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Anac: linee guida per il terzo settore e la cooperazione sociale

Lo scorso 6 febbraio sono state pubblicate in Gazzetta Ufficiale le Linee Guida in merito all’affidamento di servizi agli enti del terzo settore e alle cooperative sociali, redatte dall’Autorità Nazionale Anticorruzione (Anac) a valle di un percorso di consultazione iniziato nel luglio 2015.

La Relazione Air, che accompagna le Linee Guida, descrive il contesto normativo, le motivazioni, gli obiettivi e le fasi del procedimento che hanno condotto all’adozione delle linee guida, nonché le fasi di consultazione con le relative istanze emerse.

In questa sede, all’interno delle tematiche di interesse in questa Newsletter, proviamo a sottolineare alcuni aspetti del contesto sociale e politico all’interno del quale tali Linee Guida vanno a incidere.

Come Anac riconosce in apertura, il terzo settore ha un’importanza cruciale per la collettività, visto il suo ruolo centrale nell’erogazione dei servizi sociali e sociosanitari. Oltre alla erogazione, le organizzazioni del terzo settore supportano l’ente locale nella programmazione dei servizi e delle politiche, funzione divenuta sistematica dopo l’introduzione della L. 328/2000.

Proprio su questo aspetto si concentra anche il ddl governativo mirante a una revisione organica della disciplina riguardante il terzo settore (d.d.l. n.1870 approvato alla Camera dei deputati il 9.4.2015). L’orientamento di policy va verso il rafforzamento del Welfare partecipativo, valorizzando il ruolo degli enti nella fase di programmazione, a livello territoriale, relativa anche al sistema integrato di interventi e servizi socio-assistenziali. Come osserva l’Anac, nel ddl non è tuttavia presente un espresso richiamo alla necessità di coordinare la disciplina con la normativa comunitaria e nazionale in materia di appalti pubblici. Le Linee Guida hanno dunque l’obiettivo primario di rimediare a tali carenze “con lo scopo di fornire indicazioni operative alle  amministrazioni aggiudicatrici e agli operatori del settore, al fine di realizzare i predetti obiettivi nel rispetto della normativa comunitaria e nazionale in materia di contratti pubblici e prevenzione della corruzione”.

In effetti il terzo settore è una realtà importante, sia sotto il profilo sociale, per la natura dei servizi svolti, che sotto il profilo occupazionale. Comprendendo le diverse organizzazioni no profit che operano in Italia, l’Istat ha contato circa 300 mila unità nel 2011, che ricorrono alle prestazioni di 4,7 milioni di volontari, 681 mila dipendenti, 271 mila lavoratori esterni e 5 mila lavoratori temporanei. L’89% delle istituzioni no-profit è costituita in forma di associazione (201 mila associazioni non riconosciute e 68 mila riconosciute, ossia dotate di personalità giuridica). Le cooperative sociali sono invece 11 mila (il 3,7%), le fondazioni 6 mila (il 2,1%) e le altre forme giuridiche circa 14 mila (il 4,8%), rappresentate principalmente da enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, comitati, società di mutuo soccorso, istituzioni sanitarie o educative. Proprio le cooperative sociali registrano dinamiche di sviluppo molto positive sin dagli anni ’90. Tra il 2001 e il 2011 le cooperative sociali in Italia sono quasi raddoppiate, passando da 5.674 a 11.264 (+88,5%) e hanno aumentato gli occupati del 129,4% (da 159.144 a 365.006) (Istat 2013). Nel 2013, nonostante la crisi, le cooperative sociali hanno generato un valore della produzione pari a 10,1 miliardi con 390.000 occupati e investimenti per 7,7 miliardi di euro (Euricse 2015). Uno sviluppo dipeso in larga parte dalle politiche di esternalizzazione della produzione di servizi sociali ed educativi intraprese dalle pubbliche amministrazioni.

Terzo settore e cooperazione sociale hanno dunque accresciuto le entrate prevalentemente con i finanziamenti pubblici, offrendo servizi di importante rilevanza sociale rivolti a minori, disabili, anziani, immigrati, ecc. Eppure, proprio tale vitalità e i margini di profitto che ne conseguono, hanno attratto interessi occulti e reso difficoltose le capacità di controllo istituzionale e interno al settore.

Le Linee Guida appena pubblicate citano ma non sottolineano apertamente tale aspetto, ma nelle considerazioni emerse in fase di consultazione l’aspetto della diffusa opacità dei rapporti tra enti locali e terzo settore/cooperazione sociale sembra emergere in più momenti. Così come una certa preoccupazione consegue ad inchieste e fatti di cronaca che mostrano un uso spregiudicato e fraudolento della formula sociale come strumento che agevola l’affidamento e la gestione di servizi la cui importanza sociale gli conferisce un regime speciale e derogatorio.

In questo quadro, diversi segnali mostrano come il settore dei servizi sociali, esito del processo di privatizzazione del welfare state, presenti preoccupanti forme di neo-patrimonialismo, di gestione particolaristica di risorse pubbliche, una commistione perversa tra pubblico e privato che si acuisce in regime di emergenza (come per i rifugiati). Tutti caratteri che attirano l’interesse delle imprese criminali, anche mafiose. Non è un caso che il penultimo focus della rivista Politiche Sociali del Mulino – punto di riferimento negli studi sui sistemi di welfare e le politiche sociali italiane ed europee collegato alla rete di esperti di welfare ESPAnet Italia – sia stato dedicato al tema «Welfare e legalità» con un’introduzione significativamente intitolata «Welfare, corruzione e mafie» (Ugo Ascoli e Rocco Sciarrone).

In tal senso ben vengano delle Linee Guida dedicate, per mettere ordine e “fornire indicazioni operative alle amministrazioni aggiudicatrici e agli operatori del settore al fine di addivenire ad aggiudicazioni rispettose della normativa di settore e della normativa nazionale e comunitaria in materia di affidamenti di contratti pubblici”.

Per un dettaglio delle Linee Guida si rimanda alle schede proposte da Avviso Pubblico e da Vita.it. In questa sede ci limitiamo a riportare una tabella di sintesi dei principali contenuti.

  

 

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