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No all’Europa dei disoccupati

Il tema discusso oggi è uno di quelli cruciali per la nostra società. Nella veste che ricopro, sia come Presidente del Cnel che come suo rappresentante in varie organizzazioni economiche e sociali nel mondo, porto questo messaggio: c’è un problema di inclusione soprattutto dei giovani.

E’ possibile che una generazione si senta in larga parte esclusa dalla società cui appartiene? E’ problema che riguarda anche gli anziani, certo. Ma l’anziano ha avuto una vita che lo ha visto incluso nella società.

Il giovane vive sentendosi escluso: un problema serio, che può anche sfociare in tensioni, talvolta sporadiche, altre organizzate e di portata nazionale.

La domanda successiva ha un’ispirazione europea: i padri dell’Europa volevano un’Europa con milioni di disoccupati? Cosa non ha funzionato e cosa non sta funzionando in questa Unione? Il tema si pone infatti sempre più a livello europeo, e in sede europea vanno trovate le strategie per una via d’uscita. Perché la disoccupazione giovanile è una piaga in tutto il continente.

Da quanto detto derivano alcune linee di azione. Una in sede europea: bisogna che l’Europa cambi, perché l’attuale progetto comunitario sta tradendo l’idea originaria di Europa.

In secondo luogo, servono posti di lavoro. Possiamo anche creare posti di lavoro a tassi di crescita bassi o nulli, ma avranno una produttività minima e quindi con livelli di reddito bassi e non accettabili. Occorre dunque lo sviluppo. Ma per avere sviluppo bisogna che in Europa si comprenda che la priorità non può essere solo la finanza pubblica, ma la priorità debbano essere gli investimenti.

Occorre, lo sappiamo, considerare anche altri fattori. Con l’aumento dei tassi di sviluppo si genera una domanda di lavoro che cresce e quindi, potenzialmente, maggiore occupazione. Ma, anche a fronte di una domanda che cresce, possono permanere dei problemi. Si può avere una domanda di lavoro che cresce e un’occupazione stabile. L’unica spiegazione geometrico-matematica è che la curva di lavoro sia rigida. Questo succede quando la struttura dell’offerta di lavoro non corrisponde alla struttura della domanda. Semplificando: non vi sono lavoratori che abbiano la formazione professionale richiesta dalla domanda in aumento. Quindi lo sviluppo è fondamentale per spostare in alto la curva della domanda. Ma se l’offerta non ha le caratteristiche qualitative che sono richieste dalle imprese e dalla società, può non crescere l’occupazione.

Capisco la difficoltà di un padre che deve indicare al figlio un tipo di formazione. Ma è anche vero che se quel giovane insiste verso una formazione che non corrisponde alle esigenze della società, deve sapere che più tardi avrà difficoltà di lavoro. Esiste pertanto un problema di indirizzo dei giovani, in modo tale da far loro assumere la responsabilità di studiare tematiche che sono richieste e sono utili per la società in cui vive.

Questo è molto importante e dovrebbe essere un compito cruciale anche della Scuola e dell’Università, affinché non diano solo certificati. Si può pure mantenere un’Università che certifica determinate competenze, ma se poi non corrispondono a un’effettiva preparazione, di buona qualità, siamo di fronte a un sistema fallimentare.

Infine, va rinnovato e sostenuto il ruolo dei servizi per il lavoro.

Se le risorse che si danno a questi servizi sono scarse, non ci si può attendere risultati ragguardevoli. Di nuovo, il problema va sollevato a livello europeo e lì dibattuto affinché si ritrovi il progetto originario di Comunità, che non deve essere una Unione di disoccupati.

A livello europeo occorre avviare una vera politica di inclusione dei giovani nella nostra società, perché rischiamo di escludere definitivamente un’intera generazione.

 

 (*) Presidente CNEL

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