La proliferazione dei contratti collettivi ad opera di agenti diversificati nell’ambito degli stessi settori merceologici ha richiamato l’attenzione dell’Ispettorato nazionale del lavoro, ad evitare il fenomeno dei cosiddetti contratti pirata, per l’affermazione di quelli “ leader “.
L’intervento pubblico non vuole certamente limitare la libertà sindacale, che si ricava dalla stessa Costituzione, ma mira a dettare le condizioni nell’attuale quadro delle dinamiche negoziali specifiche per usufruire dei benefici contributivi e normativi, ma anche in generale degli incentivi all’occupazione, nonché per assicurare il livello di retribuzione sufficiente costituzionalmente e determinare, infine, gli imponibili minimi, cui commisurare i contributi previdenziali e assicurativi.
D’altra parte, è noto come il diffuso cosiddetto dumping contrattuale abbia portato anche di recente alla stipulazione delle Convenzioni tendenti all’attuazione del Testo Unico sulla rappresentanza sindacale (TUR), in funzione della valenza contrattuale per le finalità prima accennate.
Punto di riferimento imprescindibile è il comma 1175, art. 1 della legge 27/12/2006 n 296, che , tra le altre condizioni per usufruire dei benefici normativi e contributivi in materia di lavoro e legislazione sociale, pone quella del “ rispetto degli accordi e contratti collettivi nazionali, nonché di quelli regionali, territoriali o aziendali, laddove sottoscritti, stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale”. Analogo principio più in generale è contenuto anche negli artt. 29, 30 e 31 della legge 14/09/2015 n. 150.
La complessità del tema sotto l’aspetto dei rapporti sindacali e delle problematiche di volta in volta insorte anche in sede ispettiva ha comportato nel tempo l’emanazione di una serie di circolari da parte dell’Ispettorato nazionale del lavoro. Così, per richiamare quelli essenziali:
-la circ. n. 3 del 18 luglio 2017 chiarisce che l’assenza del DURC rileva per l’intera compagine aziendale, mentre le violazioni di legge e/o di contratto, senza riflessi sulla posizione contributiva, incidono limitatamente al lavoratore cui i benefici si riferiscono e per il periodo della violazione;
-la circ. n 3 del 25 gennaio 2018, riprendendo anche il contenuto della nota ministeriale pro. 10599 del 24 maggio 2016, sottolinea come solo i contratti con i requisiti della maggiore rappresentatività in termini comparativi possano integrare talune discipline contrattuali (quali, ad esempio, il lavoro intermittente, il contratto a termine, l’apprendistato), così come derogare alle stesse disposizioni di legge (v. contratti di prossimità). Inoltre, il contratto collettivo dotato dei requisiti di cui sopra costituisce la base per la contribuzione di legge, qualunque sia il contratto applicato ai fini retribuitivi;
-la circ. n. 7 del 6 maggio 2019 chiarisce che i benefici normativi e contributivi spettano anche nel caso di equivalenza retributiva e normativa assicurata a favore dei lavoratori da contratti collettivi diversi da quelli cosiddetti leader, stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative. L’equivalenza – richiama la circolare – non è, tuttavia, praticabile per i trattamenti in favore dei lavoratori, che siano sottoposti ad esenzione contributiva e/o fiscale (v., ad esempio, l’ipotesi del welfare aziendale);
-la circ.n. 9 del 10 settembre 2019, infine, tiene a sottolineare come secondo la precedente circolare n. 7 , rifacendosi al termine “rispetto” dei contratti collettivi leader ai soli fini della fruizione dei benefici normativi e contributivi, la citata equivalenza retributiva e normativa con altri contratti debba esplicare i suoi effetti solo entro tali limiti; è da intendere, quindi, escluso qualsiasi riflesso sulla disciplina integrativa o derogatoria di altre tipologie negoziali(v., si ribadisce, orari, contratto a termine, apprendistato, ma anche costituzione di enti bilaterali).
Per dare senso compiuto alla tutela dei diritti, mediante una effettività delle regole come sopra riepilogate, occorrerebbe dare certezza di misurazione alla rappresentatività sindacale, rafforzando il sistema contrattuale.
Il tema della rappresentanza sindacale meriterebbe una trattazione a parte; per quanto qui interessa vale la pena richiamare taluni passaggi significativi anche di recente attualità.
Documento di base è il T.U. sulla Rappresentanza del 10 gennaio 2014, che recepisce in buona sostanza i contenuti dell’accordo interconfederale del 20 dicembre 1993, di quello del 28 giugno 2011, nonché del protocollo d’intesa del 31 maggio 2013. E’ intervenuto poi l’accordo del 4 luglio 2017, che ha apportato alcune modifiche al T.U. del 2014, attribuendo l’attività di raccolta dei dati elettorali all’INPS in sostituzione del CNEL, allora in via di eliminazione.
Come è noto il T.U.R. tende a misurare la rappresentatività sulla base di due parametri: i dati associativi e quelli elettorali con iter e percentuali ivi specificati.
Da ultimo il 19 settembre 2019 è stata sottoscritta la Convenzione tra l’INPS e l’Ispettorato del lavoro con Confindustria Cgil, Cisl e Uil con l’intento di definire le procedure e i compiti per la misurazione e la certificazione della rappresentatività sindacale. L’obiettivo ultimo sembra essere, tra l’altro, problematicamente anche quello di dare efficacia erga omnes ai contratti collettivi almeno nella parte salariale, secondo il dibattito politico attuale.
E’ noto, infine, come una ulteriore ed analoga Convenzione sia stata sottoscritta il 27 settembre 2019 tra Confapi, INPS, INL , CGIL, CISL e UIL, documento che interessa le piccole e medie aziende , in esecuzione dell’Accordo interconfederale in tema di rappresentanza del 26 luglio 2016.