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Ricondurre a unità il sistema fiscale italiano

Ricondurre a unità il sistema fiscale italiano, che a cinquant’anni dalla riforma Cosciani/Visentini si presenta oggi come un sistema “ad personam”, appare un’impresa sommamente difficile sotto vari aspetti, economici, politici e sociali.

Economici perché a fronte di un’elevata evasione presenta una forte pressione fiscale su alcune tipologie di reddito su cui andrebbe decisamente abbassata, ma mancano le risorse per farlo.

Politici perché è un sistema caratterizzato da misure che favoriscono, premiano, privilegiano, settori specifici di elettori ed eliminarle/ridurle costa in termini politici.

Sociali, perché il sistema fiscale si intreccia sempre più fortemente con il finanziamento del welfare e con l’erogazione/fruizione delle sue prestazioni, favorendo alcuni e discriminando altri.

Toccarlo vuol dire affrontare tutti questi temi che si sono accumulati negli ultimi cinquant’anni e farlo in una situazione in cui è imperativo che una riforma fiscale non produca aggravi per la finanza pubblica ma trovi le risorse necessarie al suo interno, nella lotta all’evasione, nei tagli di spesa senza ricorrere al finanziamento in deficit, l’esercizio più difficile per i nostri politici.

Un ritorno all’unicità di tassazione dei redditi personali immaginata da Cosciani è oggi difficile da ipotizzare data la libertà di movimento ormai acquisita dai capitali e il nostro stare comunque all’interno della Comunità Europea. La soluzione prospettata nella Delega Draghi di un sistema compiutamente Duale con un’aliquota unica proporzionale per i redditi da capitale, mobiliare e immobiliare, e una tassazione progressiva per tutti i redditi da lavoro, autonomo e dipendente, e da pensione è la scelta oggi concretamente possibile. È la scelta fatta da molti paesi europei e in concreto si tratta di razionalizzare una strada verso la quale ci si è già incamminati, ma omogeneizzando i trattamenti fiscali su tutti i redditi derivanti dall’impiego di capitale eliminando le varie tipologie di regimi agevolati, dalla cedolare secca sui redditi da immobili alle agevolazioni sulla tassazione del risparmio, stabilendo un’aliquota fiscale unica. 

Da riflettere sulla tassazione dei titoli di stato alla luce del livello del nostro debito pubblico.

Quale aliquota unica fissare per questi redditi? In altri paesi è in genere legata a quella del primo scaglione dell’imposta sul reddito delle persone fisiche. E’ un possibile riferimento, ma dipende dalla soluzione data al problema Irpef.

L’adozione di un sistema Duale con una tassazione progressiva dei redditi da lavoro e da pensione comporta naturalmente l’eliminazione di ogni regime agevolato riservato agli autonomi (flat tax) o al reddito agrario (esenzione), riconducendo tutti questi redditi all’interno di un’unica Irpef. 

L’Irpef, oltre ad essere uniformata tra le diverse tipologie di reddito di lavoro e di pensione, va semplificata rispetto all’attuale congerie di aliquote marginali che vanno drasticamente. Si può ragionare sulla scelta tra una progressività continua o a scaglioni. Due credo siano i criteri da seguire: spostare la progressività verso l’alto rispetto al peso che attualmente grava sui redditi medi, e scegliere un sistema che consenta al contribuente di conoscere con facilità il suo carico fiscale. 

In questo quadro si può inserire la proposta “tax the rich” che prevede una tassazione specifica per la parte più ricca (lo 0,1% della popolazione residente).

Nelle due deleghe fiscali presentate in Parlamento dai governi Draghi e Meloni il tema del finanziamento del welfare è toccato solo con riferimento al progetto di eliminazione dell’Irap, contenuto in entrambe le deleghe, e alla necessità di coprire il venir meno del gettito destinato al finanziamento del SSN. L’idea, più esplicita nella delega Meloni, è quella di una sovraimposta Ires.

Nessuna delle due deleghe affronta il tema connesso ai profondi cambiamenti intervenuti nelle prestazioni di welfare e nel sistema di finanziamento del welfare. Da un lato l’estendersi di prestazioni di tipo universalistico non finanziate da contributi, dall’altra la riduzione del ruolo dei contributi come fonte di finanziamento, sostituiti dall’apporto finanziario dello stato. Se fino alla metà degli anni settanta le prestazioni nel loro complesso erano coperte dai contributi, da allora l’apporto dello stato è diventato via via più pesante e oggi (2022) copre il 40% delle prestazioni se consideriamo assistenza e previdenza e oltre il 50% se vi aggiungiamo la sanità.

Questo pone un duplice ordine di problemi dato che il nostro welfare prevede prestazioni universalistiche a volte basate sulla prova dei mezzi: chi finanzia il welfare attraverso il fisco e chi subisce limitazioni nell’accedere alle prestazioni attraverso la prova dei mezzi.

I dipendenti e gli autonomi finanziano il welfare con i contributi e l’Irpef. Dipendenti, pensionati, autonomi non in flat tax sono chiamati a pagare l’addizionale regionale dalla quale tutti gli altri redditi sono esenti. Dato il livello elevato di evasione dall’Irpef soprattutto in capo al lavoro autonomo, media 31,2 mld nel periodo 2018/20, chi corre di più il rischio di essere escluso da prestazioni di welfare basare sulla prova dei mezzi sono coloro che finanziano maggiormente il welfare e che meno possono evadere perché soggetti al sostituto d’imposta. 

In ogni caso è evidente che non può reggere nel tempo una differenza sempre più ampia tra contributi e prestazioni, unita a una forte evasione fiscale e a una ampia disparità di carico fiscale.

Vanno abolite le addizionali Irpef e introdotta un’imposta specifica di finanziamento del welfare su tutti i redditi, compresi quelli da capitali, in modo da rendere tutti coloro che beneficiano delle prestazioni dello stato sociale partecipi del suo finanziamento. Sarebbe un’imposta con base impositiva amplissima che, estesa anche ai redditi di impresa, potrebbe consentire di finanziare la riduzione del cuneo contributivo e alzare in modo strutturale il livello delle retribuzioni.

Fondamentale per la riforma fiscale è la lotta all’evasione che con buona pace della Presidente del Consiglio non può riguardare solo le grandi imprese ma, come dimostrano i dati delle Relazioni sull’economia non osservata è sull’evasione fiscale e contributiva, riguardano anche le piccole imprese e i lavoratori autonomi.

L’Iva è una delle principali fonti di evasione. Split payment, fatturazione elettronica e invio automatico dei corrispettivi la stanno aggredendo, ma vanno razionalizzate le aliquote IVA. Vi è la necessità di eliminare le diverse aliquote Iva che caratterizzano lo stesso prodotto secondo la fase produttiva o commerciale favorendo l’evasione o l’elusione. E’ possibile rivedere le aliquote ridotte e accorparle. È possibile nel complesso un’operazione di pulizia e di revisione della struttura complessiva dell’Iva. 

Va posto con forza a livello Comunitario e a livello internazionale il problema della tassazione dei giganti del web e di grandi aziende come Amazon che sfuggono al fisco nazionale. 

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