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Le politiche del welfare vanno gestite a 360 gradi

L’unificazione tra Inps, Inpdap ed Enpals può aiutarci a riflettere sul tema della governance, non solo degli istituti previdenziali ma anche dell’intero sistema del welfare allargando lo sguardo anche all’azione del Parlamento, del Governo. Infatti, alla luce dell’esperienza degli ultimi 20 anni, come cercherò di illustrare nel mio intervento, abbiamo bisogno di rinnovare la strumentazione complessiva di governo delle politiche del welfare.
Sul tema degli Istituti penso che avere un’unica tecnostruttura che presieda alla gestione operativa del sistema previdenziale e assistenziale sia importante anche se vi è un ambito, al quale accennerò in seguito, per il quale l’integrazione non mi convince.

L’integrazione è peraltro coerente con il fatto che andiamo verso un sistema previdenziale governato tendenzialmente con le stesse regole. Certo questa è una tendenza e non certo l’aspetto prevalente per i prossimi 10 anni, ancora caratterizzati dal prevalere quantitativo di pensioni liquidate sostanzialmente con i pregressi sistemi retributivi. Non mi convince l’obiezione che viene fatta all’unificazione relativa alla rilevante differenza che ancora permane tra il sistema delle pensioni Inpdap, da quello Inps, differenza che comporterebbe la necessità di una specifica gestione; infatti se andiamo ad analizzare concretamente cosa è oggi l’Inps, ci accorgiamo che al suo interno sono amministrati, prima della confluenza di Inpdap e Enpals, ben 22 fondi pensionistici e 14 fondi per prestazioni temporanee e varie. Alcuni di questi hanno caratteristiche diversificate sia sulle prestazioni che sui contributi, non meno diversificate da quelle di Inpdap ed Enpals. Tali specificità possono benissimo essere tenute in considerazione attraverso specifiche modalità di gestione degli specifici fondi. In tal modo, le specifiche gestioni si avvarranno però di una stessa struttura di servizi comuni, che potrà aumentare sia l’efficienza ma anche l’efficacia dei servizi resi. Certamente i risparmi che si potranno conseguire saranno importanti ma non come quelli iperbolici, che erano stati favoleggiati nel periodo del secondo governo Prodi. Il “ritorno” dell’unificazione potrà essere molto importante soprattutto in termini di efficacia del sistema del welfare. A patto che la riorganizzazione interna sia adeguata a questo scopo; occorre quindi che tale unificazioni sia messa in condizione di funzionare. Vi è qui un problema che riguarda non solo la governance in termini di assetto dei poteri apicali della struttura, ma anche di management. Vi è la necessità di rendere più autorevole ed adeguata la tecnostruttura ai compiti che ha. Negli ultimi anni, si è affievolita quella positiva “terzietà” della struttura sia rispetto al governo che alle parti sociali. Con ciò non si vuole ipotizzare un’autoreferenzialità dannosa, ma a mio avviso c’è bisogno di aumentare il livello di adeguatezza e di autonomia tecnica che sia in grado di garantire la tutela dei diritti previdenziali e assistenziali in maniera “super partes”. Per questo occorre un investimento adeguato sulle competenze del management, guardando più alle future necessità che ai saperi del passato.

A me convince un sistema di governance che veda la permanenza e il rafforzamento del sistema duale : un consiglio di amministrazione nominato dal Parlamento e un

Comitato di indirizzo e vigilanza espressione delle forze sociali e degli interessi che rientrano nella sfera d’azione dell’Istituto, con compiti di sorveglianza, indirizzo e vigilanza. Tali compiti vanno però rafforzati con una strumentazione adeguata ad esercitare il controllo e la vigilanza in maniera effettiva. A questi due poli ne va affiancato e valorizzato adeguatamente un altro, rappresentato dalla tecnostruttura e dal management. Il ruolo delle parti sociali a mio avviso deve rimanere centrale , proprio in quella funzione di controllo, indirizzo e vigilanza che è stato il criterio ispiratore del sistema duale che va rafforzato e mantenuto.

Occorre però prendere atto di come l’ambito di operatività dell’Inps riguarda ormai un insieme di prestazioni sociali che hanno a che fare con la dimensione generale della protezione sociale e non solamente con quella strettamente previdenziale e lavoristica. Anche se si analizza la questione dal punto di vista delle risorse, ci accorgiamo che ormai la maggior parte delle risorse finanziarie che alimentano l’Inps derivano dallo Stato e dagli altri enti pubblici. Da qui discende un certo anacronismo delle posizioni di chi vede la presenza delle parti sociali all’interno dell’Inps in un ruolo di “gestione” in quanto esso spetterebbe agli “azionisti” o contribuenti principali. Alla fine degli anni ’80, quando fu ridefinita la governance dell’Inps l’istituto gestiva una parte molto più piccola di spesa pubblica ed il finanziamento pubblico era molto più limitato.

Per avere la dimensione di quali sono le principali voci amministrate dall’istituto unificato possiamo andare per grandi numeri. Abbiamo 300 miliardi su una spesa pubblica corrente complessiva che è 750 miliardi.. Da che cosa sono composti questi 300 miliardi? 20 miliardi di assistenza: invalidi civili, pensioni sociali, pensioni assistenziali etc.; 10 miliardi di maternità, assegni familiari e malattia; 13 di ammortizzatori sociali, 10 di liquidazioni pagate o dall’Inpdap o dall’Inps. Poi abbiamo altre voci varie, 10 miliardi, 7 di trasferimenti passivi, mentre le pensioni sono ben 225 miliardi, Quindi la parte previdenziale pesa 225 sui 300 complessivi.

Questa spesa sta a fronte o di contribuzione dei datori di lavoro e dei lavoratori, oppure è costituita da trasferimenti pubblici ai quali vanno aggiunti i contributi che pagano le pubbliche amministrazioni. Nel complesso, è lo Stato che sostiene l’onere più rilevante sia della spesa sociale complessiva che di quella previdenziale. Infatti, su circa 300 miliardi di entrate noi abbiamo 65 miliardi i lavoratori, 90 miliardi i datori di lavoro, 140 miliardi lo Stato e le altre pubbliche amministrazioni. In questa ripartizione del finanziamento, quasi la metà di tutte le prestazioni è un finanziamento che viene dalla fiscalità generale.

Ma la questione centrale è quella sollevata nel terzo punto della scaletta che stiamo discutendo e cioè il legame con le politiche del lavoro. La riforma della governance dovrebbe essere un appuntamento importante per costruire in Italia quello che c’è in molti altri paesi europei e che manca da noi e cioè un’agenzia unica che gestisca insieme politiche attive e politiche passive del lavoro. Sarebbe utile, a mio avviso, scorporare dall’Inps tutto il settore che gestisce gli ammortizzatori sociali e le relative risorse e riorganizzarlo facendolo confluire in un’Agenzia del lavoro che abbia la titolarità insieme delle politiche attive e passive del lavoro. A tale Agenzia, che dovrebbe avere una struttura fortemente federale, e quindi con la partecipazione delle Regioni, potrebbero essere ricondotte le strutture nazionali che operano sul terreno delle politiche del lavoro e le strutture che sul territorio (centri per l’impiego) si occupano di servizi per l’occupazione. In tal modo avremmo una struttura nazionale ma fortemente articolata e partecipata dal territorio, con un raccordo forte con le Regioni, che sia in grado di dare gambe alle politiche del lavoro avendo la possibilità di governare insieme le risorse per gli ammortizzatori sociali e per le politiche attive, per gli incentivi e la formazione, contribuendo in modo rilevante al funzionamento dei servizi per l’impiego decentrati. Io penso che tale occasione non vada persa anche perché tale struttura potrebbe avere la possibilità di attingere le informazioni alla più estesa banca dati sulle persone (che andrebbe opportunamente orientata anche a tale scopo implementando meglio le informazioni in essa contenute), con informazioni preziose per la definizione degli strumenti di sostegno alle prospettive occupazionali.

Ma l’unificazione degli istituti si rileverà molto utile perché comprendendo in un unico bilancio la maggior parte delle risorse e delle erogazioni per le prestazioni sociali, consentirà di rendere più evidente sia alla società italiana che alla politica quale sia e come si evolve il sistema della protezione sociale italiano, sia in termini di caratteristiche delle prestazioni che di andamenti della spesa. Se osserviamo gli andamenti economici delle risorse e della spesa per protezione sociale in Italia negli ultimi decenni, ci accorgiamo di quanto siano state rilevanti le dinamiche e di come abbiano assunto via via il ruolo decisivo nel determinare gli andamenti complessivi della spesa pubblica italiana. L’idea che il sistema previdenziale al netto della componente assistenziale fosse stabile e sostenibile finanziariamente è stata una delle idee che ha nei fatti danneggiato lo stesso sistema di protezione sociale che ha dovuto fare i conti improvvisamente e in maniera drammatica con necessità di correzione dei principali istituti previdenziali, pena il default del sistema. La cartina di tornasole è il fatto che in appena due decenni è stata aumentata l’età di pensionamento di vecchiaia di 12 anni per le donne e di 7 anni per gli uomini. Se vi fosse stata una maggiore consapevolezza e trasparenza sugli andamenti della spesa e sulle sue caratteristiche le politiche di correzione avrebbero potuto essere più tempestive e quindi meno dirompenti e inique. Se osserviamo gli andamenti confrontandoli con l’insieme delle voci che costituiscono spesa pubblica la dimensione dei problemi è molto chiara.

Tra il 1990 e il 2012 l’aumento della spesa pubblica è rappresentato sostanzialmente dalle prestazioni sociali in denaro, e all’interno di queste dalla spesa previdenziale. Voglio subito dire che tale incremento è motivato in gran parte dal processo di invecchiamento che ha caratterizzato l’ultimo ventennio, ma quello che rende perplessi è che il concetto di “ vecchiaia” da un punto di vista delle prestazioni erogate, si è esteso a fasce di età al di sotto dei 60 anni. La spesa pubblica corrente è aumentata dal 1990 al 2011 del 223%, passando da 336 miliardi a 750 miliardi di euro. All’interno della spesa le prestazioni sociali in denaro che ammontavano a 105 miliardi e rappresentavano il 31% della spesa sono passate a 305 miliardi, con un aumento quasi del 300%.. Le altre due macro voci della spesa pubblica, interessi passivi e consumi finali (tutte le spese per l’erogazioni dei servizi comprese le retribuzioni pubbliche) sono aumentate rispettivamente del 111 e del 229%.

Tra le prestazioni sociali, le spese più dinamiche sono state quelle connesse alle prestazioni previdenziali che sono aumentate del 291% e che ammontano nel 2011 a 281 miliardi dei quali 245 per pensioni previdenziali. La parte assistenziale, che ammonta nel 2011 a 24 miliardi è aumentata ad un ritmo più lento della parte previdenziale. Questi andamenti hanno modificato la struttura della spesa pubblica italiana. Nel 1990 il 29% della spesa pubblica era costituito da previdenza, nel 2011 questa quota è salita al 37%. La sanità è passata dall’13 al 15 % circa, mentre l’istruzione ha visto ridurre il proprio peso dal 10 all’8%.

Come si vede, l’andamento della spesa pensionistica è stato molto rilevante e determinante nello spiegare le dinamiche della spesa negli ultimi 20 anni. Tutto ciò nonostante che tra il 1990 e il 2011 si siano succedute numerose riforme del sistema pensionistico. La ragione per cui tali dinamiche siano state così rilevanti, è spiegato in buona parte dal venire a maturazione di pensioni di anzianità con importi molto più alti degli anni passati ed età di pensionamento inferiori ai 60 anni. Si pensi solo che dal 2000 ad oggi la spesa per pensioni godute da soggetti con un’età più bassa dei 65 anni se uomini e 60 anni per donne, è valutabile in quasi 38 miliardi di euro l’anno. Cioè il sistema previdenziale italiano paga 38 miliardi annui di pensione a persone che hanno un’età inferiore all’età di vecchiaia. Se voi proiettate questo nel tempo, vi spiegate perché c’è stato un avvitamento anche sul debito pubblico. Se vi fosse stata una norma, nel 2000, per cui l’età di vecchiaia non poteva precedere i 60 anni per le donne e i 65 per gli uomini, il debito pubblico sarebbe stato verosimilmente attorno al 95% e non al 120% come stiamo adesso. Abbiamo avuto delle dinamiche sulla spesa previdenziale che a un certo punto non sono state più governate con uno spostamento di risorse a favore di una parte della popolazione con redditi medio altri. Circa 2.500.000 di persone si sono pensionate in appena 10 anni con pensioni di anzianità con età medie di 57/59 anni, con pensioni medie superiori di circa tre volte i livelli delle pensioni di vecchiaia. La riprova della forte iniquità distributiva, la si ha se si pensa che il 25% dei pensionati di anzianità, prende circa il 70% dell’ammontare delle pensioni complessive di anzianità. Nel sistema pensionistico vi’è stata una redistribuzione rilevantissima del reddito a favore del ceto medio. Semplificando, quello che il ceto medio ha perso sul terreno dell’incremento delle imposte è rientrato con un sistema previdenziale che ha erogato pensioni assolutamente squilibrate rispetto ai contributi accumulati.

Le riforme degli ultimi anni ed anche in parte l’ultima, hanno accentuato il peso dei sacrifici sui pensionamenti di vecchiaia , che come è noto riguardano la parte più debole del mercato del lavoro. Se si pensa che l’attuale normativa per tutti coloro che sono nel sistema contributivo con redditi medio bassi (sicuramente operai e base qualifiche impiegatizi, e coloro con percorsi di carriera discontinui) prevede un pensionamento ad età superiori ai 67 e 70 anni, mentre continua a prevedere uscite ad età inferiori ai 66 anni per anzianità di 41 anni e livelli pensionistici più alti.

Un unico bilancio del sistema di protezione sociale sarà spero utile a riflettere complessivamente sulle dimensioni dei problemi che sono dietro al nostro sistema del welfare, una volta che si diradano le nebbie di sistemi di contabilizzazione che non hanno favorito la trasparenza delle cifre del sistema pensionistico. Io penso che questa sia una grande occasione, in termini di conquista di una governance adeguata dell’intero sistema del welfare e non solo degli enti previdenziali.

Video dell’Intervento di Stefano Patriarca, Ufficio Studi e Ricerche INPS >>>

 

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