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Una professionalità per educare, una comunità che apprende.

Nella comunità che apprende si rafforza la reciprocità dei vincoli che genera responsabilità e corrispondenza nella relazione educativa, producendo circolarità degli apprendimenti.

La disponibilità a investire in una logica negoziale e più paritetica richiede all’adulto-educatore la consapevolezza della necessità della funzione di autorità che deve assumere e gestire.

In tal modo, senza negare le differenze e le asimmetrie che regolano il rapporto, e accettando la richiesta, spesso silenziosa, di un coinvolgimento emotivo affettivo, è possibile offrire ai giovani e a sé stessi un’opportunità di emancipazione e crescita.

 

Incontro antropologico

Chiediamo il rispetto per gli ambienti di appartenenza, non il tradimento delle radici.

La valorizzazione dei saperi informali e delle credenze locali istituisce in modo permanente una dimensione accogliente anche negli ambiti cognitivi e professionali: attraverso l’espressività artistica, per esempio, manteniamo sistematicamente aperta la dimensione accogliente verso i vissuti dei giovani.

Ciascuno è unico per sé e per gli altri, e il momento del circle time è il tempo in cui i ragazzi diventano consapevoli di essere padroni del loro tempo, la firma del contratto formativo sancisce in ingresso ruoli e responsabilità.

 

Prendere tempo

Sappiamo perdere tempo guadagnandolo, sappiamo attendere la maturazione interna di ciascuno. Rispettiamo le narrazioni di tutti; lunghi silenzi e pause che fanno parte del racconto: l’inizio di una narrazione condivisa è spesso silenzioso e ricco di sfumature empatiche.

Abbiamo imparato a creare occasioni e piccoli rituali in cui ci si capisce senza parole, in cui lo sguardo amico e il saper sognare istituiscono una zona protetta tra il docente e l’allievo, dove quest’ultimo può avventurarsi senza timori.

 

Apprendistato cognitivo e mediazione cognitiva

L’apprendimento è in molti modi connesso alla paura: si apprende perché si cercano mentalmente ripari sicuri, non si apprende quando ci fanno paura situazioni nuove.

Nella posizione frontale e professorale si moltiplicano le ansie dei giovani, nell’affiancamento i giovani si sentono aiutati e sostenuti. Svolgiamo così un apprendistato, un «allenamento insieme», in cui l’allievo imita il maestro piuttosto che limitarsi ad ascoltarlo.

Il maestro media continuamente perché crea spazi e occasioni, perché la cultura trasmessa incontri la cultura vissuta da ciascun giovane nella propria singolarità. Gli apprendimenti informali e divergenti sono per noi preziosi reperti, punti d’appoggio per incontri fecondi e per una crescita radicata nella propria esperienza.

È molto difficile apprendere dall’esperienza senza il supporto emotivo e cognitivo di adulti responsabili e competenti, si rischia di interiorizzare sconfitte piuttosto che maturare la capacità di affrontare le sfide del pensiero e della vita.

 

Pratichiamo la cittadinanza

I giovani sono chiamati ad assumersi responsabilità verso sé stessi e verso il territorio in cui vivono. Noi non dobbiamo privare i giovani della possibilità di competere in modo sano e produttivo con gli adulti. Nei nostri laboratori, nei tirocini formativi, negli stage fuori regione, nei campi scuola, non perseguiamo un obiettivo di mera possibilità di reddito, ma un obiettivo formativo ed educativo fondamentale per l’assunzione di ruoli adulti.

L’accompagnamento educativo nelle fasi di passaggio fa in modo che i giovani non brucino o saltino le tappe che sanciscono discontinuità del processo di crescita, ma che possano assaporarle completamente per trovare le energie necessarie ad affrontare responsabilità crescenti.

 

Non si sono gerarchie di saperi o di relazioni

Sviluppo cognitivo, cura parentale, apprendimento professionale, sviluppo delle relazioni e delle capacità cooperative, tutto questo si insegue e si intreccia in un unico circuito di crescita, in una unica dinamica vitale.

I nostri educatori e in genere tutti gli operatori stanno continuamente a sottolineare e a distillare dall’esperienza vissuta i molti significati, le molte competenze, le molte letture possibili, cosicché da esistenze frammentate, da sollecitazioni incoerenti, da esperienze discontinue, possa emergere gradualmente un disegno coerente, una nuova significazione che è espressione di un significante irripetibile quale il giovane che cresce: dal chiasso nasce la parola; un chiasso che non è quello dei ragazzi, ma quello prodotto da una realtà caotica e da troppi adulti che non sanno assumersi responsabilità.

Le capacità conquistate vanno individuate, innanzitutto attraverso un pensiero che sappia analizzarle e collegarle, la meta-cognizione, l’attività riflessiva propriamente detta, la famosa capacità di imparare a imparare, ma soprattutto va riconosciuta emotivamente come proprio prodotto, come salto nello sviluppo identitario.

Gli esami veri non finiscono mai, perché mai finisce il bisogno emotivo di conferma di sé. Le nostre prove e verifiche non sono l’orpello burocratico o la tassa da pagare alle formalità, ma sostanza di un processo di sviluppo, sono un diritto del cittadino giovane e non un dovere.

 

Didattica speciale

Niente di quello che ci attribuiamo come specialità in realtà è speciale: abbiamo semplicemente trovato il modo di esperire negli anni alcuni caposaldi del vivere civile e dell’apprendere che sono scritti in secoli di storia. Ci sono parole nuove, costrutti organizzativi diversi, ma la sostanza fortunatamente è molto antica.

Ci poniamo, quindi, una sola domanda: perché tutto questo dovrebbe essere riservato ai ragazzi in condizioni difficili? Lo avremmo voluto per i nostri figli e lo vorremmo per i loro figli, invece siamo ancora costretti a presentarci come sperimentatori delle condizioni estreme, missionari dell’altruismo, eroi del degrado.

 

 

 (*) Presidente Associazione Maestri di Strada Onlus – Napoli

 

 

 

 

 

 

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