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Garanzia Giovani punti anche sul Terzo Settore

Io ho due reazioni generali rispetto  alle riflessioni qui presentate. La prima è che siamo di fronte a un intervento che mi sembra molto difficile da applicare perché l’area di riferimento è molto complessa al suo interno. Basti pensare alle differenze in Europa rispetto alla spesa e all’organizzazione dei servizi per l’impiego, ma anche alle differenze interne alle aree stesse del nostro Paese. Questo apre un dilemma che non so risolvere, che riguarda l’equilibrio tra un ponte di comando centrale – che faccia monitoraggio, dia indicazioni e  metta in circuito sperimentazioni – e la necessaria differenziazione a livello territoriale. E’ infatti  evidente che se c’è un’offerta indiscriminata di politiche e di interventi avremo effetti asimmetrici. E’ un grande tema che ritengo necessario sottolineare. 

L’altra questione sulla quale farei delle brevi riflessioni è la seguente: siamo palesemente di fronte a un’offerta di possibili e peraltro non del tutto precisati interventi. Ci sono sì delle indicazioni, dei criteri, dei punti fermi ecc. Ma non c’è un quadro preciso. Bisognerebbe dunque lavorare molto sul tentativo di aggregare la domanda. Non la domanda di lavoro in generale, ma la domanda di giovani e in particolare di giovani che possono utilizzare tali incentivazioni. Il documento se la cava in maniera che, se non fosse per il fatto che si tratta di un documento dell’Unione Europea, definirei “demagogica”. Non si risolve certo il problema della aggregazione della domanda e della effettiva promozione  con la consultazione dei giovani. La consultazione va messa nell’area della informazione, ma non risolve il problema della vera lettura dell’offerta di lavoro giovanile. 

Ritengo allora che ci siano alcune aree produttive o di servizi – sulle quali sto lavorando e facendo approfondimenti – sulle quali occorrerebbe fare uno sforzo di aggregazione di possibili opportunità da segnalare ai giovani. Uno sforzo di aggregazione che andrebbe fatto attraverso soggetti intermedi, come le organizzazioni imprenditoriali e di rappresentanza. 

Un primo settore è l’agricoltura. In questa crisi eccezionale, gli addetti nel settore aumentano. E aumentano anche coloro che – compreso il Mezzogiorno – provano a mettersi in proprio. Si potrebbe dunque chiedere alla grandi organizzazioni del settore di produrre delle mappe per proporre ai giovani alcuni percorsi di possibile utilizzo di questa opportunità. Un secondo settore è quello dell’artigianato di produzione, che offre delle opportunità interessanti. Il terzo riguarda la cooperazione in generale. Anche questo sistema comincia ad avere problemi da un punto di vista occupazionale, ma sinora ha tenuto, e ci sono importanti possibilità di inserimento. La quarta area di opportunità, specie per il Mezzogiorno, è quella degli Istituti scolastici superiori. Naturalmente bisognerebbe organizzare tecnicamente la cosa, perché si parla di 4 mesi dopo la fine della scuola. Ma secondo me ci sono molte più situazioni in cui  dirigenti scolastici in gamba, anche in aree di difficoltà nel Mezzogiorno, sono in grado di organizzare un intervento del genere. Che avrebbe un effetto ovviamente di prevenzione della dispersione. Perché se diamo un obiettivo occupazionale dopo la scuola, si incentiva l’alunno a frequentare più volentieri. 

Vengo quindi alla quinta area di opportunità: il Terzo Settore. Un argomento delicato, ma un’area che può fornire molte opportunità di lavoro funzionale all’intervento che si prevede. Cominciamo con le situazioni più gravi, dove l’obiettivo potrebbe essere semplicemente l’impegnare i giovani in attività utili anche solo per toglierli dalla strada. Noi dobbiamo sapere che in questo momento nei quartieri più difficili del nostro Mezzogiorno sono crollati i servizi di aggregazione giovanile, anche per la crisi dei servizi sociali che, come sapete, si sono ridotti a un dodicesimo. Migliaia di giovani in età adolescenziale restano in strada e in certi quartieri ciò significa che creiamo una base di manovalanza a rischio arruolamento nella criminalità organizzata. Non sto esagerando, tecnicamente è così. Non si tratta certo di eccezioni, ma di varie realtà che se sommate possono coinvolgere centinaia di migliaia di persone.

 Per queste aree dobbiamo concepire strumenti di coinvolgimento delle organizzazioni del Terzo Settore che, se impegnate nell’attività di presidio e inclusione sociale di questi giovani, daranno due risultati concomitanti: togliere dalla strada questi adolescenti a rischio; creare occupazione nella cooperazione. Si tratta di una zona-limite alla quale si affiancano una serie di attività che fanno del Terzo Settore un potenziale assolutamente interessante di inserimento lavorativo per i giovani. Ci sono ancora alcune resistenze a riconoscere il Terzo settore  come volano occupazionale: è scarsamente rappresentato e si fa fatica a individuare e discernere tutte le situazioni; ha difetti di rappresentazione sociale, poiché persiste un pregiudizio per cui questo settore è “Terzo” perché non conta nulla, e se occorre concepire politiche di sviluppo e di lavoro vanno guardati gli schemi dei settori produttivi tradizionali. Ma è un pregiudizio, che coinvolge anche me, che dobbiamo superare. Si pensi a consorzi di cooperative con dimensioni di 70 mila addetti: non lo si può escludere da un Tavolo sulle potenzialità occupazionali.

Ma questo ragionamento è ancora più significativo se si guarda a una serie di servizi, come i servizi all’infanzia. Risulta a mio avviso patetico parlare di inserimento lavorativo delle donne in aree in cui sono del tutto assenti i servizi per l’infanzia. Ricordo sempre che tra i divari del Sud, un bambino di Palermo o di Napoli ha 14 possibilità in meno di accedere a un asilo nido rispetto a un bambino emiliano. Allora, se si esamina con acume la mappatura di queste organizzazioni del Terzo Settore si può ragionare sulle potenzialità di sviluppo. Il punto delicato è però quello di carattere organizzativo: a mio avviso, non si può predisporre un percorso in cui il soggetto che cura l’attuazione alla fine del percorso sia un soggetto organizzato. Se diamo i bonus ai giovani senza strutture organizzate come attori attuativi, chi organizza il sistema di distribuzione nei quartieri? I rischi di infiltrazione sono alti. In questo quadro l’invito è a individuare una serie di percorsi nei quali, necessariamente, si individuino anche dei soggetti destinatari intermedi. Come Fondazione con il Sud abbiamo una serie di esperienze molto significative, anche per l’artigianato. 

Tornando al documento di Garanzia Giovani, un’altra riflessione va al fatto che si cita ancora lo strumento del microcredito. Ritengo sia il caso di fare chiarezza su questo strumento. Pericolosamente enfatizzato dall’Unione Europea. Stiamo facendo molta confusione sul tema: segnalo che la più importante agenzia italiana per lo sviluppo continua  ad erogare microcredito con fondo perduto, con effetto di spiazzamento elevatissimo. Si prosegue con la convinzione che la questione del microcredito riguarda le garanzie: non è assolutamente vero. Estremizzando: in molti casi, quando un giovane va a chiedere in banca un finanziamento per mettersi in proprio, il funzionario di banca spesso gli risponde di fare domanda per credito al consumo e chiudere prima la procedura. Comincia cioè ad essere un percorso deviante. Il microcredito per mettersi in proprio, significa solo trovare un equilibrio tra il servizio pubblico (accompagnamento allo start up) e privato (istituti di credito che devono finanziare). 

In conclusione, tornerei sulla critica aspra che l’Assessore Caroli ha ricordato in merito alla reazione di Nichi Vendola sulle dichiarazioni di Carlo Trigilia. Certo, probabilmente l’affermazione del Ministro della Coesione è formulata male, andava letta in altro modo, è stata di sicuro strumentalizzata. Tuttavia, io credo che il Presidente della Puglia non dovrebbe adirarsi molto: proprio la Puglia è esattamente l’area che sta verificando una crescente distanza dagli altri territori, non tanto  nell’aumento del reddito, ma anche nella dimensione del maggiore civismo che qui comincia a consolidarsi. Se Vendola si irrita tanto e mi si chiede un parere tra i contendenti su posizioni opposte e radicali, direi che ha ragione Trigilia e che Vendola ha sbagliato. Il Presidente doveva sì prendere le distanze, ma per difendersi da quell’accusa non doveva difendere il sistema del Mezzogiorno nella sua interezza. Si rischia l’effetto contrario. Ho visto in questo frangente una veemenza che trovo in posizioni dalle quali invece occorre prendere le distanze: perché chiunque fa politica al Sud, tutte le mattine, deve adirarsi per il fatto che l’opinione pubblica percepisce che le regioni meridionali restituiscono i soldi all’Unione Europea. Un dato che ha effetti devastanti. Invece, nei casi come la Puglia, la Basilicata, per certi aspetti la Sardegna, va  sottolineato un lento ma importante passaggio da una parte all’altra, in cui il livello di relazioni sociali, di germi di coesione sociale è tale per cui la situazione va sicuramente migliorando. 

 (*) Presidente Fondazione CON IL SUD

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