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La prospettiva della costruzione dello Stato europeo

Il mutamento del contesto.

Si continua a discutere di “pubblico e privato” nell’economia senza avere consapevolezza del mutato contesto in cui quelle categorie si pongono.

Le coordinate e le concettuologie non solo del rapporto fra pubblico e privato nell’economia, ma di tutte le nozioni base del diritto pubblico: principio di legalità, diritti individuali e collettivi, ruolo delle c.d. comunità intermedie,autonomie, principio democratico, sono state pensate e costruite sul presupposto di un sistema statale autosufficiente e chiuso, o comunque in condizione di decidere il grado della propria apertura. Le innovazioni introdotte dal diritto europeo non muovono da presupposti diversi, perché le basi concettuali del diritto europeo sono recepite da quelle degli Stati membri.

L’attuale contesto registra in modo evidente la perdita da parte degli Stati del profilo che fin dalla definizione di Aristotele li ha caratterizzati: “l’autosufficienza completa che rende possibile la vita, anzi una buona vita della collettività” (Pol. 2,30).

Questo fenomeno è derivato dalle innovazioni tecnologiche, come sempre era avvenuto in passato. Limitandoci ai secoli più recenti, sui quali si hanno dati verificabili, fu così anche con l’invenzione della caldaia a vapore e dell’elettricità.Adesso è l’informatica che apre nuovi orizzonti e mette in crisi quelli precedenti determinando profondi cambiamenti economici, sociali e istituzionali (1).

Viene messa in crisi la stessa nozione di territorio, l’elemento essenziale delle comunità politiche, l’ambito spaziale che forma ed è formato da una collettività organizzata, senza la quale non vi sono i diritti perché non vi è nemmeno il diritto.

L’informatica ha velocizzato i rapporti e le comunicazioni e ha conferito una diversa dimensione allo spazio e al tempo riducendone o eliminandone la rilevanza.

Se, come aveva osservato San Tommaso,communicatiofacitdomumet civitatem”, si pone ora in termini nuovi l’assetto delle collettività organizzate (2).

 

2.a – I disallineamenti 

Il nuovo contesto determina la crisi dell’assetto precedente senza sostituirlo con un altro, provocando una serie di disallineamenti fra la dimensione dei problemi e quella delle istituzioni che devono darvi risposta (3).

Sono problemi che nascono da una evoluzione tecnologica che aumenta gli strumenti a disposizione del genere umano e quindi lo arricchisce e che, tuttavia determinasfasature.

 

  • -Vi è disallineamento fra le funzioni che hanno gli Stati e i poteri necessari 

peresercitarle.

All’impoverimento della forza degli Stati non ha corrisposto una diminuzione degli obiettivi che devono perseguire. Se ne è avuto, al contrario, un ulteriore ampliamento, con una “moltiplicazione dei diritti” da soddisfare, dovuta a una pluralità di concause a partire dalla moltiplicazione delle fonti (normative e giurisprudenziali) e delle sedi (dei diversi livelli territoriali) dalle quali promanano (4).

–  Nei settori più esposti alle dinamiche non controllabili da singoli Stati vi è un disallineamento quasi totale fra la forma degli atti e il potere sostanziale di condizionare i loro contenuti; basti pensare alle delibere dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas, che stabiliscono il prezzo dell’energia, mentre sono ben altri i soggetti che hanno il potere di determinarlo.

–  Vi è un disallineamento fra i soggetti che assumono alcune decisioni e quelli che sono destinatari dei loro effetti: il recente accordo fra gli Stati Uniti d’America e la Cina sulle emissioni inquinanti che influirà sul riscaldamento globale, sullo scioglimento di ghiacciai e sul livello delle acque, produce effetti (come di per sé non potrebbe fare un accordo fra due soggetti) su tutti gli altri soggetti che sono terzi.

– Vi è disallineamento fra le dimensioni della finanza e quella delle istituzioni, anche internazionali, che dovrebbero governarla.

– Vi è, ancora, in modo evidente,un disallineamento fra la localizzazione dei fenomeni dai quali nasce il deterioramento dell’ambiente e la delocalizzazione degli effetti inquinanti: il fumo va da porta il vento.

 

2.b – I vuoti di potere

L’esigenza di riallineare i livelli di governo alle nuove dimensioni dei problemi ha indotto qualcuno a teorizzare l’esistenza, sia pure in nuce, di un governo mondiale che, però, non esiste (5).

Che le trasformazioni nell’economia determinino sempre nuovi assetti istituzionali non è storicamente provato, ed è anzi espressione di un desiderio fondato sull’assunto indimostrato delle “magnifiche sorti e progressive” di illuministica memoria.

A volte ciò si è verificato, anche se ha comportato tempi non brevi e turbolenze: si pensi al passaggio fra città e principati e poi fra questi e gli stati: alla inadeguatezza del precedente “contenitore” ha corrisposto la formazione di uno nuovo e adeguato alla diversa dimensione dei problemi (6).

A volte, invece, ciò non si è verificato: basti pensare alla crisi dell’impero romano o alla vicenda dell’Italia, che non si è unificata quando si sono formati, con dimensioni allora adeguate, gli Stati europei e ha sofferto mezzo millennio di invasioni da parte di questi (7).

In questi casi si è avuto, per periodi lunghi anche più secoli, un vuoto istituzionale che ha determinato l’affermazione delle forme pre-giuridiche di potere: quelle del più forte.

In questo contesto di disallineamento e vuoti si determinano inevitabilmente turbolenze negli assetti degli ordinamenti, a partire dalle fonti, e nelle categorie giuridiche (ad esempio quella di “pubblico” e di “privato”) molte delle quali perdono linearità, chiarezza e delimitazione sicura (8).

 

         2.c.  In particolare dell’Unione Europea e dei paesi membri: l’Unione Europea “non fait et non faitfaire”: perdita di quote di sovranità da parte degli Stati senza un corrispondente recupero da parte dell’Unione.

La condizione di inadeguatezza rispetto alle funzioni da assolvere investe anche, in questa fase transitoria della quale non si intravede realisticamente l’esito finale, l’Unione Europea e i singoli Stati membri.

Nei contesti di crisi recessive la funzione anticiclica è stata esercitata dagli Stati con strumenti che hanno forzato e corretto le debolezze del mercato. Gli strumenti sono stati:l’ampliamento della sfera pubblica, gli aiuti alle imprese e la manovra della moneta.

Senza voler accedere all’interpretazione liberista dell’assetto istituzionale europeo, che come poi si vedrà non sembra da condividere, non c’è dubbio che gli Stati hanno perso la sovranità sulla moneta e l’hanno sensibilmente diminuita sull’ampliamento della sfera pubblica e sugli aiuti alle imprese.

Il problema nasce però dal fatto che questa quota di sovranità non si è trasferita dagli Stati all’Unione, nonostante gli importanti strumenti che cerca di utilizzare la Banca Centrale Europea; semplicemente si è persa, mentre continuano a disporne (o ne dispongono in misura maggiore) gli Stati extra U.E.

Vi è, per i paesi europei e per l’U.E. nel suo complesso, un vuoto istituzionale, che è maggiore di quello che a tutti gli Stati, anche di grande dimensione, deriva dalla apertura al c.d. mercato globale. Utilizzando in modo diverso una frase di Jean Monnet, che teorizzava una Europa che “non fait, faitfaire”, si potrebbe dire che l’Europa “non fait et non faitfaire”. Non si possono fare “campioni nazionali” (imprese dominanti o comunque competitive nel contesto mondiale) ma non si fanno “campioni europei”. L’attenzione delle istituzioni europee è volta essenzialmente a impedire agli Stati di utilizzare il pubblico potere per favorire le proprie imprese rispetto a quelle concorrenti degli altri paesi membri. E’ una Unione girata verso l’interno, su se stessa, anziché, come dovrebbe, verso l’esterno, per reggere il confronto con gli Stati di grandi dimensioni.

È un profilo del quale si ha poca o nessuna consapevolezza e che contribuisce a spiegare il ristagno delle economie europee rispetto a quelle degli altri paesi (9).

 

 

2.c L’attuale contesto.

La separazione fra le enunciazioni dell’avvenuta globalizzazione dell’economia e delle istituzioni e, d’altro lato, il permanere degli Stati, indeboliti ma ancora attori essenziali dello scenario economico e sociale, destinatari ultimi della domanda sociale(10), può essere valutata solo attraverso analisi di carattere empirico volte a verificare in concreto gli elementi dell’uno e dell’altro prototipo nelle dinamiche reali.

La scienza economica sta muovendo solo i primi passi in questa direzione e non offre ancora ai giuristi risultati utilizzabili, con sufficiente grado di certezza, per costruire modelli istituzionali (11). 

 

3.a L’economia semiglobalizzata

Indicazioni utili per iniziare la ricerca vengono da uno studio di P. GHEMAWAT, “Ridefinire la globalizzazione”(12). Lo studio ha elaborato una serie di parametri applicati a un certo numero di settori dell’economia e dei servizi, per verificare il grado di apertura/chiusura dei singoli sistemi politici e ha tentato di misurare la portata dei flussi complessivi di investimenti diretti all’estero rispetto alla formazione di capitale fisso globale lordo e cioè quanta parte di capitale investito nel mondo è stato impegnato dalle imprese al di fuori del proprio paese.

I dati sono approssimativi e a volte di dubbia interpretazione e tuttavia conducono a risultati significativi che inducono l’Autore a formulare l’ipotesi del 10%,che cioè, nella media, solo il 10% dell’economia dei singoli paesi sia esposta al mercato globale. L’economia non è “globalizzata” ma, al più “semiglobalizzata” utilizzando quest’ultimo termine non per indicare un dato quantitativo ma per segnalare la parzialità di un fenomeno.

Il quadro complessivo è composto da un insieme di sistemi semiaperti in competizione tra loro, caratterizzati da gradi diversi di apertura/chiusura e di capacità di penetrazione negli altri sistemi.

La differenza è connessa a una serie di fattori culturali, economici e amministrativi, al grado di presenza di imprese pubbliche, dotate di una maggiore resistenza all’acquisizione da imprese di altri paesi, al grado di coesione fra “pubblico” e “privato” che determina una corrispondente diversità di azione sistematica.

Gli studi devono essere approfonditi, anche con l’analisi della diversa incidenza delle attività economiche sulla capacità del sistema paese di partecipazione alla competizione e di garantire il soddisfacimento dei bisogni essenziali della popolazione.

 

3.b  Ripensamento della lettura liberista dell’ordinamento europeo

La deminutiodi sovranità non compensata da una corrispondente organizzazione al livello superiore sarebbe ancora più marcata per i paesi europei se si accedesse alle interpretazioni marcatamente liberiste dell’ordinamento europeo.

Secondo queste tesi, sostenute per altro con acume e con una pluralità di argomentazioni da vari autori, fra quali in Italia primeggia Guido Corso, l’ordinamento europeo ha come scopo primario quello di realizzare una economia di mercato liberando gli ordinamenti interni dai condizionamenti amministrativi che ne hanno condizionato lo sviluppo.

Questa impostazione è connessa a un presupposto di fondo che attiene alla stessa matrice del potere statale, che si fonderebbe sulle carenze del mercato e troverebbe in queste la sua legittimazione. Di qui un ossequio incondizionato al mercato, alla “libera concorrenza”, come osservava già Romagnosi, “assunta come dogma senza luogo e senza tempo” (13).

Occorre fare attenzione a evitare un salto logico nel quale molti incorrono: altro è dire che gli interessi a protezione necessaria possono essere soddisfatti anche dal mercato (il che è vero), altro è sostenere che il mercato sia il prius e che l’esercizio del pubblico potere sia legittimato solo in caso di carenze del mercato, configurandolo così come una sorta di male necessario anziché come la modalità tipica, idonea a curare gli interessi generali.

Questa tesi è una diretta provenienza dell’impostazione culturale che ha inquadrato il pubblico potere nel rapporto autorità-libertà e che deve ritenersi superata nel contesto costituzionale dello Stato del welfare nel quale l’esercizio del pubblico potere è doveroso e volto alla soddisfazione degli interessi.

Altra confusione che si fa è quella fra il mercato e la libertà, rispetto alla quale il mercato non può che avere un valore strumentale. È evidente che fra mercato e libertà vi sono profonde connessioni ma vi è anche una profonda differenza perché il mercato è fatto dai mercanti mentre la libertà è un attributo della persona e della sua dignità, che non esiste se non insieme a quella degli altri (14).

         Si deve ritenere, al contrario, che l’ordinamento europeo non è costruito sul principio del mercato ma semplicemente su quello del mercato-comune fra i paesi membri. Per realizzare questo obiettivo l’ordinamento europeo contrasta le forme di pubblicizzazione (e quindi di sottrazione al mercato comune)eccessive e immotivate, ma lascia liberi gli Stati membri di decidere l’ambito della sfera pubblica anche nell’economia. L’ordinamento dell’UE non è affatto liberista nei settori (come la pesca, l’agricoltura, il carbone) nei quali l’interesse comune dei paesi membri non richiede, anzi, contrasta, la libera concorrenza.

L’UE ha un evidente interesse a liberalizzare gran parte delle commesse pubbliche, che rappresentano una percentuale variabile ma molto consistente (intorno al 40%) dei singoli mercati nazionali. Non si formerebbe, altrimenti, un mercato comune, ma ciò che rileva per l’UE non è tanto la natura pubblica o privata degli operatori quanto i loro comportamenti nei confronti dei potenziali contraenti. Mentre per gli operatori privati l’orientamento alla scelta dell’offerta più conveniente è intrinsecamente connesso alla loro propensione al profitto, per quelli pubblici questo orientamento non è scontato, per l’influenza esercitata sulle scelte non solo da fenomeni di corruzione o di clientela politica ma anche, più semplicemente, dall’interesse a favorire le imprese nazionali.

Inoltre l’ordinamento UE non solo rispetta la missione degli Stati di tutelare gli interessi di carattere generale, e quindi le finalità pubbliche sottese a ogni manifestazione nella sfera pubblica, ma giunge a volte ad imporne agli Stati la tutela.

 Il criterio dell’investitore di mercato, che sarebbe secondo la tesi opposta l’unico a legittimare i comportamenti degli organismi pubblici che operano nell’economia, va correttamente inteso.

Il criterio appare fondato se è riferito ai comportamenti delle imprese pubbliche che operano in regime concorrenziale e che non possono essere favorite 

rispetto a quelle concorrenti (si pensi, ad esempio, all’industria automobilistica nella quale lo Stato francese e il Land della Bassa Sassonia hanno importanti partecipazioni); ha quindi senso la disciplina sulla trasparenza delle relazioni tra lo Stato e le imprese pubbliche (direttive 80/723 e 2006/11); è invece sbagliato se portato alle estreme conseguenze, perché finisce per negare la ragione d’essere delle imprese pubbliche rendendo irrilevanti quelle finalità ulteriori di carattere sociale senza le quali l’intervento pubblico non avrebbe senso.Chisostiene che l’intervento dello Stato è giustificato solo per supplire alle carenze del mercato, e quindi qualora il mercato non vi provveda, cade poi in contradizionequando esige che lo Stato si comporti come un privato e considera legittimo il suo intervento solo se un investitore privato lo porrebbe in essere (15).

Si potrebbe ora discutere, comma per comma, sull’interpretazione delle norme dell’ordinamento europeo, che certamente ha in se elementi contraddizione (16); ma è sufficiente constatare che la tesi contraria all’interpretazione liberista, per lungo tempo minoritaria, ha trovato riscontro e applicazione nelle misure adottate dai singoli Stati e dalla stessa Unione per far fronte alla fase economica recessiva. L’interpretazione liberista dell’ordinamento europeo è stata quindi smentita, senza contestazioni. Gli Stati hanno reagito con vari strumenti che avevano a disposizione, sottraendo al mercato banche e imprese che non sarebbero sopravvissute, con la loro pubblicizzazione e ponendo in essere una serie di interventi distorsivi del mercato con misure di sostegno dell’economia attraverso aiuti di vario tipo che vanno dal garantire i creditori in caso di insolvenza, a contributi a fondo perduto, prestiti di particolare favore, misure fiscali favorevoli, acquisto di obbligazioni convertibili o meno in azioni con o senza diritto di voto. Meno diffusi, ma non assenti, sono stati i casi di introduzione di misure amministrative di autorizzazione all’acquisto di imprese nazionali e all’insediamento nel territorio nazionale di imprese estere in tutti i settori industriali o solo in alcuni “strategici”.

Per una azione di stimolo e supporto alle attività economiche si è fatto ricorso alle Casse Depositi e Prestiti e ai loro fondi di investimento considerandole esterne al perimetro delle pubbliche amministrazioni e al patto di stabilità europeo.

Gli Stati hanno utilizzato gli strumenti di carattere pubblicistico in misura diversa, e ciò ha determinato un diverso grado di presenza del pubblico e di sinergia fra gli operatori economici e gli Stati d’appartenenza nei diversi paesi U.E.,e rilevanti differenze fra la capacità di penetrazione e di resistenza dei singoli paesi (17).

La mancata considerazione di questi profili ha condotto alcuni Stati, fra i quali l’Italiaa politiche prive di una visione d’insieme, fino a pensare che la privatizzazione si potesse effettuare, come è avvenuto e continua ad avvenire, con la cessione di imprese privatizzate a imprese pubbliche di altri paesi europei e extraeuropei, senza una corrispondente contropartita.

 

3.c Prospettive e metodo

In un contesto complesso nel quale gli Stati hanno perso l’autosufficienza ma non le funzioni, il territorio ha diminuito la sua rilevanza ma resta elemento essenziale delle comunità politiche, le problematiche ambientali sono, insieme, localizzate e delocalizzate, l’idea di semplificare gli approcci analitici e le soluzioni è sbagliata.

La tentazione soggettivista di individuare un a priori, sia esso il mercato o lo Stato, dal quale far discendere tutte le categorie, si espone ad obiezioni che hanno ormai avuto l’avallo della verifica storica (18).

Se, come osservava Romagnosi, l’adottare soluzioni estreme, assunte come generali e assolute, è una propensione costante dell’animo umano alla quale non si sottraggono i studiosi (19), questa tendenza si manifesta in modo più evidente nelle scienze nelle quali è minore l’ancoraggio a riferimenti oggettivi. È noto che nella scienza economica questo ancoraggio è molto labile perché sono frutto di una opzione soggettiva gli stessi parametri di valutazione (la “ricchezza” o il “valore-utilità” o il rapporto “capitale-merce”cui è equiparato o no il lavoro). La discussione fra oggettivismo e soggettivismo, fra verificabilità e opinabilità, che pure è particolarmente vivace, resta sullo sfondo (come del resto avviene nei dibattiti fra i giuristi in ordine al metodo) e non approda a risultati sufficientemente condivisi.

Anche fra coloro che partono dal presupposto che la politica economica debba comprendere sviluppo e distribuzione del benessere, resta la divisione fra due diversi a priori: che lo sviluppo precede e provoca la distribuzione del benessere, perché non si può distribuire ciò che non c’è, o all’opposto, che la distribuzione delle risorse genera la domanda che determina lo sviluppo. Così fra le posizioni liberiste e quelle che una volta si chiamavano socialiste e oggi potrebbero chiamarsi solidariste non vi è dialogo perché ciascuna è chiusa nel proprio a priori. Le diverse posizioni in ordine alla presenza pubblica nell’economia ne sono una derivazione. Il problema nasce dal fatto che entrambe le tesi sono corrette, contengono una parte di verità, ma la perdono nella loro configurazione estrema che trascura la complessità dei diversi contesti e cicli (20).

Pur prendendo atto dell’ineluttabile influenza di un fattore soggettivo nelle proposizioni della scienza economica (in parte comune, del resto, come osservava Einstein (21), a tutte le scienze), non v’è dubbio che, soprattutto nei periodi di rapida trasformazione, le scienze sociali devono sforzarsi per isolare all’interno delle loro riflessioni, le parti certe, a partire dalle certezze negative, da quelle opinabili e acquisire consapevolezza del contesto e dell’insieme dei valori in gioco (22).

 

Sul piano della scienza giuridica, oltre ad acquisire, filtrandoli dal proprio punto di vista, i risultati delle ricerche economiche e delle altre scienze sociali, il metodo da utilizzare, per dipanare la matassa aggrovigliata di un ordinamento in divenire, è in realtà quello comune a tutte le scienze che consiste nello scomporre i sistemi complessi cogliendo ciò che collega le varie parti secondo il criterio del fine che le unisce, per risalire poi dal più semplice al più articolato, procedendo per gradi, passando così “da idee chiaro-confuse” a idee chiaro-distinte”. Si possono così individuare i nuclei essenziali delle nozioni, le “idee radicali” che sono sempre semplici, pervenendo ai “concetti generali” solo attraverso un’indagine analitica “delle cose particolari”, in modo che l’unità risulti come “una pluralità compresa sotto di un solo concetto” (come la moderna matematica fa con l’insiemistica e perfino la geometria, che appariva la più statica fra le scienze, fa per descrivere figure in movimento) (23).

Con questo metodo si comprendono facilmente i principi che reggono le fattispecie complesse e dinamiche e le gradazioni che vi sono fra i diversi elementi chedi volta in volta le compongono e che sono tenuti insieme dal fine, e quindi dal significato delle fattispecie.

Si può, per fare un esempio, capire quella strana figura giuridica ormai consolidata nella giurisprudenza europea e nazionale, del “diritto soggettivo all’ambiente”, il diritto di un soggetto su un bene che è di tutti e di nessuno, che non consiste in una res, ma un modo di essere di altri beni e che assume una autonoma consistenza giuridica attraverso la funzione ambientale (24): la stessa cosa diventa rifiuto o materia prima e assume regimi giuridici del tutto diversi, a seconda della sua destinazione nel contesto dato.

Gli esempi e le applicazioni a fattispecie concrete, delle quali fornire così spiegazioni convincenti, si possono moltiplicare, perché in tutte le questioni giuridiche investite dalla frammentazione in atto si possono individuare chiavi di lettura partendo dalle due nozioni base (come procedimento o contratto, persona giuridica o meno, prezzo o tassa, ente pubblico o privato) e individuare la fattispecie a secondo del punto in cui si colloca fra le due (25).

 

Sul piano delle istituzioni ogni soluzione che si possa individuare non può che partire dalla consapevolezza di due elementi ineliminabili: l’apertura dei mercati non è frutto di scelte soggettive ma il portato dell’evoluzione tecnologica che ha allargato gli spazi della comunicazione; e nello stesso tempo, la soddisfazione degli interessi a protezione necessaria, comunque li si debba e si possa ridefinire eliminando l’eccessiva dispersione delle loro fonti, trova ancora negli Stati gli interlocutori essenziali.

Sono quindi improponibili ritorni a sistemi di Stati chiusi e altrettanto lo sono i tentativi di affidare al mercato tutte le soluzioni.

Le soluzioni che vanno ricercate non sono quindi quelle ottimali ma, come scrisse Romagnosi, “quelle migliori che nelle date circostanze si possono effettivamente praticare come le più adatte allo scopo, in quella data età, in quel dato territorio e con quel dato cielo” (26).

Gli Stati dovranno quindi mantenere quella quota di “sovranità” che comprende il potere di definire al proprio interno l’ambito della sfera pubblica.

Le categorie del pubblico e del privato nell’economia vanno valutate non secondo la loro coerenza con modelli astratti ma secondo l’idoneità che offrono per diminuire la distanza fra funzioni e poteri degli Stati.

Per l’ordinamento dell’Unione Europea la necessità di superare il vuoto di potere appare una condizione di sopravvivenza. 

La garanzia incondizionata sui c.d. “debiti sovrani” da parte della BCE costituirebbe la prima, significativa, misura di trasferimento sull’Unione, anziché di perdita secca, di una quota della sovranità persa dagli Stati (27). Anche il c.d. “Piano Yunker”, nell’assegnare alla Commissione europea un ruolo attivo di promozione degli investimenti, può costituire un inizio di una politica europea di sviluppo economico.

La prospettiva resta quella della formazione di uno Stato europeo articolato al proprio interno. Non si tratterebbe di una novità: l’Europa è stata unita per un numero di secoli superiore a quello in cui è stata divisa e la divisione è iniziata quando si sono formati gli Stati nazionali che ora sono entrati in crisi.

L’esito non è mai ineluttabile e comunque può realizzarsi prima o poi, secolo più-secolo meno, ma l’involuzione nel processo unitario sarebbe catastrofica, per gli europei, in un mondo che sembra sempre più avviarsi verso sistemi subcontinentali interdipendenti, nell’economia e anzitutto nella questione ambientale, e in concorrenza fra loro.

Sono processi che muovono, comunque, da circostanze che arricchiscono le capacità potenziali del genere umano che, come sempre, convivono con le sue debolezze. Vanno seguite, soprattutto dagli studiosi, con curiosità intelligente e motivata che coglie nelle novità occasione di stimolo e di crescita.

 

 

 

 

(*) Questo studio, in parte anticipato nella relazione alle Giornate di studio in onore di Guido Corso, Palermo 12-13 gennaio 2015, contiene un ulteriore sviluppo delle riflessioni iniziate con Pubblico e privato nell’economia di fine secolo In Le trasformazioni del diritto amministrativo, Scritti degli allievi per gli 80 anni di M.G. Giannini, Milano 1995, e con Riflessioni sulle funzioni dello Stato nell’economia e nella distribuzione della ricchezza in Dir. Pubbl. 1997,2,289. In un contesto culturale e politico aprioristicamente orientato a favore del mercato e delle privatizzazioni, questi lavori proponevano un approccio meno scontato, più rivolto a tener conto dell’insieme delle funzioni pubbliche e ad analizzare i vantaggi e gli svantaggi delle imprese pubbliche e di quelle private.

Il tema era stato poi ripreso e approfondito in Pubblico e privato nell’economia semiglobalizzata. L’impresa pubblica nei sistemi permeabili e in competizione, in questa rivista2014,1,1.  I circa 20 anni trascorsi dai primi due saggi consentivano una verifica delle tesi avanzate e avvalorate dalla crisi economica che ha dimostrato i limiti degli eccessi liberisti.

In questo studio la problematica del rapporto fra “pubblico” e “privato” nell’economia viene esaminata sotto il profilo dello squilibrio fra le funzioni che vengono imputate agli Stati e quelle che in concreto riescono a realizzare nel nuovo contesto, di economie semiaperte e in competizione fra loro, che registra vuoti di potere, particolarmente marcati per i Paesi facenti parte dell’U.E e determina la frammentazione delle nozioni giuridiche (v. in Principi di diritto amministrativo, Torino 2010). 

Lo studio non costituisce un compendio di quelli precedenti: l’osservazione diacronica e la prosecuzione della riflessione hanno consentito di arrivare progressivamente a risultati più chiari e consapevoli.

Nell’affrontare queste grandi tematiche ci si imbatte in una bibliografia giuridica ed economica sterminata (sono circa 1.000 all’anno i volumi sul tema della globalizzazione). È quindi indispensabile farne una selezione correndo così un inevitabile rischio di errori e omissioni. Per non appesantire la lettura si rinvierà in qualche caso ai lavori precedenti per la bibliografia presa in considerazione oltre a tener conto dei contributi emersi nei lavori più recenti. Fra questi, in particolare quello di T. PIKETTY, Il capitale nel XXI secolo (2013), trad. it. Milano 2014.

 

 

  1. (1)    Sul tema v. T. PIKETTY, cit., 378. Già fra questi emerge con chiarezza il crescente squilibrio fra una parte sempre più ristretta e ricca della popolazione e l’altra parte impoverita, fenomeno per altro non nuovo, che caratterizzò anche la prima rivoluzione industriale. G.D.ROMAGNOSI (Della necessità di unire lo studio della politica economica con quello della civile giurisprudenza, in Analisi Universali di Statistica, 1832, vol. XXXIII) rilevava il fenomeno dei “gravi e spaventosi patimenti di parecchie classi in seno di popoli nei quali l’industria e la concorrenza (che pure “aveva determinato tanti progressi in tutte le incivilite società”) fu spinta a un sommo grado”.
  2. (2)Su questi temi rinvio a Principi di diritto amministrativo, cit., e all’ampia bibliografia ivi indicata (p. 49).
  3. (3)Con un termine usato da P. SHANKAR JHA (Il caos prossimo venturo. Il capitalismo contemporaneo e la crisi delle nazioni, (2006) trad. it. Vicenza 2007) l’evoluzione ha determinato l’impossibilità di mantenere e quindi controllare i fenomeni nel loro precedente “contenitore”.
  4. (4)Sulla “moltiplicazione dei diritti” v. L. FERRAIOLI, Diritti fondamentali, Bari 2001; A. CASSESE, I diritti umani oggi, Torino 1984; T.R. FERNANDEZ RODRIGUEZ, Demasiadosderechos! Derechosfondamentales y otrosestudios, en homenajea R. Martin Retortillo, Zaragoza 2008, I, 131. Osservava già U. ALLEGRETTI (Le istituzioni internazionali, l’Europa l’Italia, rel. a Assemblea dell’Associazione C.r.s., Roma 1995 che “i fini della comunità politica Italia eccedono la dimensione delle forze dello Stato”). Sulla crescita delle funzioni statali in parallelo alla perdita di forza dello Stato v. G. MARRAMAO, Esiste una sfera pubblica globale? In Riv. Sc. Sup. Ec. e Fin. 2004, II, 14; J. L. MEILAN GIL, Una aproximation al derechoadministrativo global, Sevilla 2011. Sulla problematica della conciliazione del soddisfacimento dei diritti sociali essenziali e della riduzione del deficit e del debito pubblico, J.L. CARRO, L. MIGUEZ e M. ALMEIDA, Constitucionalización del principio de estabilidadpresupuestaria, racionalizaciòn del gastopùblico y clàusula del Estado social, inEstructurasAdministrativas y Racionalizaciòn del GastoPùblico, Actas del VII Congreso de la AEPDA, INAP, Madrid, 2012, p. 339 e ss.
  5. (5)Fra gli innumerevoli studi in materia si sono segnalati in Italia quelli di S. CASSESE (v. Oltre lo Stato, Bari 2006; Il diritto globale, Torino 2009 e vari altri) e della sua scuola. Osservava B. RUSSEL (Autorità e individuo, trad. it. Milano 1949) che uno Stato mondiale “correrebbe il rischio di disgregarsi per mancanza di una forza coesiva”.
  6. (6)P. SHANKAR JHA, Il caos prossimo venturo, cit.
  7. (7)Notava MACHIAVELLI, nel Principe che l’Italia non si era unificata, e quindi non era in grado di esprimere una forza bellica equiparabile a quella delle altre nazioni, perché c’era una autorità, il Papato, troppo debole per unificarla ma abbastanza forte per impedirlo ad altri. L’unificazione è avvenuta dopo vari secoli.
  8. (8)Sulle problematiche della frammentazione, comuni per altro a tutte le scienze e sulla bibliografia al riguardo v. Principi di diritto amministrativo, cit. 39, 55. 
  9. (9)Per una acuta analisi che mette in evidenza gli effetti depressivi delle politiche istituzionali dell’Unione europea v. G. GUARINO, Euro: venti anni di depressione (1992-2012) in Nomos, 2012,2.
  10. (10)J. HABERMAS, La costellazione postnazionale. Mercato globale, nazione e democrazia (1996), trad. it. Milano 2002; G. B. AUBY, La globalisation, la droit et l’État, Paris 2003; G. B. ARRIGHI, Il lungo XX secolo, trad. it. Milano 1997; M. D’ALBERTI, Poteri pubblici, mercati e globalizzazione, Bologna 2008;S. M. RETORTILLO BAQUER,Reflexionessobre la “huida del derechoadministrativo, in Riv. adm. Pubbl. 1996, 140 ss.; E. SCHMIDT ASSMAN, VerwaltunglegitimationalsRechtsbegriff,in Arc. Adm. Publ. 1996, 140 ss.
  11. (11)La sottolineatura della necessità di analisi giuridiche è particolarmente sottolineata da T. PIKETTY, cit. p. 925. Va per altro osservato che la tesi di T. PIKETTY,ivi p. 733 che “il peso dello Stato è oggi molto più forte” di quanto non fosse nel primo decennio del XXI secolo, anzi “è più forte di quanto sia mai stato” è, insieme, esatta e sbagliata. È esatta se si prende in considerazione la quantità delle funzioni, e quindi dei poteri, assunti dallo Stato, come è ben spiegato da tutte le analisi degli effetti che ebbe il suffragio universale sulla quantità delle funzioni pubbliche (v. M. S. GIANNINI, Diritto amministrativo I, Milano 1993; v. l’analisi puntuale delle funzioni statali in G. ROSSIRiflessioni sulle funzioni dello Stato nell’economia e nella distribuzione della ricchezza, cit. 295). Questo è vero anche per gli Stati che hanno adottato politiche più caute   nella espansione della sfera pubblica, che si è tuttavia triplicata nel corso del XXI secolo (da meno del 10% in tutti i paesi occidentali e oltre il 30% negli USA e non meno del 40% fino a superare il 50% nei paesi europei), v. il grafico 3.1 di T. PIKETTY, cit. p. 735.L’affermazione è, però, sbagliata se la si riferisce alla proporzione tra risorse (comprese quelle giuridiche) e obiettivi (la “forza” è misurabile con parametri relativi, non assoluti). In questi termini si può dire più esattamente che lo Stato non è “più forte”, ma solo “più grande”: è un gigante con i piedi d’argilla.
  12. (12) P. GHEMAWAT, Ridefinire la globalizzazione (2006)trad. it. Bologna 2009, con prefazione di G. DAGNINO.
  13. (13)G.D. ROMAGNOSI, Memoria riguardante il punto di vista degli articoli economici e statistici, in Annali Universali di Statistica 1834, XL, 129.
  14. (14) Per la tesi di GUIDO CORSO che interpreta in senso liberista le norme dell’ordinamento europeo v. ad es., Attività amministrativa e mercato, in Riv. Giur. Quad. Serv. Pubbl., 1999,2, p.7; Manuale di diritto amministrativo, IV ed. Torino 2008, pag. 72, 382. L’insieme della produzione di GUIDO CORSO induce per altro a ritenere che, nella sua costruzione scientifica, l’a priori non sia tanto il mercato quanto la libertà. Di qui l’insofferenza verso le restrizioni amministrative delle attività economiche volte non a tutelare interessi di terzi ma a comprimere le capacità di iniziativa a vantaggio, ad esempio, di coloro che già la esercitano. La vasta cultura gli ha consentito di non considerare alternativi fra loro (come in genere si fa) gli studi di ispirazione europea, e in particolare germanica, e quelli, oggi prevalenti, che assumono a propria base i contributi della scienza giuridica e soprattutto economica statunitense.La derivazione del diritto amministrativo dalle norme e dai principi costituzionali che caratterizza il primo di questi due approcci e che ha ispirato tutti i lavori di Guido Corso a partire da quelli sull’ordine pubblico (v. L’Ordine pubblico, Bologna 1979), implica l’adesione, sia pure filtrata dall’esegesi delle norme, a un sistema valoriale del quale le Costituzioni sono depositarie e non a caso nelle ultime edizioni del suo Manuale Guido Corso si è occupato anche degli “interessi a protezione necessaria” mostrandone consapevolezza e condivisione (v. Manuale,cit., 177).
  15. (15)Per una rassegna sui diversi significati che sono stati attribuiti al principio dell’investitore di mercato v. F. GHERARDUCCI, M. CAPANTINI, Gli aiuti di Stato e il principio dell’”investitore privato” negli orientamenti della Commissione e nella giurisprudenza comunitaria, 2004 www.astrid-online.eu . Sui profili di criticità del criterio in rapporto il principio di parità di trattamento fra le imprese pubbliche e private; A. Cartier-Bresson, L’Étatactionnaire, Parigi, 2010, 366, H. Lesguillons, L’étatactionnaire et le principe de l’investisseurprivé, inRev. DroitAff. Intern.,4, 2003, 363. J. C. LAGUNA DE PAZ, La empresapublicacomoinstrumento de gestion de ayudas, Madrid 1991, 373 ss.
  16. (16) Per una analisi puntuale e per la bibliografia v. G. ROSSIRiflessioni sulle funzioni dello Stato nell’economia e nella redistribuzione della ricchezza, cit., 301.
  17. (17)Per una analisi comparata della normativa sulle Casse depositi e Prestiti, o sugli istituti analoghi e per l’analisi delle diverse politiche di pubblicizzazione e di sostegno all’economia nei diversi paesi europei v. G. ROSSI,Pubblico e privato nell’economia semiglobalizzata, cit., 28. 
  18. (18)V. KIICHIROYAGI, Y YUKIHIRO IKEDA,Subjectivism and Objectimism in the History of EconomicTrought, N.Y. 2012; A. TROVATO, Il dibattito epistemologico nella seconda metà del Novecento, Catania 2005, con il dibattito metodologico fra K. POPPER e T. KUHN. Sul problema del metodo della scienza economica v. in particolare STUARD MILL, On the Definitionsof  Political Economy and the Method of InvestigationProper to It, vol. IV, (1836) rist. Toronto 1967; M. FRIEDMAN,The Methodology of Positive Economics, Chicago 1953; M.BLONG, The Methodology of Economics, Cambridge 1392. Al tema della metodologia della scienza economica è dedicata la rivista Journal of EconomicMethodology. 
  19. (19) G. D. ROMAGNOSI, Alcuni pensieri sopra un’altra metafisica filosofia della storia, Lettere a Viesseux, in Antologia, Firenze 1832, vol. XLVI, p. 23.
  20. (20) Per queste considerazioni G. ROSSI,Pubblico e privato nell’economia semiglobalizzata, cit., 21. Analizzando nel lungo periodo i risultati delle politiche neo liberiste e di quelle “stataliste” poste in essere dai paesi occidentali T.PIKETTY (Il capitale nel XXI secolo, cit, 157) ne sostiene la sostanziale equivalenza in termini di crescita economica, con la conseguenza che i due metodi “non meritano né un eccesso di enfasi né un eccesso di riprovazione”. 
  21. (21)A. EINSTEIN, Come io vedi il mondo (1933), trad. it. Vicenza 1995.
  22. (22) Sostiene esattamente T. PIKETTY (Il Capitale nel XXI secolo, cit, 925) che “gli economisti, se vogliono davvero rendersi utili, devono imparare a essere più pragmatici nelle loro scelte di metodo logiche, fare tabula rasa delle proprie certezze, se occorre, e porsi in rapporto con le altre scienze sociali”. In effetti, per studiare, l’”economia politica” occorre disporre anche di una buona preparazione giuridica che consenta una adeguata valutazione dei profili istituzionali e degli effetti rilevanti che questi producono nelle vicende economiche e sociali. Del resto “i processi economici e politici sono indissolubili e vanno studiati di concerto (ivi, pag. 928). 

Mentre i giuristi compiono spesso l’errore di esaminare solo i profili istituzionali o comunque di ipervalutarli considerandoli come la fonte delle altre vicende, gli economisti tendono a non considerare il dato istituzionale quanto meno come uno degli ingredienti che formano e spiegano le vicende economiche e sociali. Nei Principi fondamentali di diritto amministrativo onde tesserne le istituzioni, Prato1814, § 141, , G.D. ROMAGNOSI sosteneva: “tempo verrà che il Diritto civile e l’economico pubblico verranno considerati come due rami della stessa scienza”. Nel tornare sul tema dopo diciotto anni (Della necessità di unire lo studio della politica economica con quello della civile giurisprudenza, in Annali Universitari di Statistica 1832 XXXIII, 145 ss.) osservava che “la possibilità di quest’associazione fra il diritto e l’economia dipende in primo luogo dal buono e ben concepito concetto del diritto” e osservava “ho veduto con rammarico propagarsi una dottrina fondamentale del diritto che tende anzi alla dissoluzione dalla scienza economica”.

  1. (23)ROMAGNOSI, Vedute fondamentali dell’arte logica (1832), in Opere di Giandomenico Romagnosi, a cura di A. DE GIORGI, Milano 2006, I, 1, 208.
  2. (24) A. FARI’, Beni e funzioni ambientali, Napoli 2013.
  3. (25) V. le applicazioni del metodo in G. ROSSI,Potere amministrativo e interessi a soddisfazione necessaria. Crisi e prospettive del diritto amministrativo, Torino 2011.
  4. (26) G. D. ROMAGNOSI, Vedute fondamentali, cit., pp 17 e 37
  5. (27)V. le decisioni adottate dalla BCE il 22 gennaio 2015 e l’ampio dibattito che le ha accompagnate. V. inoltre la decisione del 7 febbraio 2014 della Corte Costituzionale tedesca e la remissione alla Corte di giustizia europea che al momento di pubblicazione di questo lavoro deve ancora pronunciarsi. Sulle problematiche generali del rapporto fra interpretazione europea e sovranità nazionale v. P.M. HUBER, The Federal Costitutional Court and European Integration, in European Public Law 21, n. 1 2015, 83. Osserva T. PIKETTY (cit.) che “la contropartita alla perdita di sovranità monetaria dovrebbe essere l’accesso a un debito pubblico garantito, e a un tasso basso e prevedibile” (p. 892) e che è arduo pensare a una soluzione politica dell’eurozona senza un rafforzamento delle istituzioni europee, a partire da una vera rappresentanza parlamentare (p. 893).

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