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Un accordo che sa di svolta

Dopo sette anni, c’è stato un accordo tra Governo e Cgil, Cisl e Uil su un punto determinante e qualificante la manovra di politica economica che va sotto il nome di “legge di stabilità”: la rivalutazione delle pensioni più basse e l’introduzione della flessibilità in uscita dal lavoro. Se si prendono per buone le cifre del Governo, si tratta di un blocco di spesa pubblica che, nel giro di tre anni, assorbirà poco più di 6 miliardi di euro.

Una lettura più attenta e competente su tutte le misure previste dall’accordo, la rinvio al testo di Benetti, ospitato in questa newsletter. Mi limiterò a tre considerazioni di ordine più generale che, a mio avviso, segnalano cambiamenti strutturali di lungo respiro sia relativi alle scelte meramente politiche, sia nei comportamenti dei soggetti protagonisti di quell’intesa. Scelte e comportamenti che avranno effetti di rilievo nel nostro Paese ma anche in Europa.

Innanzitutto, vale notare un cambio di passo del Governo. Poteva continuare come ha incominciato la sua attività. Decidere senza coinvolgere realmente le parti sociali, trattate spesso con evidente fastidio. Non c’è niente di illegale, sia chiaro, in un comportamento di questo genere. Se ora, però, la scelta è cascata sul dialogo – ben presto divenuta vera e propria trattativa – forse va collegata al particolare momento che coinvolge gli italiani: l’imminenza del referendum sulla riforma costituzionale.

Ma c’è più di un indizio per ritenere che questo cambiamento risente di un pensiero più strategico, che si proietta ben oltre quella consultazione popolare, nient’affatto insignificante. Tanto sulla riforma della giustizia, quanto su quella dell’informazione si notano cautele e sensibilità nuove. Ma è soprattutto il richiamo alla coesione nazionale, fatta dal Presidente del Consiglio dopo il terremoto nell’Appennino centrale, che fa da cornice ai comportamenti trattativistici anche sul tema delle pensioni.

E’ evidente che l’impostazione originaria, specie del Presidente del Consiglio, di piena fiducia del suo rapporto con la gente e di svalutazione dei corpi intermedi presenti nella società, alla prova del governo del Paese non ha dato i risultati previsti se non sperati. La lettura di Bauman e della sua teoria della società liquida può fare brutti scherzi a chi si affida ad essi, mani e piedi. La tesi del professore  non  è fantasia; in più c’è da dire che molti dei corpi intermedi più rilevanti nello scenario nazionale hanno offerto buoni motivi, con le loro scelte o non scelte, per farsi collocare nella categoria dei “dimenticati”. Ma la società, nonostante tutto, non è liquefatta e la rappresentanza delle esigenze sociali sta ancora reggendo la sfida della coesione. E con essa e attraverso essa si devono fare i conti. A me sembra che questa sia una novità nella strategia del Governo.

Parallelamente, Barbagallo, Camusso e Furlan hanno colto al volo la mano tesa. E, vera novità, si sono presentati al confronto con una posizione sostanzialmente unitaria. Anche questa non mi sembra una scelta dettata da tatticismo. Evidentemente è cresciuta la consapevolezza che i tempi degli accordi separati non giovano più né a chi li fa, né a chi non li fa. Ma soprattutto è cresciuta l’urgenza di anteporre le aspettative dei rappresentati al primato dell’identità dei rappresentanti.

Se anche i lavoratori metalmeccanici riusciranno ad ottenere un rinnovo del loro contratto e se questo avverrà con la firma di Bentivogli, Landini e Palombella (sono tre rinnovi contrattuali che non avviene), si consoliderà la tendenza aperta dalle confederazioni di privilegiare la tenuta unitaria. Cioè di aprire una nuova fase dell’iniziativa del sindacato che inevitabilmente dovrà essere accompagnata da una comune costruzione della strategia rivendicativa non solo di breve ma anche di lungo periodo.

Ciò introduce la terza considerazione. Non basta dire “fine dell’austerità”. Se ci si  ferma a questa evocazione, si può aprire la stura ad ogni sorta di richiesta, che in breve tempo diventerà un’ammucchiata di corporativismi. E’ inevitabile una visione di più ampio respiro, saper indicare quale società vogliamo che evolva. I linguaggi, qui, inciampano in tanti distinguo. In questo, i corpi intermedi della società ed i sindacati in primo luogo hanno spazio e opportunità per partecipare al processo di selezione delle priorità e di indicazione dei modi per realizzarle.

Le diseguaglianze si stanno imponendo come questione sociale politica. Ma non hanno la stessa natura e consistenza di quella della seconda metà del secolo scorso. In Italia, in Europa e nel mondo. Trovare risposte nuove è una necessità non solo di giustizia sociale ma di contrapposizione al rifugio nel nazionalismo o peggio nel razzismo.

         

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