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Green pass obbligatorio nei luoghi di lavoro pubblici e privati

Il tema presenta vari profili, tra cui anche l’incidenza sulla sicurezza e tutela dei lavoratori nell’ambiente di lavoro.

Interessano prima di tutto il contenuto e le modalità realizzative dell’obbligo, perché di questo si tratta, introdotto dopo le inevitabili discussioni e divisioni su un siffatto vincolo a carico dei lavoratori per accedere nei luoghi di lavoro.

Il quadro normativo che interessa è stato tracciato dal Decreto Legge del 21 settembre 2021 n.127, recante Misure urgenti per assicurare lo svolgimento in sicurezza del lavoro pubblico e privato, mediante l’estensione dell’ambito applicativo della certificazione verde COVID-19 e il rafforzamento del sistema di screening (GU n.226 del 21/09/2021)

Per quanto attiene all’ambito lavorativo privato, di interesse più immediato, le predette disposizioni, definite urgenti, introducono l’obbligo della certificazione verde Covid-19 per lo svolgimento dell’attività lavorativa, a decorrere dal 15 ottobre e fino al 31 dicembre 2021, termine di cessazione dello stato di emergenza (da più parti ritenuto prorogabile).E’ da sottolineare che l’obbligo, che non esclude le lavorazioni di breve durata, è da intendere esteso all’attività di formazione e di volontariato e in generale varrà per tutti coloro che accedono in azienda: imprenditori, lavoratori autonomi, professionisti, artigiani, occasionali, somministrati. È stato anche chiarito che sono da intendere incluse nell’adempimento di cui trattasi alcune figure particolari, quali le colf e le babysitter, gli idraulici e gli elettricisti, le Partite iva, nonché gli appartenenti agli studi professionali e i fornitori. Per accedere, invece, al Pronto soccorso, occorre, in ogni caso, il risultato negativo del tampone, tranne l’urgenza valutabile a cura del personale sanitario.

Con riferimento al documento Green pass, è necessario richiamare che, pur mirato lo stesso, secondo le dichiarazioni del Ministro Speranza all’indomani della decisione del Consiglio dei Ministri, alla strategia del vaccino (anche una sola dose) per aprire una nuova stagione, è rilasciato anche a fronte di altre condizioni, quali, come è noto,  la guarigione da Covid; l’avvenuta guarigione a seguito della somministrazione della prima dose di vaccino o alla conclusione del relativo ciclo; l’esecuzione di un tampone negativo, praticato da non più di 48 ore o di un tampone molecolare, effettuato da non più di 72 ore. 

Da ultimo, il Ministero della Salute con propria circolare del 24 settembre 2021, per quanto concerne i tamponi salivari rapidi, ha ritenuto di stabilire che ”sulla base delle evidenze disponibili, non sono  al momento raccomandati come alternativa al tampone oro-faringeo, in quanto non raggiungono i livelli minimi accettabili di sensibilità  e specificità”.

Sono note le diatribe intorno all’onere finanziario del tampone: allo stato attuale il costo è a carico del lavoratore, salvo l’ipotesi dei soggetti fragili. Trattasi, tuttavia, di costo calmierato pari a 15 euro (non più 22 euro) per gli adulti e a 8 euro per i soggetti da 12 a 18 anni.

Il riscontro del rispetto delle prescrizioni dettate per l’accesso aziendale è rimesso al datore di lavoro ovvero ai propri ausiliari formalmente incaricati; per i soggetti diversi dai lavoratori dipendenti, la verifica va effettuata anche dai rispettivi datori di lavoro.

È altresì stabilito che i datori di lavoro interessati debbano definire le modalità per le verifiche entro il 15 ottobre 2021.

  Condizione specifica è che, ove possibile, i controlli vadano effettuati in coincidenza con l’accesso aziendale da parte dei lavoratori, anche con modalità non meglio definite a campione. E’ determinante per le finalità volute che le verifiche, ai sensi del DPCM del 17 giugno 2021, siano eseguite esclusivamente mediante l’app. VerificaC19, che riscontra tra l’altro il QR Code contenuto del Green Pass.

A stretto rigore, il controllore non può trattenere copia del certificato verde (né del documento di identità del lavoratore), in quanto la legge impone la sola esibizione, volendo assicurare la protezione dei dati personali, secondo anche una decisione del Garante della Privacy, esaminata più avanti, in funzione di altri profili di tutela.

Il venir meno degli obblighi legati all’accesso aziendale è perseguito con l’applicazione di una serie di sanzioni amministrative, come di seguito richiamato.

Il personale, che comunica di non avere il certificato verde o ne risulta sprovvisto al momento dell’accesso nei luoghi di lavoro, viene considerato assente ingiustificato fino alla presentazione della predetta documentazione e, comunque, non oltre il 31 dicembre 2021, al fine di tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori in azienda. Perde il diritto alla retribuzione e a qualsiasi altro compenso o emolumento, salvaguardando, comunque, la conservazione del posto di lavoro e non subendo alcuna conseguenza di tipo disciplinare. Nelle aziende con meno di quindici dipendenti, nel caso di mancata presentazione del Green Pass entro cinque giorni, il datore di lavoro ha facoltà di sospendere il lavoratore per la durata del contratto stipulato per la sua sostituzione, comunque per un periodo non superiore a dieci giorni, rinnovabili per una sola volta, e non oltre il termine del 31 dicembre 2021. 

La violazione dell’obbligo relativa all’accesso senza certificato verde comporta l’applicazione di una sanzione amministrativa da 600 a 1500 euro, fermo restando la sospensione disciplinare secondo gli ordinamenti del settore.

I datori di lavoro che non abbiano verificato il rispetto delle prescrizioni legislative e non abbiano stabilito le corrette modalità dell’organizzazione delle verifiche sono soggetti alla sanzione amministrativa da 400 a 1000 euro

Le sanzioni sono erogate dal Prefetto, cui le Autorità preposte alla vigilanza (dalle Forze di polizia, al personale ispettivo ASL o Ispettorato del lavoro) trasmettono apposito rapporto.

Altra sanzione più grave è quella attinente alla falsificazione della certificazione e all’uso della certificazione di altra persona; la penalità consiste, allora, nella reclusione da 6 mesi a 3 anni, ridotta fino ad un terzo.

Infine, la validità della certificazione verde:

–      La durata è pari a 12 mesi per coloro che hanno completato il ciclo vaccinale, ovvero per i guariti da Covid, sottoposti ad una sola dose (è superata l’attesa di 15 giorni);

–      La durata è pari a 6 mesi per i guariti da Covid non immunizzati.

Le disposizioni relative all’obbligo del Green Pass non si applicano naturalmente ai soggetti esenti dalla campagna vaccinale, muniti di idonea certificazione medica (v. circolare del Ministero della Salute del 4 agosto 2021).

I cittadini non europei possono avvalersi del Green Pass rilasciati nel loro Paese, in quanto ritenuti equivalenti, secondo la circolare del Ministero della Salute del 29 luglio 2021.

Va da sé che rimangono in vigore tutte le misure previste dal Protocollo riguardanti la rilevazione della temperatura all’entrata, l’uso delle mascherine, il distanziamento, il ricorso al gel disinfettante, sentito il parere del medico competente e facendo salvo il ruolo proprio dell’apposito comitato aziendale.

L’estensione dell’obbligo del Green Pass, in particolare, al settore privato è stato ampiamente trattato anche da Confindustria, con documento pubblicato a settembre 2021, cui si rinvia per i numerosi dettagli operativi.

 Analogo quadro giuridico, come fin qui richiamato per il settore privato, sussiste dalla stessa data del 15 ottobre 2021e fino al 31 dicembre anche nell’ambito lavorativo pubblico con gli adattamenti propri del relativo ordinamento. È da precisare che l’obbligo si applica anche alle Autorità amministrative indipendenti, tra cui la Commissione Nazionale per le Società e la Borsa e alla Commissione di Vigilanza sui Fondi Pensioni, alla Banca d’Italia, nonché agli Enti pubblici economici e agli Organi di rilievo costituzionale.

Il vincolo è esteso anche ai titolari di cariche elettive o di cariche istituzionali di vertice. A quest’ultimo riguardo è noto come il Quirinale abbia invitato Camera, Senato e Corte Costituzionale ad adeguare il proprio ordinamento alle nuove disposizioni.

L’obbligo vale anche per gli Uffici giudiziari, i magistrati ordinari (anche onorari), amministrativi, contabili e militari, i componenti delle Commissioni tributarie. Rimangono fuori dall’obbligo gli avvocati e gli altri difensori, i consulenti, i periti e gli altri ausiliari del magistrato, estranei all’Amministrazione della giustizia, i testimoni e le parti del processo. 

Vale anche per il settore in esame l’estensione dell’obbligo della certificazione verde a tutti i soggetti non dipendenti che svolgono la propria attività presso gli Uffici pubblici anche sulla base di contratti esterni.

Naturalmente sono esentati anche qui i soggetti non tenuti alla vaccinazione come da idonea certificazione.

Sempre entro la data del 15 ottobre devono essere definite anche da parte della Pubblica amministrazione le modalità per l’esecuzione delle verifiche, anche a campione, così come per l’ambito privato.

Stesse regole e conseguenti sanzioni attengono agli inadempimenti riferiti all’accesso, in particolare viene a configurarsi l’assenza ingiustificata, in mancanza di certificazione fino al 31 dicembre 2021.

Andando alla ratio normativa, è facilmente rilevabile come la stessa miri ad “assicurare lo svolgimento in sicurezza del lavoro” e a rafforzare, come risultato indiretto, il sistema di screening, quale azione di prevenzione del contagio in senso generale.

Il tema della tutela e sicurezza dei lavoratori sul posto di lavoro, pur in presenza dell’obbligo della nuova documentazione richiesta, rimane aperto; considerazioni formulabili alla luce dell’ordinamento e di talune sentenze potrebbero essere le seguenti.

Premesso che lo specifico argomento è stato ampliamente trattato nelle nostre Newsletter (cfr.: in particolare le NN.LL. n.257 e n.262, rispettivamente sull’aggiornamento del Protocollo per la tutela della salute dei lavoratori e sulle indicazioni in materia di sorveglianza sanitaria), è da notare,  in riferimento al certificato verde, che l’Associazione Nazionale Medici d’azienda e competenti (ANMA) con nota del 3 settembre 2021 ha ritenuto di precisare che il Green Pass non è un documento sanitario, ma un certificato che attesta un determinato fatto, mentre tra i soggetti deputati alla verifica della norma non è compreso il medico competente,  non sussistendo alcun collegamento con l’idoneità del lavoratore.

Occorre, comunque, lo sforzo di una risposta al problema sicurezza dell’ambiente di lavoro, apparentemente non comprensivo del rischio da Covid 19, in quanto non professionale. 

Soccorre, tuttavia,  per la sua riconducibilità al rischio ambientale, come tale valutabile ai fini dell’aggiornamento del documento di valutazione dei rischi ai sensi dell’art.29 del T.U. sulla sicurezza n.81/2008 un certo orientamento giurisprudenziale, l’interpello n.11 del 25/10/2016, il fatto che il contagio venga qualificato come infortunio sul lavoro, e ancora il contenuto specifico della circolare n.13/2020 varata congiuntamente dal Ministero del lavoro e da quello della Salute in tema di sorveglianza sanitaria.

Viene invocato, inoltre, l’art.2087 cod. civ., che testualmente recita “l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.

Rimane, allora. valida al riguardo la tesi secondo la quale il datore di lavoro nell’ambito di una siffatta tutela potrebbe pretendere la vaccinazione di determinati prestatori di lavoro.

Infine, ritornando sul tema della protezione dei dati personali, che potrebbe mettere in discussione, come anticipato, la legittimità delle verifiche datoriali, se non circoscritte alla sola presa visione dei certificati verdi, senza alcuna registrazione o trattenimento, il Garante della Privacy ha ritenuto con le FAQ pubblicate in data 27 febbraio 2021 che “il datore di lavoro non può acquisire, neanche con il consenso del dipendente o tramite il medico competente, i nominativi del personale vaccinato o la copia delle certificazioni vaccinali…”. La motivazione sostanzialmente risulta basata sull’interpretazione secondo la quale le verifiche attribuite al datore di lavoro non sarebbero consentite dalla disciplina in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Soccorre, invece, al riguardo, tra l’altro, in particolare il disposto dell’art.29-bis del D.L. n.23/2020, secondo il quale “ai fini della tutela contro il rischio di contagio da Covid-19, i datori di lavoro pubblici e privati adempiono all’obbligo di cui all’art.2087cc, mediante l’applicazione delle prescrizioni contenute nel protocollo condiviso di regolamentazione  delle misure di contrasto e il contenimento della diffusione del Covid-19 negli ambienti di lavoro, sottoscritto il 24 aprile 2020, tra il Governo  e le parti  sociali e successive modifiche e integrazioni”.

In conclusione, attendibilmente la soluzione va cercata, anche per il suo valore giuridico, in un aggiornamento dei precedenti protocolli delle misure di contrasto al Coronavirus, di cui l’ultimo del 06/04/2021, condiviso dal Ministero del Lavoro e della Salute e fatto proprio dall’Ordinanza del Ministero della Salute datata 21/05/2001 (G.U. n.128 del 31/05/2020).

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