mancanza, dopo 30 giorni dall’inizio del rapporto

– non deve attenere a controversie relative ai licenziamenti.

In assenza dell’accordo, che preveda la clausola compromissoria, entro 12 mesi, il Ministro del lavoro è tenuto a promuovere la specifica intesa in materia e, dopo 6 mesi dalla convocazione delle parti, trascorsi inutilmente, potrà provvedere con proprio decreto.

– Nelle conciliazioni, sia amministrative che sindacali, valgono gli articoli 185, 410 e 411 c.p.c., con la conseguenza che le stesse non sono impugnabili, anche se riferite a diritti derivanti da disposizioni inderogabili di legge o di contratto. E’, questa, in buona sostanza, la ragione per la quale si fa ricorso alle conciliazioni presso le DD.TT.LL. o in sede sindacale. In mancanza, le rinunce e transazioni possono essere impugnate entro sei mesi. E’ bene, tuttavia, chiarire che cosa si intende, secondo la giurisprudenza e la prassi, per diritti indisponibili, tali da poter essere oggetto di conciliazione non impugnabile, se avvenuta nelle sedi amministrativa o sindacale. Nell’ambito di tali diritti, occorre distinguere quelli di origine costituzionale – come la retribuzione minima, le ferie, i riposi – da quelli connessi alle loro conseguenze economiche, quali differenze di retribuzione, se si controverte sulla effettiva qualifica, risarcimento per mancato godimento dei predetti istituti.

Sono, in particolare, assolutamente indisponibili e non possono, quindi, essere oggetto di rinuncia o transazione, i diritti relativi alle assicurazioni sociali obbligatorie. Rientra, invece, tra i diritti trattabili il risarcimento per il mancato versamento dei contributi, nei casi di prescrizione o di irregolare assolvimento contributivo, tale da non permettere l’erogazione delle prestazioni previdenziali a favore del lavoratore (art. 2116 c.c.).

Il verbale di conciliazione, che si conclude con esito positivo, viene reso esecutivo dal Giudice unico, presso cui è depositato dalla D.T.L.; è quest’ultima, che deposita anche il verbale delle conciliazioni sindacali, dopo aver verificata l’autenticità delle firme dei conciliatori.

– In caso di esito positivo, assume grande rilevanza il contenuto, con relativa descrizione, dei verbali, per una duplice ragione, legata al superamento definitivo o meno della controversia e alla eventuale imposizione contributiva sulle somme concordate a favore del lavoratore.

Sotto il primo aspetto, a voler evitare qualsiasi impugnativa, occorre tener presente che le cosiddette clausole omnia, cioè di portata ampia, ma generica – contenute nelle quietanze a saldo, con formulazioni di stile, secondo le quali “le parti nulla avranno più a pretendere l’una dall’altra per qualsiasi titolo, ragione o causa, avendo il presente verbale valore di transazione generale e innovativa ex artt. 1965 e 1975 c.c.” – non liberano in senso assoluto, ma soltanto con riferimento ai titoli espressamente indicati. Per l’efficacia liberatoria complessiva, occorre, invece, riportare tutti gli specifici diritti in trattazione, indicando chiaramente nella premessa del verbale l’oggetto completo della controversia, vale a dire la portata delle pretese da discutere.

Per quanto riguarda il secondo aspetto prima accennato degli eventuali obblighicontributivi, è bene tener presente che, premessa la generale sottoposizione delle somme corrisposte al regime fiscale in gestione separata ( anche con riferimento alle cosiddette indennità di risarcimento per la risoluzione del rapporto), si è tenuti ad assolvere alle obbligazioni contributive sugli emolumenti riconosciuti, a meno che gli stessi non consistano in incentivazioni all’esodo, ovvero, per giurisprudenza e prassi, non siano formalmente collegati al rapporto di lavoro, giustificati dalla considerazione di voler evitare il contenzioso con tutte le sue conseguenze e non ammettendo o riconoscendo, comunque, alcun dubbio o incertezza circa l’oggetto della lite.

E’ bene diffidare ed evitare il riconoscimento delle liberalità, ai fini dell’esclusione contributiva, a meno che la causa della loro corresponsione non sia collegata ad eventi eccezionali, del tipo di quelli del sisma abruzzese, per il quale l’INPS ha riconosciuto l’esenzione contributiva riferita alle somme erogate dai datori di lavoro. Per la rilevanza dell’argomento, è opportuno ricordare ancora che l’INPS, con messaggio n. 7585 del 9/03/06, ha tenuto a richiamare che, nonostante la sottoscrizione del verbale, le somme riconosciute in sede transattiva rientrano nell’imponibile contributivo, quando sono direttamente o indirettamente connesse alla causa contrattuale (scambio prestazione contro prestazione). Le ragioni della corresponsione, per l’esclusione contributiva, devono apparire legate – come detto – ad un titolo autonomo, del tipo di quelli già segnalati.

Controversie collettive

L’oggetto su cui si controverte riguarda i diritti collettivi, da definizione o modifica di un contratto, ovvero da trattamenti collettivi aziendali.

Le procedure di conciliazione sono stabilite in generale dai contratti collettivi (v., ad esempio, quelle riguardanti i cambi di appalto di servizi, mirate al mantenimento dei livelli occupazionali, disciplina, peraltro, in via di modifica con le ultime recenti misure in tema occupazionale). Sono, invece, rimesse alla legge (v. in particolare, legge 23/07/91 n. 223) le modalità da seguire per l’applicazione degli ammortizzatori sociali. La recessione in atto ha reso di grande attualità il fenomeno, per le ipotesi sia della mobilità, sia in generale dei licenziamenti collettivi.

Dobbiamo distinguere, nel caso della riduzione di personale, le aziende soggette alle procedure di CIG straordinaria da quelle non soggette. Nella prima ipotesi, la mobilità si inserisce nel processo proprio della CIG straordinaria; nella seconda ipotesi, sempre che l’azienda occupi più di 15 dipendenti, si può procede ai licenziamenti collettivi, se sono coinvolti almeno 5 lavoratori nell’arco di 120 giorni, a seguito di riduzione, trasformazione dell’attività o del lavoro. Il termine di 120 giorni decorre dalla conclusione delle consultazioni sindacali ovvero della procedura amministrativa, che viene attivata, se le prime non vanno a buon fine. Il confronto sindacale, che si svolge presso le Regioni ovvero le Province delegate, inizia con un’apposita convocazione diretta alle Organizzazioni territoriali interessate. Segue l’esame congiunto entro 7 giorni, esame che deve esaurirsi entro 45 giorni (23 giorni se i lavoratori interessati sono meno di 10). L’ eventuale successiva convocazione in sede amministrativa, in caso di insuccesso delle consultazioni sindacali, deve, invece, concludersi entro 30 giorni (15 nell’ipotesi di meno di 10 lavoratori ).

Nel caso di aziende non soggette alla CIG, non spetta l’indennità di mobilità a favore dei lavoratori, ma solo il diritto all’iscrizione nelle liste speciali, ai fini dell’avviamentoincentivato.

Analoga procedura, propria delle vertenze collettive, è seguita per il riconoscimento delle integrazioni salariali, con termini di definizione diversificati a seconda delle cause (eventi oggettivamente non evitabili e altri eventi – v. legge 20/05/75 n. 164).

A completamento, occorre ricordare come le controversie collettive si collochino, inoltre,nella procedura mirata alla concessione degli ammortizzatori sociali in deroga, cioè a favore anche di settori e soggetti non destinatari delle misure tradizionali di sostegno al reddito secondo le regole appena citate. L’esigenza dell’estensione è emersa prepotentemente, a seguito della crisi economica e finanziaria tuttora in atto. La disciplina speciale, contenuta soprattutto nell’art. 19 del D.L. 29/11/08 n. 185, convertito nella legge 28/01/09 n. 2 e nel D.M. 20/5/09 , prevede, in particolare, l’accordo con le parti sociali, prima dell’autorizzazione delle Regioni.

Disposizioni speciali sono previste anche in materia di contratti di solidarietà cosiddetti difensivi, cui possono fare ricorso i datori di lavoro non destinatari della solidarietà tradizionale, cioè con campo di applicazione coincidente con quello della CIG. La finalità consiste sempre nell’evitare i licenziamenti, riducendo l’orario di lavoro, in caso di crisi. E’ indispensabile, anche qui, l’accordo sindacale, a conclusione di una vertenza collettiva, per concordare le modalità di attuazione della solidarietà, che si inserisce – come stabilito dalla legge – nella procedura di mobilità ovvero di quella dei licenziamenti plurimi.

Merita di essere menzionata, infine, anche la procedura arbitrale, affidata al Collegio di conciliazione e arbitrato, previsto dall’art. 7 della legge 20/5/70 . n. 300 – Statuto dei lavoratori, con costituzione su richiesta presso la D.P.L., al fine di valutare e derimere le impugnazioni, da parte dei lavoratori, delle sanzioni disciplinari. Il Collegio, come è noto, è composto da un rappresentante del lavoratore e un rappresentante del datore di lavoro, mentre il presidente è un soggetto terzo, nominato dalle parti, ovvero, in mancanza, dal Direttore della D.T..L. Il ricorso non costituisce condizione di procedibilità per quello, pure previsto, all’ Autorità giudiziaria, ma alternativa allo stesso.

Il lodo arbitrale può essere impugnato davanti al Giudice per falsa o alterata percezione da parte degli arbitri, nonché per violazione di legge o di contratto.

 

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