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“Peccatore si, corrotto no!”

Davvero intensa questa breve meditazione, fatta da Papa Francesco quando era ancora Arcivescovo di Buenos Aires nel 2005, sul tema della corruzione. Uscito per i tipi della casa editrice missionaria, Emi (Josè Mario Bergoglio, Guarire dalla corruzione, Emi 2013, pagg. 60. Con Postfazione di Pietro Grasso), qualche giorno dopo la sua elezione a Vescovo di Roma, ci consegna una vera e proprio “fenomenologia dell’ antropologia” della corruzione (ovvero dell’uomo corrotto).

 

La corruzione, come si sa anche alla luce di recenti scandali avvenuti nel nostro Paese ( si calcola, secondo stime della Corte dei Conti, che la corruzione ha un costo di 60 miliardi per il sistema Italia), devasta l’economia, i valori etici e morali, la politica di una società. Certo, il contesto da cui parte Bergoglio è l’Argentina, ma proprio per il suo approccio biblico, assume un carattere universale.

L’analisi è radicale, come solo un uomo che vive concretamente nella profezia evangelica può offrire. E in queste riflessioni si trovano, in nuce, tutti i temi della predicazione di Papa Francesco. Non c’è nulla di estemporaneo nelle prese di posizioni di Bergoglio. Anzi è frutto di una vera e propria “lectio divina” quotidiana, per certi versi rimanda all’approccio del Cardinale Martini. Bergoglio non è un biblista ma fa suo il “taglio” biblico sulla “città dell’uomo”.

Allora, ecco la prima, importante e molto radicale, affermazione: “Potremmo dire che il peccato si perdona, la corruzione non può essere perdonata. Semplicemente per il fatto che alla radice di qualunque atteggiamento corrotto c’è una stanchezza della trascendenza: di fronte al Dio che non si stanca di perdonare, il corrotto si erge come autosufficiente nell’espressione della sua salvezza: si stanca di chiedere perdono”. Il corrotto vive nell’autosufficienza di se stesso e della sua “immanenza”, che per usare le parole del Vangelo, è il falso “tesoro” della ricchezza e del potere. Lì è collocato il suo cuore e la sua vita. Tutto vive in questa dimensione; la corruzione non è un atto, è uno stato personale e sociale nel quale uno si abitua a vivere una vera e propria “cultura” della corruzione. E questa cultura fa del proselitismo. E’ una cultura della pigmeizzazione in quanto convoca proseliti con il fine di abbassarli al livello di complicità ammesso. Nelle tenebre della corruzione, per usare una parola di George Bernanos, c’è il “gelido respiro di Satana”.

Tutto viene abbassato. Per questo “non bisogna confondere peccato con corruzione. Il peccato, soprattutto se reiterato, conduce alla corruzione, non però quantitativamente (tanti peccati fanno un corrotto), ma piuttosto qualitativamente, con il generarsi di abitudini che vanno deteriorando e limitando la capacità di amare, ripiegando ogni volta di più i riferimenti del cuore su orizzonti più vicini alla sua immanenza, al suo egoismo”.

Il corrotto ammanta le sue azioni con un atteggiamento, che il Papa così lo definisce, come “sfacciataggine pudica” in quanto la corruzione porta a perdere il pudore che custodice la verità e che rende possibile la verità dell’essere. Tutto nella corruzione viene abbassato. Tutto diventa strumento; per questo scompare l’uomo.

Nel suo dilagare, la corruzione non rimane nascosta e lo “sbilanciamento tra la convinzione di bastare a sé stessi e la realtà di essere schiavi di quel tesoro non puo’essere arginato. È uno squilibrio che esce fuori e, come succede con tutte le cose chiuse su se stesse, bolle per sfuggire alla propria pressione… E, al fuoriuscire, sparge l’odore di questa chiusura su se stessi: puzza. Sì, la corruzione odora di putrefazione”. Ma il corrotto non se ne accorge, “come succede con l’alito cattivo”, allora bisogna innescare una terapia radicale di guarigione. Come afferma il Papa “generalmente il Signore lo salva attraverso prove che gli arrivano da situazioni che non può evitare (malattie, perdita di ricchezze, di persone care eccetera) e sono queste che spaccano l’ossatura corrotta e permettono l’accesso della grazia. Adesso potrà essere curato”. Son parole dure queste del Cardinale Bergoglio. Ma danno l’idea di quanto sia importante estirpare la “cattiva radice” della corruzione. Una minaccia mortale per lo Stato di diritto e la democrazia.

Dal sito : www.rainews24.it

 

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