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La strada è quella giusta, acceleriamo il passo.

Credo che le testimonianze che abbiamo sentito dal mondo delle imprese, dal mondo della scuola e dalle organizzazioni sindacali, ci dimostrino che il cambiamento, adesso, si è avviato davvero. Io ho iniziato ad occuparmi dei temi dell’orientamento e dell’alternanza scuola-lavoro circa un quarto di secolo fa. Allora si trattava sostanzialmente di “grida manzoniane”, di auspici, adesso si è entrati “in partita”. La partita che è cominciata e nella quale si è entrati in campo con differenti modalità, riguarda l’evoluzione delle riflessioni maturate all’epoca e che già contenevano indicazioni per gli sviluppi futuri.

Sostanzialmente abbiamo due obiettivi da conseguire: il primo, esposto dall’assessore al Lavoro della Regione Lazio, Lucia Valente, è di carattere culturale sia per quanto riguarda le famiglie e i ragazzi sia per quanto concerne le imprese e consiste nel riguadagnare il valore educativo del lavoro, valore che è stato abbandonato e che ha portato ad una conseguente “svalorizzazione” del lavoro in quanto tale. 

L’assenza di una dimensione educativa del lavoro si riflette su una duplicità di fattori. Da un lato, sulle scelte che vengono fatte che, non essendo frutto di adeguate valutazioni, portano in molti casi ad un immenso spreco di risorse. Dall’altro, sulla difficoltà delle imprese di considerarsi anche sedi formative e non solo luoghi di produzione. Infatti, è chiaro che se il lavoro perde la sua funzione educativa, viene meno, di conseguenza, il ruolo formativo dell’impresa. 

Accanto a questo cambiamento culturale che, pur non essendo facile, sembra tuttavia essersi avviato, si pone la questione delle modalità di raggiungimento, in termini di politiche, di questi risultati: riuscire a contrastare l’abbandono scolastico; ridurre lo spreco enorme di risorse, frutto di scelte sbagliate; creare percorsi di inserimento e di avvicinamento al lavoro che portino ad un risultato positivo; evitare che, al 20% delle posizioni lavorative richieste dalle imprese, non ci sia nessuno che risponda “presente” e non perché manchi la voglia di lavorare, bensì perchè non si è in possesso di competenze adeguate. 

Le politiche devono quindi tendere a conseguire risultati positivi, tenendo presenti queste quattro questioni. Noi oggi abbiamo a disposizione una serie variegata di strumenti: le 200 ore per i licei; le 400 ore per gli istituti tecnici e professionali; l’alternanza rafforzata nei percorsi di istruzione e formazione professionale – sono 400 ore all’anno e non in tre anni – gli ITS che rappresentano una forma di sistema duale già strutturato, seppur su piccoli numeri, e il nuovo apprendistato formativo. 

Si tratta di una strumentazione nella quale sono presenti cinque diverse gradazioni. E’ evidente come sia necessario tener conto di questa differenziazione, nell’atto di elaborare un sistema che sia non occasionale e non basato solo su qualche eccellenza, ma che sia invece in grado di raggiungere grandi numeri e di ottenere risultati che incidano significativamente sul percorso delle persone. 

Infatti, una cosa è pensare l’alternanza di 200 ore in tre anni per un liceale, un’altra è pensarla di 400 ore per un tecnico professionale, un’altra è concepire 400 ore di alternanza rafforzata nei percorsi di istruzione e formazione professionale e, un’altra cosa ancora, è ripensare l’organizzazione degli ITS.  

Ulteriormente diverso si presenta, infine, l’apprendistato formativo nel quale, la fase formativa – svolta a scuola o nell’agenzia formativa – rappresentando poco più di un terzo del rapporto, comporta uno spostamento fortissimo verso l’area dell’impresa. 

Credo sia necessario partire dalle esperienze che sono state fatte, compresi gli errori e le difficoltà. Infatti, quando si inizia un percorso può esserci un po’ di “disordine”, ma si tratta di un disordine che, se utilizzato come modalità utile alla costruzione di un sistema, può addirittura rappresentare una risorsa, una potenzialità. 

Credo, altresì, che vada svolto un lavoro comune tra tutti gli attori – sia quelli istituzionali, ai diversi livelli sia, soprattutto, coloro che operano nel campo delle imprese –  organizzazioni sindacali e organizzazioni imprenditoriali – in quanto, uno sforzo comune, è essenziale per poter conseguire dei risultati. 

Del resto, se guardiamo a quello che accade negli altri Paesi europei, l’orizzonte cui ci si deve attestare appare chiaro. Consideriamo strumenti quali: in primo luogo, l’attuale dimensione all’interno della scuola secondaria che si sta strutturando a favore di tutti; in secondo luogo, la dimensione sperimentale dei percorsi duali che, allo stato attuale, sta compiendo i primi passi per diventare un ordinario elemento del nostro sistema formativo; in terzo luogo, l’esigenza di  raddoppiare o triplicare i numeri sull’ITS, al fine di strutturare un sistema duale post-diploma che sia effettivamente in grado di favorire l’occupazione. 

Dobbiamo tenere insieme tutti e tre questi strumenti e dobbiamo farlo, avendo come riferimento un unico disegno – una cultura accumulante – pur nella differenziazione degli strumenti. Soprattutto dobbiamo far sì che le norme siano effettivamente promozionali. Occorre tener conto che l’“obbligo”, la “norma di legge”, sono importanti, ma se non vengono accompagnati da misure promozionali, è difficile che portino al risultato voluto, in modo adeguato. 

Ecco perché credo che sia stato importante l’inserimento della norma, seppur di dimensioni modeste da un punto di vista finanziario, nell’ultima legge di bilancio, secondo la quale le imprese possono godere un vantaggio contributivo in caso di assunzione dei giovani che hanno fatto un percorso di alternanza scuola lavoro o di apprendistato formativo. E se in futuro – come è scritto nel Documento di Economia e Finanza –  dovessimo introdurre una robusta decontribuzione per i più giovani, anche questa misura potrebbe costituire uno strumento di ulteriore rafforzamento di questa direzione, di questo percorso. 

Ecco perché credo che occorra “mixare” l’introduzione di norme mirate con la costruzione di un sistema ben organizzato. Si è fatto riferimento anche le Camere di Commercio, Enti che rappresentano un altro degli attori che può contribuire alla regolarizzazione di questo sistema. 

In un Paese dove il 95% dell’occupazione si concentra nelle piccole o medie imprese, è chiaro che se non si riesce a raggiungere in maniera efficace quel reticolo di realtà che caratterizza il sistema economico ed imprenditoriale italiano, difficilmente si riusciranno a creare i numeri importanti che oggi servono. 

Io credo che la strada intrapresa sia quella giusta, anche se forse non la si è sempre praticata attraverso “l’entrata principale”, ma ritengo altresì che non bisogna pentirsi o guardarsi indietro. Bisogna semmai accelerare il passo e penso che un seminario come quello odierno, così come è stato messo a punto, ci aiuti a far luce su quali siano le tappe successive e gli strumenti più idonei per raggiungerle, nonché su quanto sia necessario per approdare alle mete intermedie. 

A me sembra che, attualmente, la possibilità di realizzare gli obiettivi vi sia, che non si tratti solo di un discorso astratto, ma che, al contrario, il cambiamento sia già cominciato, sia in corso. Ora si tratta solo di accelerare il passo.

 

 (*) Sottosegretario di Stato Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali

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