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Considerazioni e obblighi di profondi cambiamenti

Dalla morte di Luana, la giovane operaia, la giovane mamma di Prato, dalle altre morti sul lavoro e dalla tragedia della funivia di Verbania, arriva un monito profondo a riconsiderare le condizioni di lavoro e la sicurezza di vita nel nostro Paese. C’è qualcosa di più profondo che occorre riconsiderare e proteggere.

Le morti che si sono susseguite dal 3 maggio in poi a partire dal terribile decesso di Luana D’Orazio nel distretto industriale di Prato e la stessa tragedia della funivia di Verbania, non possono essere trattate come normali infortuni del mondo del lavoro e della vita quotidiana.                                                               

La giovane operaia e mamma ha colpito la sensibilità di tanti per la figura solare, sorridente, piena di fiducia ed aspettative positive nel futuro nonostante non avesse una vita e un lavoro particolarmente gratificanti. Il lavoro costituiva un mezzo per garantirsi dignità, libertà e fiducia per un futuro diverso. Invece una situazione lavorativa, di cui lei senz’altro non ne era responsabile e consapevole, l’ha divorata, distrutta. 

Quest’ingiustizia è talmente forte ed evidente, che unitamente ad altre morti cruenti e violenti che si sono succedute con una tempistica ravvicinata incredibile, da far nascere e crescere nell’animo di ciascuno un grido:

Basta!

Infine è arrivata la tragedia della funivia di Mottarone, nei pressi di Verbania. Anche in questo caso, vittime innocenti e inconsapevoli di altre responsabilità che non hanno fatto il proprio lavoro nel rispetto del diritto alla vita degli altri. Ancora una volta al fondo c’è la mancanza totale della consapevolezza che ciascuno deve esercitare il proprio lavoro per rendere sicura la vita degli altri, perché è questo che dà valore e dignità a ciascun lavoro a ciascun lavoratore. “I care” scriveva don Milani sul muro della scuola di Barbiana, perché questo era l’insegnamento di fondo per i suoi ragazzi “IO MI PRENDO CURA”. Mi prendo cura del mio lavoro, mi prendo cura che il mio lavoro sia sicuro per me e per gli altri, mi prendo cura che il mio collega faccia al meglio il suo lavoro, mi prendo cura che il mio lavoro fatto bene sia utile per chi utilizzerà il frutto del mio lavoro, mi prendo cura …

Cultura

I sindacati hanno giustamente rivendicato più controlli, più ispettori, più medici del lavoro nei servizi delle Asl. Giusto, ma non basta. C’è qualcosa di più profondo su cui bisogna intervenire. Bisogna sviluppare una profonda azione, campagna culturale che riguarda tutti. Sì, tutti. Ad esempio i consumatori.  Se tutti i prodotti e servizi avessero un marchio che dichiarasse “Questo prodotto/servizio  garantisce il rispetto del lavoro dignitoso in tutta la filiera di produzione” oppure: “Questo marchio garantisce la qualità del lavoro oltre le norme di legge”, sarebbe un segnale che il singolo cittadino non potrebbe ignorare e se il Governo, l’amministrazione pubblica agevolasse ulteriormente fiscalmente queste scelte, si avvierebbe un circuito virtuoso che avrebbe una ricaduta nella competizione dell’economia di mercato basato sulla qualità della dignità del lavoro e non esclusivamente sul prezzo più basso, più economico. 

Gli acquisti della Pubblica Amministrazione costituiscono oltre il 18% del Pil nazionale; potrebbero condizionare la qualità dei prodotti e servizi sulla base della certificazione della qualità e della dignità del lavoro che hanno dato luogo ai prodotti e ai servizi acquistati. 

Ma anche la contrattazione dei sindacati nelle grandi imprese che sono i terminali e i promotori delle filiere produttive dei prodotti e servizi di grandi produzioni potrebbero contrattare che i fornitori e i soggetti economici che agiscono nella filiera garantiscano condizioni di lavoro che siano superiori al semplice rispetto delle norme vigenti o almeno alla migliore interpretazione delle norme riferite al rispetto dei lavoratori e della loro integrità psicofisica. 

Infine il risparmio, gli italiani devono avere la possibilità di non essere utilizzati nel finanziamento di chi non rispetta il lavoro, con l’avvertenza che ci sono ditte che scaricano sugli appalti e sul terzismo lo sfruttamento del lavoro. I grandi marchi della moda ne sono un esempio e Prato è un dato di fatto, per una parte delle sue attività.   

Lo Stato, il Governo deve aiutare questo processo, incentivare queste dinamiche. Ci sono tante condizioni storiche che le rendono possibili. Lo Sviluppo Sostenibile necessita di un’economia di prossimità, di qualità ambientale e sociale, di uno sviluppo in cui l’economia, la finanza, non sono il “dominus”. La finanza ha prosciugato, ha rubato il valore del lavoro e lo ha trasferito alla rendita e alla speculazione finanziaria, sfruttando tutte le opportunità che una globalizzazione sregolata le ha fornito. Ridare valore economico, sociale e morale al lavoro, a tutti i lavori, unitamente alla sfida ambientale della lotta ai cambiamenti climatici,   costituiscono le sfide centrali di questa prima metà del primo secolo del terzo millennio.

Salute e sicurezza.

Salute e sicurezza non sono aspetti parziali e separati del vivere sociale ed economico. Anzi dalla pandemia abbiamo appreso che non c’è economia senza la sicurezza della salute. E ben presto capiremo ancora di più che non c’è salute senza la salvaguardia e la tutela dell’ambiente. Tutto è interconnesso; “Siamo tutti connessi, gli uni agli altri”, lo ha  scritto Papa Francesco nella Laudato sii. Prendersi cura del Pianeta , della tutela delle risorse naturali non è ambientalismo, è cura della vera economia, del vero benessere dell’umanità, della vera tutela della salute nel lavoro quotidiano.                                                                            

La qualità della salute e della sicurezza nei posti di lavoro, quindi è il risultato anche e forse soprattutto di una cultura, di un sistema di valori che orientano il sentire e l’agire comune. Nell’autunno caldo del 1969 le lotte operaie oltre alle profonde spinte per la democrazia in fabbrica e per l’egualitarismo segnarono con “la salute non si vende” un profondo cambiamento nella concezione dell’ineludibilità degli infortuni e malattie professionali nei posti di lavoro. Ne scaturì l’articolo 9 dello Statuto dei Lavoratori che riconosceva il diritto al lavoratore di astenersi dalle mansioni e situazioni in cui la sua salute fosse a rischio e a richiedere l’intervento di esperti esterni per la verifica delle condizioni di lavoro e successivamente fruttò la riforma sanitaria del 1978 che sancì la gratuità e l’universalità dei servizi sanitari con uno spazio specifico ai servizi di medicina del lavoro e della prevenzione in tutte le Asl. 

Questa spinta più generale di non subire le leggi dell’economia selvaggia oggi ci viene dall’ambientalismo che con le certificazioni ambientali, soprattutto quelle europee, Ecolabel ed Emas, certifica e qualifica le imprese che sono impegnate a migliorare le loro prestazioni al di là delle norme vigenti nella direzione del Miglioramento Ambientale Continuo. I migliori risultati sul tema della salute e sicurezza del lavoro, oggi rispetto al loro passato, lo realizzano le imprese del settore chimico che si sono riunite nell’associazione “Responsible Care” e le aziende che hanno appunto le certificazioni Ecolabel ed Emas. 

Sono aziende che hanno protocolli e procedure formali di gestione della salute e sicurezza e degli impatti ambientali delle loro attività, hanno un’organizzazione di vertice preposto al controllo interno delle procedure formalizzate e certificatori esterni controllati e autorizzati dall’autorità pubblica. Il tutto per assicurare una gestione che sia superiore al semplice rispetto delle normative vigenti. Quindi favorire uno sviluppo delle migliori pratiche da parte delle istituzioni dello Stato dovrebbe essere la nuova cultura che supera quella del “Comando e Controllo”. Gli ispettori sono necessari ed indispensabili, ma non ci può essere un ispettore per ogni azienda, specialmente quando le aziende sono milioni di milioni e soprattutto di micro e piccole aziende. Lo stesso meccanismo del bonus malus che viene praticato dall’Inail per la determinazione dei premi assicurativi delle imprese non garantisce un incentivo sufficiente ad evitare gli infortuni, celando situazioni di ricatto o quantomeno di disagio a volte per gli stessi infortunati. Varrebbe molto di più promuovere, incentivare con premi più bassi, protocolli di collaborazione e verifica per l’adozione di comportamenti e procedure che garantiscono una gestione della salute e sicurezza superiore alle stesse normative o comunque in un’interpretazione più estensiva a favore dei lavoratori. 

Quindi senz’altro più ispettori e medici del lavoro, ma molto di più la promozione della Responsabilità Sociale delle Imprese con protocolli semplici e documentazione dei fatti (investimenti e risorse umane) e non delle parole e delle carte. Tanta informazione e formazione soprattutto per le aziende di settori con infortuni mortali e malattie professionali serie come i tumori, specialmente per le piccole e medie imprese. Bisognerebbe valutare la fornitura di questi servizi in strutture terze, partecipate dalle Asl o dalla stessa Inail, che ricordiamo ha assorbito l’Ispesl, l’Istituto Superiore per la Prevenzione e la Sicurezza sul Lavoro e deve rispondere sempre di più di questa missione della Prevenzione.  

Sì la TRILATERALITA’, nei settori con più infortuni gravi e mortali e con numerose malattie professionali e gravi come i tumori, soprattutto per le piccole e medie imprese. L’informazione e la formazione soprattutto in ingresso al lavoro, potrebbe esser fornita all’esterno delle aziende da sistemi formativi trilaterali con le parti sociali e le istituzioni, Asl e Inail.   La trilateralità, parti sociali e istituzioni, Asl e Inail, dovrebbe essere maggiormente sviluppata per progetti e piani speciali per settori e   territori dove maggiori sono gli infortuni gravi e le malattie professionali, in particolare i tumori. Ritengo che sul tema della salute e sicurezza nei posti di lavoro e forse anche per alcuni temi degli impatti ambientali delle attività economiche bisogna rifocalizzare i sistemi relazionali tra pe parti sociali e le istituzioni e approfondire le potenzialita’ della trilateralita’.

Innovazioni tecnologiche

Forti investimenti e incentivi  nelle innovazioni tecnologiche dei sistemi di tutela della salute e della sicurezza nei posti di lavoro. Ci sono dispositivi tecnologici che non sono messi nella disponibilità delle piccole e medie imprese. Sonde, sensori, robot, droni possono e debbono essere resi disponibili anche attraverso consorzi di acquisto o società anche pubbliche di servizi per la sicurezza nel lavoro. Potenziare i meccanismi automatici di sicurezza che non possono essere rimossi o neutralizzati   se le condizioni operative vengono manomesse.  Meccanismi che se rimossi o neutralizzati rendono irreparabile la macchina o il processo di produzione. Quello della sicurezza dei sistemi, mezzi e apparecchi di produzione può essere un mercato in cui diventare competitivi e senz’altro il primo mercato interessante può essere quello europeo ed americano.        

Non solo Infortuni mortali

Per 1 infortunio mortale, ci sono 10 decessi per tumori e malattie professionali. Ci sono, è amaro e sconfortante ammetterlo, ma accanto alle morti cruente, violente degli infortuni mortali che a volte arrivano sulle pagine dei giornali e nei notiziari televisivi, sempre per pochi e scarsi secondi, ci sono migliaia di morti PER lavoro, a CAUSA del lavoro, che non fanno cronaca, non appaiono quasi mai. Sono morti del lavoro sconosciuti, invisibili, dimenticati, rimossi dalla memoria e dalla coscienza. Anzi fastidiosi, inopportuni quando i familiari chiedono giustizia e trovano la LEGGE che non riesce quasi mai a mettere d’accordo il diritto con la giustizia. Basti pensare al processo Eternit oppure alle assoluzioni automatiche rispetto alle cause dei familiari delle vittime dell’amianto. Oltre la legge anche l’amministrazione pubblica disconosce i tumori professionali. Lo afferma addirittura il Ministero della salute. In Italia dovremmo avere PER DIFETTO almeno 15.000 casi di tumori professionali, ma nel 2018 ne sono stati denunciati poco più di 2.000 e ne sono stati indennizzati solo circa 1.000 da parte dell’Inail. Sempre l’Inail demanda alla GIUSTIZIA la stragrande maggioranza dei riconoscimenti dei tumori e delle malattie professionali, con tempi di risoluzione dei processi tali che il più delle volte l’indennità non riguarda più il lavoratore malato ma i superstiti, i familiari, qualora il malcapitato ne abbia. Questa è una circostanza in cui i collegi per il riconoscimento dei tumori e delle malattie professionali devono diventare  TRILATERALI, cioè il medico legale  del patronato, il medico legale dell’Inail  e il medico della medicina del lavoro della Asl di appartenenza. Il collegio giudicante diventa più equilibrato e più documentato sulla conoscenza del contesto in cui il lavoratore ha operato e acquisita la patologia. Bisogna superare il rinfaccio di responsabilità per il mancato funzionamento delle strutture , i Centri Operativi Regionali (COR), preposti alla ricerca e monitoraggio dei tumori professionali, tra l’Inail e le Regioni. Il Ministero del Lavoro e il Ministero della Salute devono garantire comunque che Inail e Regioni assolvano al meglio ai loro doveri istituzionali garantendo la sorveglianza epidemiologica, la ricerca e la classificazione causale dei tumori dei lavoratori, a partire da quelli esposti a sostanze cancerogene. Altro tema di incredibile elusione, è la totale mancanza da parte dell’Inail della presa in carico dei lavoratori affetti da patologie tumorali e riconosciuti dalla stessa Inail di origine professionale. Mentre per gli infortunati esiste una rete diffusa di recupero psicofisico e riabilitazione al lavoro, addirittura per il mesotelioma, dovuti all’esposizione all’amianto, che sono per oltre il 70% di diretta causalità professionale, l’Inail non solo non fornisce alcuna assistenza, ma il più delle volte rinvia alla giustizia il riconoscimento della causa professionale. Ultima considerazione in proposito è il costo delle moderne terapie immunologiche per la cura e la gestione delle patologie tumorali che comportano esborsi molto elevati per avere accesso ai relativi farmaci. Non sono certo i lavoratori da soli o i loro familiari che possono affrontare queste spese! 

Le risorse finanziare

L’Inail ha accumulato negli anni un avanzo di gestione che è arrivato ad oltre 34 miliardi! Sono il risultato dei premi pagate dalle imprese per assicurare e ristorare i lavoratori dagli infortuni e dalle malattie professionali.  Sono risorse avanzate nella gestione dei diversi anni. Sono risorse “A DESTINAZIONE D’USO   VINCOLATE”.  Attualmente sono depositate al Ministero dell’Economia e utilizzate, impropriamente, a copertura del deficit pubblico del bilancio dello Stato. Devono tornare nella disponibilità dei lavoratori e delle imprese. Innanzitutto, per l’aggiornamento e il miglioramento delle prestazioni di indennizzo che sono ferme, sostanzialmente, alle norme del 1965, e subito dopo per un grande programma di finanziamento di tutti gli investimenti nelle innovazioni tecnologiche sugli apparecchi, processi e strumentazioni per la prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali, e infine per tutte le attività di assistenza ai lavoratori affetti dai tumori professionali che sono il buco nero della tutela dei lavoratori.

L’inail ne è capace, come dimostrano le sue attività di eccellenza nei centri di ricerca e produzione delle protesi in aiuto agli infortunati e invalidi del lavoro del centro di Budrio.  Tra le ricerche e le innovazioni da favorire anche il finanziamento e gli incentivi alle aziende che eliminano le sostanze cancerogene dai loro processi produttivi.  Ma Il recupero dei 34 miliardi in piani straordinari di investimenti pluriennali deve partire nell’immediato con la separazione del bilancio dell’Inail dal Bilancio dello Stato.                                                        

Solo negli ultimi tre anni l’avanzo di gestione è stato di 4,5 miliardi, 1,5 miliardi all’anno. Dal 2013 i premi pagati dalle aziende sono diminuiti circa oltre il 40%, mentre le prestazioni a favore dei lavoratori sono diminuite di oltre il 10% e il divario tra denunce di infortuni e malattie professionali  e i riconoscimenti degli indennizzi da parte dell’Inail, si è costantemente allargato.  E’ paradossale che nel 2015, 5.100 imprese hanno chiesto i contributi Inail per la bonifica dell’amianto per 303 milioni e I’Inail ha potuto coprire solo 1.200 imprese con un contributo totale di 81 milioni. 4.000 aziende per un numero per difetto di almeno 40.000 lavoratori, hanno dovuto continuare la loro attività lavorativa in presenza dell’amianto. Nello stesso anno l’avanzo di gestione dell’Inail  con accredito alle casse del Tesoro è stato di altri 439 milioni.

Verrebbe da pensare che anche l’inail sia stata coinvolta nella missione di ridurre il deficit pubblico invece della tutela delle vittime del lavoro.                                                                                                                                         

L’Europa dell’austerità ha cambiato verso “grazie” alla pandemia.

E’ ora che l’Inail possa sviluppare tutte le proprie potenzialità a favore dei lavoratori e delle imprese in una gestione che valorizzi e responsabilizzi maggiormente il suo management e il ruolo delle parti sociali, nell’ambito degli indirizzi del Parlamento e del Governo e sotto il controllo del Ministero del Lavoro e della Salute, mentre il Ministero dell’Economia dovrebbe limitarsi alla veridicità dei conti. Inoltre TRLATERALITA’ deve caratterizzare la gestione e il governo dell’Inail non solo a livello nazionale ma anche a livello regionale e territoriale.

Una vera riforma! Lo chiede Luana e le tante, tantissime vittime sconosciute, invisibili, dimenticate.

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