Rispondo volentieri alla sollecitazione di Raffaele Morese, cercando di declinarle in termini istituzionali rispetto ai due punti irrisolti della transizione italiana, quello del tipo di Stato, cioè del rapporto centro-periferia, e quello della forma di governo.
In entrambi casi il dibattito sembra avvitato su impostazioni sbagliate.
Sul primo livello il sistema soffre dal 2001 della mancanza di quella istituzione mediatrice tra l’io e il noi che è il Senato delle autonomie, senza il quale ogni sistema cooperativo e solidale non funziona bene.
Esso comporterebbe una corresponsabilità nazionale delle autonomie, in primis quelle regionali, dotate di potere legislativo. Consentirebbe anche una flessibilità concertata nella gestione di alcune materie che in alcune fasi hanno bisogno di essere gestite più dal centro, facendo valere una supremazia a livello centrale ed in altre più dalle autonomie, laddove in particolare vi sia l’esigenza di sperimentare soluzioni diverse su temi nuovi.
In assenza di un Senato di questo genere il dibattito oscilla in modo pendolare tra le ragioni del ‘noi’ declinate in modo centralistico (ma siamo sicuri, si veda il caso della scuola, che un di più di centralismo porti sempre a un di più di uguaglianza?) e quelle dell’‘io’ portano solo a chiedere più autonomia per sé stessi, disinteressandosi della tenuta complessiva del sistema.
Sul secondo livello si ripropongono analoghe semplificazioni. C’è da una parte un approccio semplicistico a far valere la logica del ‘noi‘ come si esprime, nell’attuale progetto del Premierato, o meglio che non distingue le varie modalità con cui aggregare le scelte degli elettori (non è la stessa cosa eleggere a maggioranza relativa o assoluta, stabilire premi con soglie ragionevoli di consensi o senza di esse) e non pone limiti chiari a questa aggregazione. Vanno infatti aggiornati alcuni quorum di garanzia, si è sovrarappresentati per governare non per prendere anche le garanzie.
A questa impostazione sbagliata non si può però opporre una logica dell’‘io’ che passa per un’idea atomistica della rappresentanza, in cui ciascuno proporzionalisticamente vuole essere fotografato per i propri voti e poi essere sovrano nel far cadere i Governi, a prescindere da una scelta chiara di governo per la legislatura affidata, nelle debite forme, agli elettori.
Ci sarebbe ancora tempo per rimettere sulle giuste rotaie il dibattito sulle istituzioni con soluzioni condivise nella seconda parte della legislatura. Ove si volesse.
*Professore di diritto pubblico comparato, La Sapienza Roma; già parlamentare del PD