Il 2015 potrebbe restare negli annali per una nuova consapevolezza. I leader politici di tutti i Paesi hanno affermato, coralmente e solennemente, con l’Agenda ONU 2030 per lo sviluppo sostenibile e l’Accordo di Parigi sul clima, che il benessere delle persone e dei popoli passa attraverso una scelta radicale, epocale: l’assunzione di una nuova visione dello sviluppo le cui connotazioni forti ed imperative sono la sua sostenibilità legata alle risorse del pianeta e l’equità nella diffusione e nelle opportunità di accesso.
La crisi economica, come le sfide sociali ed ambientali che abbiamo davanti, i loro riflessi sulle espressioni di partecipazione dei popoli – nelle stesse democrazie mature – non sono affrontabili con strumenti di ordinaria amministrazione; né con interventi singolarmente concepiti e gestiti.
La politica ha necessità di un quadro più ampio, a 360 gradi, da cui poter osservare ed intervenire nella realtà concreta; un sistema di valutazione e intervento che tenga conto della multidimensionalità del benessere, della necessità di non lasciare indietro nessuno e di pensare a ciò che lasciamo ai nostri nipoti e oltre.
E’ questo lo sviluppo equo e sostenibile, che dobbiamo accettare come obiettivo permanente.
Esemplare da questo punto di vista l’Enciclica di giugno 2015 di Papa Francesco “Laudato Si’”. Il concetto centrale da cui si parte è che tutto sta in relazione con tutto. Tutto è relazione e niente esiste fuori dalla relazione. Ne segue che “dal momento che tutto è intimamente relazionato e che gli attuali problemi richiedono uno sguardo che tenga conto di tutti gli aspetti della crisi mondiale, propongo di soffermarci adesso a riflettere sui diversi elementi di una ecologia integrale, che comprenda chiaramente le dimensioni umane e sociali. (n.137)” Bisogna evitare “le conoscenze frammentarie e isolate (che) possono diventare una forma d’ignoranza se fanno resistenza ad integrarsi in una visione più ampia della realtà.” Essenziale, a questo scopo, il ruolo della statistica per ampliare e rendere organico il campo delle conoscenze. Un approccio più ampio è necessario per evitare di cadere in un riduzionismo, che punta a rispondere a questioni poste singolarmente. E, quindi, una valutazione più estesa è essenziale per cercare altri modi di intendere l’economia e il progresso.
Altri contributi vengono da un recentissimo approfondimento de l’Economist, che ha posto sotto indagine il modo con cui sono misurati prosperità e benessere. I diversi saggi si segnalano non tanto per la novità intrinseca, né per la capacità di proporre nuove modalità di valutazione del livello e dell’andamento del progresso. Ma, piuttosto, per la critica aspra dei sistemi finora utilizzati, inconsueta da trovare in un settimanale che ha come audience privilegiata uomini d’impresa e policy maker. Si parte dalla constatazione che è difficile comparare l’andamento dello standard di vita nel tempo. Il PIL, il Prodotto Interno Lordo, la misura correntemente utilizzata, è una misura sempre più fuorviante del benessere materiale. L’averlo utilizzato, oltre che per la valutazione del livello dell’attività economica, anche per segnalare l’avanzamento del progresso è stato un errore. E l’imprecisione cresce nel tempo per tutta una serie di problemi:
- ¬La crescente disuguaglianza che rende sempre meno segnaletici gli indicatori di posizionamento medio;
- ¬L’incapacità a misurare la qualità dei prodotti e, ancor più, dei servizi, che rende difficile distinguere tra il miglioramento della fornitura e l’aumento del prezzo. Se si tratta, cioè di un prodotto (o servizio) di qualità migliore e, dunque, con un apporto positivo sul benessere materiale, oppure semplicemente più caro;
- ¬L’economia digitale che dà un crescente rilievo ai servizi gratuiti, che si tratti dei servizi di rete sociale come Facebook e Twitter, delle piattaforme collaborative come Wikipedia o dei programmi open source, oppure dei servizi virtuali gratuiti o quasi, che sostituiscono i prodotti fisici a pagamento (musica, mappe, giornali).
E se la contabilità nazionale ha, secondo l’Economist, difficoltà crescenti a tener conto della realtà, vuol dire che i policy maker prendono decisioni sulla base di dati non corretti. Come da tempo ha avvertito Amartya Sen, gli indicatori statistici sono essenziali per definire le politiche; se i nostri sistemi di misura sono errati o incompleti, saranno le stesse politiche ad essere sbagliate.
C’è da chiedersi come mai, in questo momento, l’Economist abbia scelto di proporre, e con tanta forza, questa tematica. Certo vi è l’insoddisfazione della situazione, ma forse anche la ricerca di una giustificazione consolatoria della bassa crescita del PIL, attuale e prospettica; la difficoltà di misura può essere utile al riguardo.
Ma a parte questa notazione, è interessante che l’Economist insista sulla necessità di trovare e praticare nuove strade nella misurazione del benessere. Meglio rischiare all’inizio di fare qualche errore, piuttosto che restare fermi su sistemi di misura che hanno mostrato i loro limiti e che non potranno che accentuare i loro difetti. L’idea è che “nessun calcolo può essere perfetto. Meglio costruire un nuovo approccio che ignorare il progresso che pervade la vita moderna”. E si dice che di questa necessità finora “se ne è parlato molto; si è fatto poco”.
Gli indicatori BES: un approccio originale per avere “occhi nuovi”
Ma la situazione per quanto riguarda l’Italia non è proprio così. Per una volta, anzi, non siamo all’anno zero, ma siamo invece un benchmark internazionale grazie alla collaborazione istituzionale tra CNEL e ISTAT, nata nel 2010 – 2011 e successivamente sviluppatasi,.
Si parla del BES, il Benessere Equo e Sostenibile, cioè di un sistema di indicatori, che consente un’analisi multidimensionale degli aspetti rilevanti della qualità della vita dei cittadini. Dunque un complesso di misure delle fondamentali dimensioni sociali e ambientali del benessere, integrate con misure di diseguaglianza e sostenibilità economica, sociale e ambientale. Il tutto raccolto in dodici domini; in altre parole le aree tematiche specifiche (Salute, Istruzione e Formazione, Lavoro e Conciliazione dei tempi di vita, Benessere economico, Relazioni sociali, Politica e Istituzioni, Sicurezza, Benessere soggettivo, Paesaggio e Patrimonio culturale, Ambiente, Ricerca e Innovazione, Qualità dei servizi ), che a loro volta contengono diversi indicatori. Il BES è nato proprio dalla consapevolezza, proveniente dal dibattito internazionale, della necessità di affiancare al PIL e alle sue capacità segnaletiche dell’attività economica, una misura più completa dello stato di salute del Paese. La stessa consapevolezza della necessità di porre rimedio alla difficoltà di dare ragione della complessità della condizione economica e sociale e delle aspettative di progresso delle comunità come degli Stati, in una transizione verso un nuovo modello di sviluppo che ineludibilmente deve assumere come principio guida le limitate risorse del pianeta: una sostenibilità che deve essere economica, sociale, ambientale, istituzionale.
E’ importante ricordare che la definizione dei domini e poi degli indicatori specifici è avvenuta attraverso un processo di condivisione, che ha congiunto la rappresentanza degli interessi di una società complessa come quella italiana con le competenze tecniche. Ne sono derivati tre Rapporti BES, di cui l’ultimo presentato a dicembre 2015 con i dati nazionali e regionali.
Al BES, pensato ad un livello più aggregato, si sono aggiunti poi URBES, panoramica multidimensionale dello stato e delle tendenze del benessere nelle realtà urbane e poi più recentemente il BES delle provincie, che estende la metodologia del BES ai territori di area vasta, in particolare provincie e città metropolitane. Vale la pena di sottolineare che i Rapporti relativi affiancano alla descrizione della situazione un’analisi sulla possibilità di utilizzare gli indicatori nella governance dei territori.
Ci sono molte ragioni per dare continuità alla stagione del BES. L’opinione pubblica è molto favorevole. Vi è una forte domanda che viene dal mondo scientifico e, come vedremo, anche dalla politica. Tutte le parti sociali e le associazioni della società civile sostengono un approccio di individuazione e validazione degli indicatori. Anche il Presidente dell’ISTAT ha più volte dichiarato che il BES deve continuare. In tendenza l’utilizzo degli archivi amministrativi e la possibilità di georeferenziazione costituiscono un’opportunità per un utilizzo ampio e pervasivo degli indicatori, alla luce anche della riforma della pubblica amministrazione.
Ma vi sono anche alcune criticità. Tra queste la principale è la cancellazione del CNEL da parte della riforma costituzionale. Il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro aveva costituito un punto di coagulo, che ha consentito quel processo di condivisione. Il BES è oggi rappresentativo come misura del benessere in Italia, perché lo erano i soggetti che hanno partecipato all’individuazione dei domini e degli indicatori. Tanto da poterlo considerare una sorta di Costituzione Statistica. Senza il CNEL il BES non sarebbe nato o, comunque, non avrebbe le caratteristiche di termometro condiviso. La cancellazione del CNEL incide per il futuro perché il BES non può essere considerato uno strumento ultimato, ma va considerato un work in progress, che deve evolvere sulla base delle esigenze che si pongono. Questo lavoro di adattamento deve potersi valere di un soggetto altrettanto titolato dalla rappresentanza delle parti sociali e della società civile, come in passato è stato il CNEL.
Un altro inconveniente per il BES è venuto da alcune voci critiche provenienti dalla stessa ISTAT, che suonavano come una marcata presa di distanza. Si obiettava che lo strumento non aveva la solidità teorica, ad esempio, della contabilità nazionale. Basterebbero le obiezioni dell’Economist a smontare quest’argomento. E certamente il BES non è uno strumento poco scientifico. Ha alle sue spalle il lavoro della Commissione Stiglitz, Sen, Fitoussi e quello di molti anni dell’OCSE, che dura tuttora. Si è detto già del lavoro di condivisione ad alto livello tra la Consulta CNEL – ISTAT e la Commissione scientifica, che ha impostato il lavoro su basi più che solide. E poi, soprattutto, il BES ha un grande avvenire davanti; il che non vuol dire che non sia migliorabile e forse opinioni critiche costruttive possono perfino aiutare.
Un’agenda per il BES
Si è detto che il sistema del Benessere Equo e Sostenibile va considerato non uno strumento definito una volta per tutte, ma da implementare. Molto è il lavoro da fare:
- ¬Bisogna dare seguito al miglioramento dell’offerta di informazione statistica che aveva iniziato la Commissione scientifica sulla base dei fabbisogni informativi emersi.
- ¬Occorre continuare l’approfondimento degli indici sintetici di dominio, iniziato con l’ultimo Rapporto BES. C’è un trade off tra esigenze di condensazione dei diversi indicatori anche ai fini comunicativi e il mantenimento di un pannello di controllo adeguato alle diverse esigenze.
- ¬E’ necessario sviluppare la dimensione della sostenibilità, che nel pannello attuale è ancora poco approfondita.
- ¬Si deve collegare il BES agli Obiettivi dello Sviluppo sostenibile dell’ONU (SDG’S), l’insieme di obiettivi pensato per il futuro dello sviluppo internazionale dall’Organizzazione delle Nazioni Unite.
- ¬Occorre dare piena evidenza e disponibilità agli indicatori elementari BES nelle Banche Dati dell’ISTAT, per favorirne l’utilizzo da parte dei cittadini, singoli o associati, in un contesto di larga partecipazione all’utilizzo dell’informazione statistica.
Tutti questi elementi richiamano la necessità di un’evoluzione, di un adattamento, di un ampliamento. Ma l’ISTAT non può essere lasciata sola a lavorare su questi temi. Cadrebbe l’elemento fondamentale della partecipazione della società civile e organizzata. Né sono pensabili scorciatoie tecnocratiche, di “palazzo”. Bisogna mantenere il valore aggiunto della condivisione. E allora come si supplisce alla cancellazione del CNEL? Un’ipotesi su cui si potrebbe lavorare è quella di una Conferenza permanente Parti Sociali – Società Civile con l’ISTAT e le Istituzioni Politiche. I compiti dovrebbero essere:
- ¬manutenere e implementare il BES;
- ¬condividere la redazione della parte dei documenti di finanza pubblica (DEF, PNR, Legge Stabilità) che ha a che fare con il BES;
- ¬monitorare le tematiche e le politiche connesse a Lisbona 2020, ONU SDG’S e all’Accordo di Parigi sul clima;
- ¬contribuire alla diffusione delle politiche di governance con gli indicatori BES.
Si tratta di compiti ben più ampi rispetto a quelli affidati alla CUIS, la Commissione degli utenti dell’informazione statistica, organo consultivo dell’Istat per contribuire al costante miglioramento della produzione statistica ufficiale. Questa Commissione è pensata, soprattutto, per favorire la comunicazione tra gli utilizzatori delle statistiche e chi le costruisce. Le parti sociali sono utilizzatori sempre più massivi e “sofisticati” di informazione statistica; anzi aumenta il loro ruolo anche nell’offerta di informazione statistica. La CUIS, da questo punto di vista, è uno strumento di partecipazione essenziale. Le riunioni plenarie paiono, però, più mirate a uno scambio di informazioni e valutazioni su singoli aspetti, che su scelte di fondo. E inoltre il ruolo sarebbe insufficiente rispetto ai compiti legati al sistema degli indicatori di benessere.
La Politica e il BES: il livello europeo, quello nazionale e quello territoriale
Dalla crisi è tracollata la fiducia delle persone verso le istituzioni pubbliche, i governi ed i parlamenti. Questo è particolarmente vero in Italia. La perdita di fiducia verso le istituzioni si accompagna ad un drastico ridimensionamento delle attese verso il futuro. Le persone investono meno sul futuro, perché hanno poca fiducia nelle istituzioni. Questo, inevitabilmente crea un circolo perverso. C’è necessità di un nuovo Patto dei cittadini con la Politica, che riavvicini l’uomo comune ai politici e alla politica. Deve essere evidente che le politiche che vengono implementate sono mirate a migliorare il benessere dei cittadini. Gli indicatori come il BES possono essere i termometri utili a questo scopo. E questo può avvenire, deve avvenire ai diversi livelli, da quello europeo a quello decentrato.
Il livello europeo Tutti sono convinti che mai come in questo momento l’Unione Europea è stata a rischio. Per sfuggire al populismo nazionalistico, bisogna ridare sostanza all’art. 3 del Trattato Europeo, che dice che “L’Unione si prefigge di promuovere la pace, i suoi valori e il benessere dei suoi popoli”. Occorre una rinnovata politica europea, fuori dall’illusione dell’austerità auto espansiva e finalmente volta alla ricerca di una ripresa dello sviluppo e del benessere. Per l’Europa è tempo di un ‘well-being’ compact. La governance deve ampliare gli indicatori di riferimento dai parametri finanziari e di bilancio pubblico agli indicatori di benessere equo e sostenibile. Passare dal fiscal compact al well-being compact non vuol dire necessariamente dimenticarsi della sostenibilità della finanza pubblica di breve e di lungo periodo, ma ricostruirla in quadro più forte, che si fa carico della crescita della fiducia dei cittadini verso le istituzioni nazionali e dell’Unione. Che bilanci, ad esempio, il contenimento del disavanzo nei paesi più indebitati con il rilancio della crescita in quelli che hanno ampi spazi di bilancio e forte avanzo delle partite correnti. Come pure rilanci gli investimenti europei.
Anche qui non partiamo da zero. Bisogna riprendere la proposta del Governo durante il semestre italiano, anche collegandola alla proposta di revisione recente sull’output gap. Si tratterebbe, dunque, di individuare:
- -uno o più indicatori condivisi di benessere complessivo per tutte le popolazioni;
- -un quadro di riferimento condiviso che tenga conto di tutti i fenomeni economici e non economici che influenzano la qualità della vita per politiche coerenti;
- -modelli per la valutazione ex-ante ed ex-post delle politiche, che integrino la dimensione economica con quella sociale ed ambientale.
Il livello nazionale Un risultato importante è stato raggiunto proprio in questi giorni con l’esame alla Camera della proposta di legge, largamente condivisa e con primo firmatario il Presidente della Commissione Bilancio Francesco Boccia, di Riforma del Bilancio dello Stato. Questa introduce l’analisi del BES, a consuntivo e in previsione negli anni successivi, dentro il percorso di finanza pubblica. Un riconoscimento, dunque, esplicito dell’ampliamento dei parametri utilizzati per le politiche economiche. Infatti è previsto che in un apposito Allegato al Documento di Economia e Finanza (DEF), venga svolta un’analisi a consuntivo dell’ultimo triennio degli indicatori di benessere equo e sostenibile adottati a livello internazionale. Nello stesso Allegato dovrebbero entrare le previsioni per il periodo di riferimento dell’andamento degli indicatori alla luce degli obiettivi di politica economica contenuti nel Patto di convergenza, nel Patto di stabilità interno e nel Programma nazionale di riforma. Inoltre è prevista una Relazione al Parlamento entro il 15 febbraio sugli effetti della Legge di bilancio del triennio in corso sugli indicatori.
L’attuazione di tali previsioni molto positive deve sciogliere alcune questioni relative all’adattamento degli indicatori BES alle misure adottate a livello internazionale e a quanto previsto dalla nuova legge di bilancio. Si tratta di scelte come è stato ricordato non con valenza tecnica, ma con contenuto valoriale fortissimo, perché definiscono gli obiettivi dell’azione politica. Scegliere un indicatore piuttosto che un altro significa, di fatto, costituire una gerarchia all’interno degli obiettivi e delle linee di azione; scegliere alcuni indicatori significa dichiarare che le politiche che quelli rappresentano sono essenziali, mentre le altre sono più marginali. Alle volte questo processo è implicito e non esplicito. La nuova legge chiede, ad esempio, di fare previsioni sull’andamento degli indicatori nel successivo triennio, che implica la costruzione di un modello e questo porta inevitabilmente ad una semplificazione; sarebbe poco convincente che queste scelte venissero fatte in ambito ministeriale o, comunque, tecnico, perché la valenza sarebbe ben più ampia. Occorre mantenere quell’approccio di condivisione che il BES ha avuto dall’inizio.
Il livello territoriale Una politica basata sulle evidenze è ancor più essenziale per il livello decentrato. L’utilizzo di un insieme di indicatori di benessere è un pilastro essenziale per la partecipazione dei cittadini, delle associazioni della società civile, per le parti sociali. Si tratta in sostanza di definire gli obiettivi e verificare i risultati dell’azione politica/amministrativa.
La governance deve individuare i propri obiettivi strategici a partire dall’analisi del benessere territoriale attuale, letto in rapporto a quello delle altre aree e all’andamento nel tempo. Da qui si parte per la fissazione di un’agenda politica e, dunque, per la definizione dei programmi. Naturalmente tutto ciò presuppone la ricostruzione delle relazioni tra le funzioni e le azioni amministrative e le dimensioni del BES; si tratta di classificare ogni attività svolta o che si ritiene che possa essere svolta dall’Ente analizzato sulla base delle funzioni che l’attività assolve, dell’obiettivo perseguito e, dunque, della dimensione del BES su cui quella attività specifica svolta dall’Ente può avere effetti. Influiscono le competenze assegnate; è evidente che l’azione di governance di un certo ente territoriale non incide con la stessa intensità in tutte le dimensioni del BES. Se ad esempio provincie e città metropolitane influiscono maggiormente su “Ambiente”, lo stesso non si può dire per il dominio “Salute”.
Con la definizione dei programmi, con priorità e vincoli, si entra, dunque, nell’azione di bilancio, ovvero nella definizione del reperimento e l’opportuna destinazione delle risorse; processo contabile e processo politico sono strettamente connessi. Se gli indicatori sono essenziali nella valutazione ex-ante delle politiche, lo sono ancora di più in sede di valutazione ex-post attraverso l’analisi delle performance, degli effetti e degli impatti. Tutto questo procedimento ha valore se non rimane chiuso in un ambito tecnocratico e di apparato, ma si muove in una società che fa della partecipazione ampia e attiva il suo segno distintivo.
Basta la politica da sola, bastano le istituzioni da sole nel nostro Paese?
Per dare seguito alla transizione verso un nuovo modello di sviluppo occorre affrontare la messa in discussione di equilibri, aspettative, assetti di potere. Per governare i conflitti che essa ineludibilmente comporta non sono sufficienti, non basta l’impegno della politica e delle istituzioni.
Occorre un riconosciuto e rinnovato protagonismo dei corpi intermedi, un agire concreto delle forze sociali (in primis di imprese e del lavoro) che abbiano insita nel loro Dna una visione di modernità che non disdegna le proprie radici. Sono i naturali mediatori tra attese di singoli e di gruppi, costruttori di prospettive di progresso nelle quali tutti si possano riconoscere.
Per promuovere lo sviluppo equo e sostenibile è nato, ad opera di un gruppo di queste, un Forum, il Forum MYBES, con l’intento di:
- -formulare contributi di merito utili a dare vigore e centralità al dialogo sociale sui temi della sostenibilità (economica, sociale, ambientale, istituzionale);
- -essere uno dei referenti per la divulgazione, l’utilizzo, l’aggiornamento e la validazione sociale degli indicatori BES, perché possano essere strumenti condivisi ed apprezzati nella definizione di una lungimirante politica di sviluppo;
- -individuare ed offrire, sulla scorta delle esperienze dei soggetti aderenti, processi educativi efficaci per mettere in una relazione strutturata l’apprendimento, l’impegno a progettare insieme, l’esplorazione di possibili prospettive del fare intrapresa e lavoro in un contesto di mutamenti che hanno il loro principale vettore nella ricerca e nell’innovazione;
- -essere. anche ai conseguenti fini dell’orientamento, tra gli interlocutori dei primari soggetti di sistemi informativi su professioni e mestieri esistenti e su quelli emergenti, perché riflettano al meglio le dinamiche che li investono.
C’è molto da fare: non disperdiamo il ben fatto e continuiamo!
(*) Presidente Articolo 99-MyBes
(**) Centro Studi Ricerche e Formazione CISL; membro Consulta Cnel-Istat